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22 Marzo 2025 - 18:19
Franco Cominetto sindaco di Burolo
In un’Italia dove il servizio idrico è sempre più nelle mani di grandi multiutility, dove la parola “integrazione” spesso si traduce in centralizzazione e spersonalizzazione, ci sono ancora piccoli Comuni che resistono. E resistono bene. È il caso di Burolo, Palazzo Canavese e Strambinello, tre realtà del Canavese che hanno scelto di non confluire nel sistema gestito dalla SMAT e che continuano a occuparsi in autonomia dei loro acquedotti, curando direttamente la captazione, la distribuzione e la manutenzione della rete idrica.
Una scelta rara, coraggiosa e – per molti versi – lungimirante. Eppure, sempre più sotto pressione da normative pensate per modelli molto più grandi, che mal si adattano alla scala e alle peculiarità dei piccoli territori. La scorsa settimana la loro voce è arrivata fino a Montecitorio, nel corso di un’audizione alla Commissione Ambiente della Camera dei Deputati, dove il sindaco di Burolo, Franco Cominetto, ha portato la testimonianza concreta di chi difende non solo un modello gestionale, ma una vera e propria visione dell’acqua come bene comune da amministrare localmente e con trasparenza.
Cominetto ha preso la parola anche in rappresentanza dei Comuni di Palazzo e Strambinello, oltre che dell’Anpci, l’Associazione nazionale dei piccoli Comuni italiani. Il suo intervento si è concentrato sulle proposte di legge C.1056 e C.1133, attualmente all’esame della Commissione, che mirano a modificare l’articolo 147 del Codice dell’Ambiente. Un passaggio normativo tecnico, ma cruciale, perché da quelle modifiche potrebbe dipendere il futuro delle gestioni autonome.
Il primo cittadino canavesano ha illustrato con chiarezza la posizione dei Comuni resistenti: non una battaglia ideologica, ma una richiesta di riconoscimento. Riconoscere che queste realtà, pur piccole e spesso marginali, hanno saputo garantire negli anni un servizio di qualità, con acqua buona, controllata e distribuita con efficienza, senza sprechi né guasti cronici. Un risultato non scontato, se si pensa alla complessità del settore idrico italiano e al deterioramento di molte reti gestite dalle grandi aziende.
“Le norme attuali – ha spiegato Cominetto – non sempre tengono conto della realtà concreta dei territori. Per ottenere la deroga al passaggio alla gestione integrata, oggi si impone una mole di adempimenti e certificazioni che per i piccoli Comuni è oggettivamente difficile sostenere. Serve un intervento legislativo che riconosca il valore di chi, con risorse limitate, riesce comunque a garantire un servizio eccellente”.
Durante l’audizione, Cominetto ha ripercorso anche il caso della richiesta di salvaguardia avanzata nel 2016all’Autorità d’ambito torinese (ATO3), richiesta che però non ha ottenuto esito positivo. Secondo il sindaco, a pesare è stata l’interpretazione restrittiva della norma da parte dell’ATO4, che ha negato la possibilità a Burolo di continuare a gestire il servizio in proprio. Una scelta che, a suo dire, ha ignorato le specificità locali e l’effettivo buon funzionamento del sistema idrico del paese.
Da qui la proposta, lanciata in sede parlamentare, di una sorta di “sanatoria ragionata” che consenta ai Comuni virtuosi di regolarizzare le proprie gestioni, anche quando queste non coprono tutte le fasi del ciclo idrico (per esempio, se manca il trattamento delle acque reflue, svolto altrove). L’obiettivo? Evitare che la burocrazia cancelli esperienze positive solo perché “fuori standard”.
Cominetto ha chiesto inoltre un alleggerimento degli adempimenti burocratici imposti da ARERA, l’Autorità nazionale di regolazione per energia, reti e ambiente, e l’apertura di canali di finanziamento dedicati a favore dei piccoli Comuni, in modo che possano continuare a investire nelle infrastrutture e affrontare anche le sfide future, come l’emergenza climatica e i periodi di siccità.
E proprio il tema della siccità apre un ragionamento più ampio, che va oltre il Canavese. In un tempo in cui l’acqua sta diventando un bene sempre più raro e prezioso, la sua gestione non può più essere affidata soltanto a logiche economiche e di scala. La siccità, l’inquinamento delle falde, i cambiamenti climatici, ma anche l’aumento delle tariffe che in alcune zone d’Italia sfiora ormai cifre record, stanno trasformando il modo in cui cittadini e amministratori guardano alla risorsa idrica.
Ecco perché esperienze come quelle di Burolo, Palazzo e Strambinello meritano attenzione: non come esempi nostalgici di un passato che non tornerà, ma come modelli alternativi di prossimità, trasparenza ed efficienza, che mettono al centro non il profitto ma il servizio alla comunità. In un mondo che corre verso la privatizzazione di tutto, difendere l’acqua come bene pubblico – e locale – potrebbe essere l’unica vera rivoluzione possibile.
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