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20 Marzo 2025 - 11:16
Puntuale come un orologio svizzero, anche quest’anno è arrivato il dossier di Legambiente "Nevediversa 2025", che fotografa il lento, ma inesorabile, declino del turismo invernale basato sugli impianti di risalita. Numeri impietosi e immagini simbolo di un fallimento certificano lo stato di agonia di un sistema che arranca tra piste deserte, impianti chiusi e investimenti pubblici sempre più insensati.
La copertina è già di per sé una sentenza: i resti della cestovia e del rifugio di Pian dei Fiacconi, travolti da una valanga nel 2020 sulla Marmolada, raccontano senza bisogno di parole cosa resta di un modello turistico che continua a ignorare la crisi climatica. Il dossier rivela che nel 2025 gli impianti di risalita dismessi in Italia sono 265, un numero più che raddoppiato rispetto ai 132 censiti nel 2020. A questi si aggiungono 218 impianti che, invece di essere chiusi definitivamente, vengono tenuti in vita con costosissimi interventi di "accanimento terapeutico". Nel frattempo, si progettano nuove opere faraoniche, come il collegamento Colere-Lizzola in Lombardia, un investimento milionario su un settore che annaspa e che ha già dimostrato di non essere sostenibile né economicamente né ambientalmente.
Il rapporto punta i riflettori anche sulla questione dell’innevamento artificiale, una pratica che sta raggiungendo livelli grotteschi. In Italia esistono oggi 165 bacini artificiali per la produzione di neve finta, che coprono una superficie totale di quasi due milioni di metri quadrati. L'acqua, però, non si può inventare, e in molte località la scarsità di risorse idriche sta rendendo questi investimenti un clamoroso autogol. A Ravascletto, in Friuli Venezia Giulia, per esempio, l’acquedotto comunale non ha potuto fornire l’acqua necessaria a innevare le piste, lasciando scoperte le contraddizioni di un modello ormai allo sbando.
La crisi del turismo invernale non è solo un problema italiano. Il dossier di Legambiente mostra come anche Francia e Svizzera stiano facendo i conti con lo stesso fenomeno: Mountain Wilderness ha censito 101 impianti abbandonati in 56 località francesi, mentre in Svizzera sono stati dismessi oltre 55 skilift e funivie. In molte zone alpine, le montagne si stanno trasformando in cimiteri di ferraglie, con scheletri di impianti ormai inutilizzabili che deturpano il paesaggio. Tuttavia, mentre alcuni territori provano ad adattarsi, in Italia si persevera con finanziamenti pubblici poco trasparenti, che finiscono nelle tasche delle società che gestiscono i comprensori sciistici, senza alcuna visione strategica.
C’è poi un altro problema: il divario crescente tra una montagna che muore e un’altra che diventa un’esclusiva per pochi. Mentre alcune località vengono abbandonate, altre si trasformano in enclavi di lusso inaccessibili. Cortina è l’emblema di questa deriva: il prezzo delle case è fuori controllo, le proprietà finiscono nelle mani di investitori stranieri e il costo della vita esclude i residenti. La montagna per tutti è un ricordo lontano, sostituita da un turismo per pochi privilegiati, dove si arriva nei rifugi in elicottero, con aragoste e champagne al seguito. Aldo Bonomi smonta il mito che il lusso generi ricchezza diffusa: la montagna si svuota, le comunità locali vengono messe ai margini e la ricchezza si concentra nelle mani di pochi.
Negli ultimi anni, “la scarsità di neve ha spinto alcune stazioni sciistiche verso la diversificazione, un processo che presto coinvolgerà la maggior parte di esse. Tuttavia, nonostante questa tendenza positiva, gli investimenti nella tecnologia per la neve artificiale – e purtroppo anche in nuove cabinovie – non sono diminuiti. Si tratta di un meccanismo che si autoalimenta e che, una volta interrotto, rischia di lasciare dietro di sé un’enorme quantità di infrastrutture abbandonate. Proprio per le possibili conseguenze negative sui territori, sorprende la crescita costante dei finanziamenti pubblici – a partire da quelli del Ministero del Turismo – destinati a un settore con prospettive di sviluppo sempre più incerte. Anche quest’anno si è cercato di raccogliere informazioni sui fondi pubblici stanziati, ma risulta estremamente difficile districarsi tra i molteplici canali attraverso cui il denaro viene convogliato verso i comprensori. Le informazioni ottenute sono frammentarie e il nostro obiettivo rimane quello di promuovere maggiore trasparenza con la richiesta di un censimento ufficiale dei fondi destinati alle singole aree”, spiegano Vanda Bonardo e Sebastiano Venneri di Legambiente.
Il dossier di Legambiente non si limita a denunciare, ma propone alternative. Il turismo estivo sta crescendo e potrebbe presto superare quello invernale. Progetti come BeyondSnow dimostrano che una transizione è possibile: investire su escursionismo, sostenibilità e modelli innovativi permetterebbe di costruire un nuovo equilibrio tra sviluppo e rispetto dell’ambiente. La Valle dei Cavalieri e la Val Maira ne sono la prova: economie locali che funzionano senza dover inseguire un turismo sempre più insostenibile.
Paolo Setta auspica un compromesso tra la resistenza all’abbandono e il turismo d’élite, un equilibrio tra sci, ciaspole, sentieri e ospitalità accessibile. Ma affinché questa transizione sia possibile, serve una riforma della governance della montagna. Il tempo per le scelte di comodo è finito. Continuare a finanziare un modello che ha già dimostrato il proprio fallimento significa condannare le comunità alpine a un lento declino. Eppure, le istituzioni restano immobili, incapaci di affrontare la realtà. L’orologio della crisi climatica non aspetta, e la montagna non può più permettersi di perdere tempo.
IL DOSSIER LINK
In Piemonte, gli impianti abbandonati sono 76, e la situazione in Valle di Lanzo e Valchiusella rispecchia fedelmente il quadro di crisi che emerge dal dossier. Qui, tra ecomostri alpini, stazioni sciistiche mai decollate e tentativi falliti di rilancio, si susseguono casi di speculazione immobiliare e spreco di denaro pubblico.
Le Valli di Lanzo raccontano una storia di speranze disattese, investimenti pubblici mal gestiti e un turismo invernale che non ha mai davvero trovato il suo spazio. Queste montagne, un tempo immaginate come una possibile alternativa alle grandi stazioni sciistiche del Piemonte, oggi conservano le cicatrici di un’epoca di speculazioni e fallimenti..
A Viù, in località Tornetti, a 1450 metri sorge l’Ecomostro dell’Alpe Bianca, un mastodontico complesso turistico mai completato. La sua storia ha inizio nel 1979, quando una società immobiliare ligure decide di investire in un nuovo comprensorio sciistico. Il progetto prevedeva due skilift e un albergo di lusso con 38 camere, 15 suite e 76 appartamenti, oltre a 270 alloggi distribuiti in ulteriori palazzine residenziali.
L’idea, sulla carta, sembrava solida: trasformare questa località in una meta d’élite per lo sci alpino. Ma la realtà si rivelò ben diversa. Le scarse nevicate, la mancanza di infrastrutture adeguate e l’assenza di una viabilità efficiente resero il progetto insostenibile fin dall’inizio. Dopo appena 15 anni di attività, nel 1994 l’intero comprensorio fu chiuso.
Oggi, l’Alpe Bianca è un colosso in rovina, un monumento al fallimento della pianificazione turistica montana e un simbolo dello spreco di risorse pubbliche.
Il degrado avanza e l’impatto ambientale dell’edificio è evidente, con una struttura che si erge come una ferita aperta nel paesaggio alpino. Tentativi di riqualificazione sono stati proposti negli anni, ma l’assenza di fondi e la scarsa attrattività dell’area hanno reso impossibile qualsiasi intervento concreto. La sua demolizione sarebbe costosa e logisticamente complicata, ma al momento non sembra esserci altra soluzione per restituire dignità al territorio.
Sempre a Viù, località Colle del Los, costruiti negli anni 70', tra gli 800 e i 1300 metri, esistono 4 impianti di ski-lift, quello più a valle è stato in parte smantellato, rimangono pali e funi degli altri tre impianti. L'impianto principale "Belvedere funziona di tanto in tanto la sera, quanto c'è neve, ed è previsto di illuminazione. A 1300 metri di quota c'è la pista di fondo di Lunalla dotata di impianto di innevamento artificiale, costruito con risorse delle Olimpiadi Torino 2006
A Usseglio, la stazione sciistica di Pian Benot, a 1600 metri, si sviluppò negli anni ‘70 e in origine era collegata da una seggiovia di arroccamento costruita dalla ditta F.lli Marchisio. Una delle sciovie che servivano i diversi campi scuola della stazione sciistica di Pian Benot era la sciovia “Scoiattolo”, lunga 300 metri circa. La struttura è riuscita a rimanere in funzione per decenni, adattandosi alle nuove esigenze con l’installazione di innevamento artificiale. Tuttavia, il calo delle precipitazioni nevose e la difficoltà nel sostenere i costi di gestione hanno reso sempre più precaria la sua esistenza.
Attualmente, della sciovia Scoiattolo rimane solo la stazione di monte, un segno tangibile di un’epoca in via di estinzione. Pian Benot resiste ancora grazie a una seggiovia, due sciovie e due tapis roulant, ma il futuro resta incerto.
La sua sopravvivenza è legata agli investimenti locali e alla volontà di diversificare l’offerta turistica, puntando su attività alternative come lo sci di fondo, le ciaspolate e il turismo estivo. Tuttavia, la crescente difficoltà nel reperire fondi per la manutenzione degli impianti e la progressiva perdita di interesse per lo sci alpino tradizionale pongono seri interrogativi sulla sostenibilità economica della stazione.
Sempre a Usseglio, località Colle delle Lance, tra i 1.804 e i 2.200 metri è però in corso un progetto per la risistemazione di uno ski-lift costruito negli anni '70. Il progetto ha beneficiato di un sostanzioso contributo della Regione Piemonte. Gli interventi previsti nell’accordo di programma con l’Unione Montana sono: un nuovo skilift in sostituzione di quello vecchio (1.160.000 euro), la sistemazione ambientale ed idraulica della nuova pista “Colle delle Lance” (440.000 euro) e la fornitura di un mezzo battipista (200.000 euro).
Il progetto avrebbe già dovuto concretizzarsi nel 2021, ma è incappato in alcuni intoppi riguardanti gli “usi civici”. A dicembre 2024, Il progetto funiviario, a cura dell’impresa C.C.M. FINOTELLO S.r.l, è in fase di completamento e dovrà essere trasmesso all’ANSFISA per l’ottenimento del nulla osta tecnico per la realizzazione degli impianti a fune. Il termine per la realizzazione dell’intervento e della sua rendicontazione era previsto per il 31 dicembre 2024.
Situato in Val Grande di Lanzo, a Chialamberto, lo skilift di Cossiglia, a 900 metri, è un altro esempio di impianto dismesso che ha vissuto una storia travagliata. Costruito nel 1976, serviva una pista di media difficoltà, con l’idea di attrarre sciatori locali. Tuttavia, la sua vita operativa fu breve: già negli anni ‘80 l’impianto fu chiuso per problemi tecnici, poi riaperto per qualche anno, prima di subire danni ingenti durante l’alluvione del 1994.
Dopo vari tentativi di recupero, lo skilift è stato definitivamente chiuso nel 2008, allo scadere dell’omologazione dell’impianto, quando ormai la neve a bassa quota era diventata un ricordo lontano.
Oggi, l’area è stata riconvertita allo sci di fondo, per qualche tempo è stata snowpark per bambini, in futuro c’è l’idea di riavviare lo skilift ad uso degli appassionati di mountain bike, un uso alternativo che, pur non compensando il fallimento del progetto originale, almeno manterrebbe viva una parvenza di attività.
Tuttavia, il declino dello sci alpino a quote basse è un fenomeno sempre più evidente, e le località che non hanno investito in strategie alternative di sviluppo si trovano ora con infrastrutture obsolete e costose da mantenere. Il destino di Cossiglia è emblematico di molte altre piccole stazioni sciistiche italiane, chiuse o trasformate in aree ludiche che attirano solo una frazione del pubblico che un tempo popolava le piste.
E poi in Valchiusella con la Seggiovia Palit di Traversella. Costruita negli anni ’80 per servire un piccolo comprensorio locale, ha operato per diversi anni prima di chiudere definitivamente nel 2006. L’idea iniziale era quella di creare un’area sciistica che potesse attrarre turisti e rilanciare l’economia della valle, ma il progetto si è rivelato insostenibile a causa della scarsità di neve e della mancanza di un’adeguata strategia di sviluppo turistico.
Nel 2015, la Regione Piemonte ha tentato un’operazione di recupero, stanziando 370 mila euro per la revisione degli impianti, finanziamento che ha coperto il 90% delle spese. Tuttavia, il piano di rilancio è stato un fallimento: due gare d’appalto sono andate deserte e gli impianti sono rimasti inutilizzati. Oggi, la seggiovia e i due skilift versano in uno stato di completo abbandono, con strutture arrugginite e degradate che si stagliano nel paesaggio montano.
La storia della Seggiovia Palit inizia nel 1963, quando venne costruito il primo skilift per servire una pista di media difficoltà. Nel 1983, venne tentato un primo rilancio con l’inaugurazione di una seggiovia e due nuovi skilift, nel tentativo di rendere più competitivo il piccolo comprensorio. Nonostante gli sforzi, la mancanza di neve e l’insufficiente afflusso turistico hanno portato alla chiusura definitiva nel 2006. Il tentativo di riaprire gli impianti nel 2015 si è rivelato un’operazione senza futuro: a distanza di anni, nessuna società si è fatta avanti per gestire l’impianto, di proprietà dell’Unione Montana dei comuni di Brosso, Rueglio, Traversella, Vidracco e Vistrorio.
Oggi, la zona è frequentata principalmente da appassionati di sci alpinismo e ciaspolate, che sfruttano i percorsi delle vecchie piste per le loro escursioni. Le infrastrutture, però, rimangono abbandonate, a testimonianza di una visione turistica che non ha mai avuto una reale sostenibilità. I fondi pubblici spesi per la revisione degli impianti nel 2015 non hanno prodotto alcun risultato tangibile, confermando ancora una volta l’inefficienza della gestione di certi investimenti in ambito montano. La Valchiusella, con le sue bellezze naturali e il suo potenziale escursionistico, meriterebbe strategie di sviluppo diverse, capaci di valorizzare il territorio senza legarsi a modelli turistici ormai superati.
Tra gli impianti non abbandonati (che Legambiente inserisce nell'elenco "Accanimento terapeutico) quello di Locana a quota 1498 m s.l.m. - 1750 m s.l.m. Negli anni ‘70 fu dismessa la vecchia cestovia, venne poi prevista la costruzione con fondi pubblici di una nuova seggiovia e lo spostamento di un attuale skilift a quota superiore in previsione di un ampliamento. I finanziamenti per realizzare una seggiovia al posto degli skilift sono stati concessi dalla Regione Piemonte nel 2019 e i lavori sono iniziati nel 2021. Il progetto è stato motivato dal fatto che la seggiovia potrebbe funzionare anche d’estate. Domenica 29 gennaio 2023 ha aperto la nuova seggiovia biposto Carello-Alpe Cialma. Tuttavia, in futuro c’è l’intenzione, anche se per ora solo sulla carta, di creare una nuova pista con relativo impianto che arriva fin sulla sommità, a Punta Cia, dando vita così a un piccolo comprensorio.
Gli impianti abbandonati delle Valli di Lanzo e della Valchiusella raccontano una storia comune a molte aree montane italiane: la mancanza di visione strategica e la fede cieca in un modello di sviluppo ormai obsoleto hanno prodotto strutture inutilizzate, cementificazioni inutili e un paesaggio deturpato.
La domanda è sempre la stessa: cosa fare di questi scheletri del passato?
Alcuni esperti suggeriscono la demolizione e il ripristino ambientale, altri ipotizzano nuove destinazioni d’uso compatibili con le esigenze moderne. Quel che è certo è che le montagne non possono più permettersi di subire le conseguenze di decisioni errate. Serve un nuovo modello di turismo, capace di adattarsi ai cambiamenti climatici e alle nuove esigenze della società. Nel frattempo, gli ecomostri restano lì, a ricordare gli errori del passato.
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