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Quattro milioni per la neve che non c’è più

La Regione Piemonte finanzia gli impianti sciistici anche a bassa quota, ignorando il cambiamento climatico. Secondo Legambiente, la neve naturale è ormai un miraggio: si continua a investire in un modello insostenibile con soldi pubblici

Senza soldi si ferma tutto: la Regione investe 4 milioni di euro sulle piste da sci

Sulla neve

La montagna torna al centro della scena politica piemontese, sì, ma a colpi di nostalgia e negazione climatica. La Regione Piemonte ha deciso di stanziare oltre 4 milioni di euro per sostenere gli impianti di risalita. Una pioggia di soldi pubblici – in piena crisi climatica – per alimentare un modello turistico che non regge più nemmeno sulle sue fondamenta naturali: la neve.

Secondo Legambiente, nel dossier “Neve diversa”, a quote basse la neve non c’è praticamente più. Le temperature invernali sono sempre più alte, le precipitazioni nevose in calo, l'innevamento naturale una scommessa persa. Eppure la Regione continua a investire sullo sci come se fossimo ancora negli anni Ottanta. Il mito della “settimana bianca” sopravvive solo grazie a innevamento artificiale e sovvenzioni pubbliche. E i 4 milioni non fanno che alimentare questo modello insostenibile.

Tra le località che riceveranno i fondi pubblici spuntano nomi come Alpe Cialma di Locana, Pian Benot di Usseglio, Ceresole e Valprato, località dove la neve vera è ormai un ricordo e dove le temperature invernali spesso non permettono neanche di attivare i cannoni sparaneve senza sprecare acqua ed energia in modo folle.

piste da sci

A firmare il provvedimento è la giunta Cirio, insieme all’assessore Marco Gallo, che definisce la montagna un’“infrastruttura economica da valorizzare”. Ma che tipo di valorizzazione è mai questa? Continuare a foraggiare con soldi pubblici un comparto che non ha più le condizioni ambientali per esistere non è visione politica: è accanimento terapeutico.

I finanziamenti – 4.028.247,90 euro, cifra precisa come un cronometro da slalom – saranno distribuiti tra 41 località sciistiche, molte delle quali in forte sofferenza per il calo delle precipitazioni nevose. Le stesse che, ogni inverno, aspettano il miracolo bianco per giustificare costi di gestione esorbitanti. E quando il miracolo non arriva, ci pensa la Regione.

Secondo la narrazione ufficiale, mantenere attivi gli impianti “non significa soltanto far scorrere le seggiovie”, ma anche “garantire lavoro, accogliere famiglie, alimentare l’economia locale”. Tutto giusto. Peccato che sia un castello costruito sulla neve finta. Alimentare con soldi pubblici un modello che non ha futuro è come tappare una perdita d’acqua con il chewing gum: funziona per un po’, poi scoppia.

I dati di presenze turistiche vengono sbandierati con entusiasmo: Bardonecchia +25%, Alagna +22%, Sestriere +15%. Ma si dimentica di dire quanti giorni effettivi di apertura piste ci sono stati grazie alla neve naturale. Si omette il dato energetico e ambientale legato all’uso massiccio dei cannoni da neve. E, soprattutto, non si dice nulla sull'alternativa.

Già, perché un’altra montagna è possibile. Una montagna che non ruota solo intorno allo sci alpino, ma investe in turismo sostenibile, escursionismo, cultura, biodiversità, recupero dei borghi e mobilità dolce. Una montagna viva tutto l’anno, non solo durante le due settimane natalizie (e solo se nevica).

Eppure, per la Regione, il futuro passa ancora per la pista battuta e l’impianto di risalita. “Vogliamo che il turismo invernale abbia un futuro solido e sostenibile”, dice l’assessore Gallo. Ma di sostenibile qui non c’è nulla, se non l’illusione collettiva che basti un po’ di neve sparata per tenere viva un’intera economia montana.

Insomma, mentre la crisi climatica galoppa, il Piemonte investe milioni sulla neve che non c’è più. E lo chiama futuro.

asdfadf

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