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25 Marzo 2025 - 19:51
Abuso di fascia tricolore: la colpa è dei giornalisti (ma non ci crede nessuno)
A Chivasso, quando si tratta di regole, vale sempre lo stesso principio: si scrivono, si approvano, si modificano… e poi si ignorano. Tanto, quando qualcosa va storto, si trova sempre qualcuno a cui dare la colpa. Questa volta è toccato ai giornalisti. Sì, avete letto bene. Secondo il sindaco Claudio Castello, sono stati i cronisti a chiedere all’assessora Cristina Varetto di indossare la fascia tricolore, in barba al regolamento comunale.
Ma facciamo un passo indietro.
Il 4 marzo scorso, durante la cerimonia di accoglienza della Corte del Carnevalone di Chivasso in Regione Piemonte e in Città Metropolitana di Torino, l’assessora alle Politiche Sociali Cristina Varetto ha indossato la fascia tricolore, partecipando in rappresentanza del Comune di Chivasso. Un gesto che, a prima vista, potrebbe sembrare innocuo, magari dettato dallo spirito carnevalesco della giornata. Eppure, proprio quel gesto ha violato il cerimoniale comunale, approvato nel 2016 e modificato nel 2024 dalla stessa amministrazione guidata da Claudio Castello, che stabilisce chiaramente chi può indossare il simbolo della Repubblica nei momenti ufficiali: il sindaco, il vicesindaco o, in casi specifici, il presidente del Consiglio comunale con fascia personalizzata. Nessun altro. Nessun assessore.
La foto incriminata
Quella regola non è un orpello burocratico, ma una norma pensata per garantire l’ordine nelle rappresentanze istituzionali e tutelare il significato profondo della fascia tricolore. Un simbolo che rappresenta lo Stato, non un’amministrazione di passaggio.
Eppure, nel momento in cui l’assenza del sindaco ha reso necessario l’invio di un delegato, si è scelta l’assessora Varetto. Nessun vicesindaco, nessun presidente del Consiglio. Solo lei. Con fascia al seguito.
Ieri sera, in Consiglio comunale, è arrivata la spiegazione ufficiale. A fornirla, rispondendo a un’interrogazione della consigliera Claudia Buo di Liberamente Democratici, è stato proprio il sindaco Claudio Castello.
“Le è stato chiesto di qualificarsi visivamente meglio per la carica che rivestiva, dai giornalisti e dal cerimoniale degli enti torinesi”, ha letto ieri sera Castello in Consiglio comunale, rispondendo a un’interrogazione della consigliera di Liberamente Democratici, Claudia Buo. Una spiegazione che, nei fatti, chiude la vicenda. Ma che lascia aperte molte domande.
Prima tra tutte: davvero ci sono giornalisti che si aggirano per i corridoi delle istituzioni con il metro da cerimoniale in mano, chiedendo agli amministratori di indossare la fascia per uno scatto migliore? Davvero, in un contesto ufficiale, sono i fotografi a dettare le regole della rappresentanza istituzionale? È una narrazione surreale. Più che una giustificazione, sembra una toppa peggiore del buco.
Il sindaco, nella sua lunga e puntuale ricostruzione, ha spiegato che l’assessora Varetto aveva con sé la fascia per consegnarla a lui, che contava di arrivare in tempo, ma poi un impedimento non preventivato ha cambiato i piani. Tutto si sarebbe risolto in un attimo, con l’assessora che “ha assecondato la richiesta solo per un breve momento, senza gli opportuni indugi e in totale buona fede”. Nessuna colpa, nessuna sanzione. Anzi, Castello chiude con un augurio elegante: “Che tutti i cittadini di buona volontà possano un giorno indossare la fascia con la legittimità del consenso popolare”.
Parole forbite, che però non risolvono la questione di fondo. C’è una regola, introdotta proprio da questa amministrazione, che dice chiaramente chi può indossare la fascia tricolore: il sindaco, il vicesindaco e il presidente del Consiglio comunale. Punto. Tutto il resto – assessori inclusi – non è autorizzato. E non si tratta di cavilli burocratici. Si tratta di rappresentanza, di rispetto delle istituzioni, di coerenza.
Ma tant’è. Anche questa volta, come già accaduto in passato, la responsabilità si scarica altrove. Prima erano i funzionari, poi i tecnici, poi la minoranza. Ora tocca ai giornalisti. Come se i cronisti locali non avessero altro da fare che giocare a “travestiamo l’assessore da sindaco” per fare una bella foto di Carnevale. È una narrazione che offende la categoria e che, soprattutto, rivela un’abitudine consolidata: non assumersi mai la responsabilità politica delle proprie scelte. O delle proprie dimenticanze.
L’assessora Varetto ha sbagliato? Forse sì, forse no. Di certo ha infranto una regola. Lo ha fatto in buona fede? Può darsi. Ma è proprio in casi come questi che la politica dovrebbe dare il buon esempio. Ammettere l’errore. Chiedere scusa. Prendere un impegno per il futuro. Invece, niente. Una giustificazione fantasiosa, una mezza autocritica del sindaco e via, tutto a posto. Come sempre...
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