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10 Marzo 2025 - 22:21
“Fra cinquant’anni sull’arco alpino sotto i 1.800 metri non nevicherà più e la neve già scarseggia. Gli impianti sciistici cercano di sopravvivere grazie all’innevamento artificiale e ai finanziamenti pubblici”. Inizia così “Alpi, la fine dello sci per come lo conosciamo”, la prima parte di una inchiesta transnazionale sull’impatto dell’industria dello sci sulle montagne italiane e francesi alla vigilia di Milano-Cortina 2026.
Questo lavoro, realizzato da Michele Bertelli, Federica Bonalumi e Alessandra Tranquillo, e pubblicato oggi su IrpiMedia, uno centro di giornalismo investigativo non profit italiano, mostra in maniera chiara come il futuro dello sci alpino sia appeso a un filo, o meglio, a un fiocco di neve. Secondo le previsioni il turismo bianco è un settore in profonda crisi a causa del costante innalzamento delle temperature ed entro la fine del secolo potrebbe essere solo un ricordo per le località a “bassa quota”. Per questo motivo, è necessario avviare delle riflessioni congiunte su come trovare delle soluzioni efficaci e lungimiranti.
Questo fenomeno, che interessa l’intero arco alpino, è molto evidente anche sulle montagne delle Valli di Lanzo. Ne è un esempio l’inaugurazione dell’impianto Pakinò di Balme, avvenuta il 15 febbraio scorso, che ha avviato la stagione sciistica in Val d’Ala. L’evento, a cui hanno partecipato anche alcuni sindaci dei comuni vicini, è stato posticipato fino alle porte del Carnevale a causa della scarsità della neve.
Questo fenomeno è sempre più comune e sta diventando un problema serio per i comuni le cui entrate principali provengono dal turismo invernale montano. “La Fondazione Cima ha stimato che il volume di neve presente sulle Alpi italiane al 10 gennaio è stata il 67% in meno rispetto all’anno scorso nelle località che si trovano sotto i 2.500 metri di altezza” viene riportato nell’indagine di IrpiMedia.
Nonostante non si preveda un miglioramento di questi dati per il futuro prossimo, l'industria dello sci continua a investire grandi quantità di denaro. Nell’inchiesta si legge che l'Associazione Nazionale Esercenti Funiviari (Anef) ha stanziato 310 milioni di euro per la stagione sciistica in corso, destinati a impianti di risalita, battipista e innevamento programmato. Un investimento che guarda anche alle Olimpiadi invernali del 2026, evento che dovrebbe rappresentare un volano per il settore.
Ma non sono solo gli imprenditori a investire. Anche le Regioni alpine continuano a sostenere economicamente il settore. Per esempio, dopo la chiusura legata al periodo pandemico, la Regione Piemonte ha destinato 33 milioni di euro al sistema neve. “Di questi, 12,5 milioni sono stati destinati alla sicurezza, otto per l’offerta turistica, 1,5 per le microstazioni e 10,5 ai comuni olimpici”.
Oltre ai finanziamenti regionali, il settore può contare su ulteriori 230 milioni di euro stanziati dal ministero del Turismo per il quinquennio 2024-2028, destinati alla manutenzione degli impianti di risalita e all'innevamento artificiale.
In sostanza, il settore sta investendo moltissimo. Si pensi che nella stagione invernale dello scorso anno è stato registrato un incremento totale del fatturato pari all’8,9%.
Tuttavia, è ormai un dato di fatto che il cambiamento climatico stia minacciando un'intera filiera che dà lavoro a circa 15.000 persone. Allo stesso modo è evidente, sia alle amministrazioni locali, sia a livello regionale e statale, che è necessario diversificare l’offerta turistica delle montagne italiane e puntare su soluzioni che permettano di sviluppare altri modelli economici. È quanto emerge anche dal lavoro di Bertelli, Bonalumi e Tranquillo: "basare lo sviluppo su un solo asset economico è estremamente rischioso".
La sfida dei prossimi anni sarà quindi di adattarsi alle conseguenze in atto del cambiamento climatico e diversificare il più possibile l’offerta turistica. Un obiettivo che alcune amministrazioni stanno già prendendo in considerazione, ma che è necessario sviluppare ulteriormente.
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