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19 Marzo 2025 - 11:09
Medico arrabbiato
Mentre i pazienti attendono mesi per una visita specialistica e i pronto soccorso sono al collasso, l'Asl To5 ha trovato la sua priorità: correggere il linguaggio. Il nuovo "Documento per un linguaggio inclusivo e rispettoso" è la novità del momento. Un’iniziativa che sembra fatta apposta per far discutere, perché, si sa, nulla solleva dibattiti come un elenco di parole proibite.
D'ora in poi, nelle corsie degli ospedali di Chieri, Moncalieri e Carmagnola, non si dovrà più usare termini come "disabile", "deforme" o "ritardato", ma espressioni più rispettose. Anche dire "nano" è ormai superato: meglio "persona piccola" o "con nanismo". Perfino alcune espressioni comuni vengono messe al bando: dire "fumare come un turco" è ormai tabù, mentre il termine "extracomunitario" lascia spazio a definizioni meno connotate. Addio anche a "figa" e "gnocca", considerate riduttive e sessiste. E su questo, almeno, è difficile dissentire.
Il documento è stato fortemente voluto dall'Asl To5, il cui direttore generale Bruno Osella ha sottolineato l'importanza di un linguaggio che non discrimini e che favorisca l'inclusione. Il principio è certamente condivisibile: il modo in cui ci si esprime ha un peso e l’uso di parole inopportune può rafforzare stereotipi e discriminazioni. Il problema, però, è un altro. Siamo sicuri che la sanità pubblica piemontese, con tutte le sue emergenze, avesse bisogno di una priorità del genere in questo momento?
Perché la realtà negli ospedali dell’Asl To5 è ben diversa. Liste d'attesa interminabili, ospedali vecchi e frammentati, reparti senza personale sufficiente, cittadini che rinunciano a curarsi. Eppure, mentre i problemi veri restano sul tavolo, la direzione ha deciso di concentrarsi sulle parole. Che sia un modo per distogliere l’attenzione dal disastro gestionale che si consuma ogni giorno nei presidi sanitari?
L’ospedale unico, promesso e ripromesso da decenni, rimane un miraggio. Nel frattempo, i tre ospedali esistenti continuano a funzionare a singhiozzo. Il pronto soccorso di Carmagnola non ha un reparto di radiologia, costringendo i pazienti a spostarsi altrove. Chieri, invece, non dispone di una neonatologia adeguata. Moncalieri è difficilmente raggiungibile e con carenze strutturali. Ogni spostamento tra una struttura e l’altra si traduce in disagi, ritardi e difficoltà per il personale sanitario e per i pazienti.
Ma non è finita qui. Le liste d’attesa sono fuori controllo. Chi ha bisogno di un intervento chirurgico semplice, come il tunnel carpale, può aspettare fino a un anno. Un problema noto da tempo, eppure la soluzione continua a essere rimandata. La carenza di personale, poi, è un'altra emergenza che nessuna revisione del linguaggio potrà risolvere. Sempre più infermieri e medici lasciano la sanità pubblica per cercare condizioni migliori altrove. E l’Asl To5, che fino a qualche anno fa era considerata un'azienda attrattiva per i professionisti, oggi fatica a coprire i posti vacanti. E se invece di preoccuparsi delle parole, ci si occupasse del perché nessuno vuole più lavorare negli ospedali pubblici?
La sensazione è che questo decalogo sia un’operazione di facciata. Un modo per dare l’impressione di un progresso, mentre i problemi reali restano insoluti. Certo, usare termini rispettosi è importante, ma non sarà una parola diversa a rendere più sicuro un ospedale senza personale. Non sarà un linguaggio più inclusivo a dimezzare i tempi d’attesa per una TAC. Non sarà un decalogo a risolvere il disastro della sanità pubblica.
Se l’Asl To5 voleva dare un segnale, forse avrebbe potuto farlo in modo più concreto. Perché il rischio, quando si investe tanto su operazioni di questo tipo, è quello di perdere di vista le priorità. E allora sì, nelle corsie non si dirà più "storpio" o "extracomunitario", ma il problema resterà lo stesso: un ospedale che crolla è inclusivo per tutti, senza distinzioni.
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