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10 Marzo 2025 - 10:16
La festa di un anno e mezzo fa per i 100 anni della Tenneco
Un anno e mezzo fa i grandi festeggiamenti per il centenario dello stabilimento cuorgnatese; ora il suono della campana a morto. L’ex-Trione, poi Federal Mogul, poi Tenneco, attualmente di proprietà del fondo Apollo, con l’annuncio dei 111 trasferimenti su un totale di 140 lavoratori ha di fatto comunicato la fine della sua presenza a Cuorgnè.
E’ difficile immaginare che un’unità produttiva possa sopravvivere ad una cura dimagrante di questo tipo e non c’è bisogno di essere esperti di industria o di finanza per capirlo. Non c’è nemmeno bisogno di possedere nozioni basilari di economia: basta aver seguito vicende analoghe nel corso degli anni e ricordarsi delle tante, dure lotte tristemente fallite. Anche il più ottimista degli osservatori, il più benevolo verso le operazioni spregiudicate delle grandi aziende, farebbe fatica a negare che un ridimensionamento di tal genere preluda allo spostamento definitivo di tutta la produzione, per ora a Chivasso, poi chissà dove e con chissà quanti tagli al personale. Già negli ultimi anni, lentamente, i numeri di Cuorgnè si erano ridotti: 220 dipendenti nel 2018; 177 nel settembre 2023; ora 140.
Molte volte i ridimensionamenti e le chiusure delle aziende sono stati portati avanti in modo lento, graduale, mascherato. Stavolta invece la decisione è stata resa nota in modo tanto brutale da lasciare davvero poco spazio alla speranza: anche nell’incontro con i sindacati, tenutosi venerdì 7 marzo all’Unione Industriale, i vertici aziendali hanno chiuso le porte alla trattativa. E i sindacati, per quanto determinati e combattivi, poco possono se lottano da soli, senza sostegni esterni.
Qualunque ridimensionamento che avvenga in un’azienda costituisce un segnale negativo ma il grado di negatività varia a seconda di modalità e motivazioni. Quando una società piccola o media, radicata nel proprio territorio, riduce i dipendenti per cause di forza maggiore, non si può fargliene una colpa. Quando il personale non viene ridotto ma spostato altrove da un’azienda di grandi dimensioni il motivo è < l’ottimizzazione> dei costi: una definizione rassicurante che significa in realtà, nella maggior parte dei casi, la semplice ricerca di un profitto esasperato, che non si ferma di fronte a nessuna considerazione sociale o morale.
Produzione alla Tenneco
Anche ammesso e non concesso che lo stabilimento della Tenneco non venisse del tutto smantellato, cosa resterebbe a Cuorgnè di un’azienda della quale andava fiera? Soltanto le briciole. Sarebbe un danno enorme per una città dall’assetto economico fragile, che ha visto negli ultimi decenni diminuire drasticamente il proprio peso in ogni settore, da quello industriale a quello dei servizi a quello commerciale. Servirebbe una grande mobilitazione dei cittadini e del mondo politico ma è alquanto difficile che avvenga. In un’epoca nella quale la solidarietà e la partecipazione sono diventate valori desueti, ciascuno si occupa solo di ciò che lo riguarda direttamente, senza nemmeno capire che le disgrazie altrui si ripercuotono spesso anche su chi credeva di esservi estraneo. Quanto ai politici, in genere si dividono in due grandi categorie: quelli che chinano la testa e quelli che solidarizzano con i lavoratori ma senza assumere iniziative concrete. I partiti di destra accettano passivamente ogni decisione delle grandi aziende in nome della famosa <Libertà d’impresa>, valore supremo di fronte al quale viene meno qualunque diritto delle persone e delle comunità. I partiti di sinistra attaccano queste decisioni nefaste, manifestano insieme agli operai, condannano la rapacità dei <prenditori> ma non fanno quasi mai l’unica cosa che potrebbe contrastare tali scelte: mettere a punto disegni di legge che dettino delle regole e pongano dei freni. E’ vero che quando ci provano – a livello regionale, nazionale, europeo – vengono sconfitti dalle grandi lobby ma questo dovrebbe essere il compito dei politici: provare, riprovare, insistere, cercare di convincere una parte almeno degli avversari che mettere dei paletti andrebbe anche a loro vantaggio.
Quel che proprio non si deve fare è appellarsi al buon cuore dei grandi manager. Cos’importa ai vertici di una multinazionale se 111 operai dovranno rinunciare a tante e tante ore di tempo libero, ogni settimana, per raggiungere una città distante 35 chilometri dall’attuale sede di lavoro? E cos’importa se, oltre al tempo libero, vedranno diminuire anche i guadagni a causa delle spese per il carburante? Quanto ai dipendenti che non guidano o che non possiedono un’auto, peggio per loro se a Chivasso non riusciranno nemmeno ad arrivarci perché di mezzi di trasporto pubblico che la colleghino con Cuorgnè non ne esistono: potranno sempre licenziarsi…
La storia della Trione & C. è simile a quella di tante altre aziende del Canavese: nacque per iniziativa di un artigiano intraprendente e capace, che iniziò con una piccola officina per poi diventare un imprenditore di successo. Giovanni Trione, formatosi come meccanico in una scuola professionale, aprì il suo laboratorio nel 1923 con un amico, Alessandro Coha, dopo essere diventato socio di maggioranza di una società - la Sartirana – della quale due anni prima aveva acquisito delle quote. Nel 1929 si era già a 90 dipendenti e nel ‘32 – nel pieno della Grande Depressione mondiale - avvenne la svolta decisiva: la messa a punto del <Metalrose>, una lega di rame e piombo con la quale realizzare i cuscinetti anti-frizione, sostituendola a quella di stagno e rame fino ad allora utilizzata e inadatta ai grandi motori. Destino volle che nello stesso anno una lega molto simile a questa venisse creata negli Stati Uniti dalla… Federal Mogul.
Giovanni Trione morì nel 1942, lasciando un’azienda in buona salute, che aveva a cuore il benessere dei propri dipendenti e la loro formazione: era stato lui a fondare l’Enfapi, la scuola professionale che ancora esiste sotto la denominazione di C.I.A.C.
Nel Dopoguerra la Trione continuò a crescere, arrivando a contare 800 dipendenti mentre da una sua costola nasceva l’Elettrometallurgica. Gli eredi, in dissidio tra loro, ad un certo punto decisero di vendere e ad acquisire l’azienda fu proprio la concorrente americana, la Federal Mogul.
Con il passaggio alla multinazionale lo stabilimento continuò a produrre e a prosperare ma ad un certo punto rischiò la chiusura. Accadde nel 1994 e per quale motivo? Non per una crisi produttiva ma per scelte “strategiche” della proprietà. L’opposizione di lavoratori e sindacati fu però molto dura e la decisione rientrò.
Potrebbe accadere anche ora, come un trentennio fa con la Federal Mogul, che la Tenneco sia costretta a fare marcia indietro? Vicende analoghe di altre aziende dicono che le multinazionali non le ferma più nessuno… perché nessuno s’impegna a farlo.
Rispetto a trent’anni fa è cambiato due volte l’assetto societario e non certo in meglio. Nel 2018, come un fulmine a ciel sereno, la Federal Mogul era stata assorbita da un’altra impresa del settore, la Tenneco, e qualche preoccupazione era sorta, visto che tali operazioni in genere non vanno a favore dei dipendenti. Sul momento non erano avvenuti stravolgimenti ma nel 2022 la Tenneco venne acquisita da un fondo d’investimento, il Fondo Apollo. Le conseguenze si vedono ora.
Sarebbe facile giustificare la scelta di portare quasi tutta la produzione a Chivasso richiamandosi alla crisi dell’automotive, ai costi dell’energia e dei trasporti. Tutto vero ma la crisi attuale non è scoppiata adesso. Esisteva anche nel settembre del 2023, allorché venne celebrato il centenario con grande sfarzo e con i lavoratori trasformati in guide che spiegavano orgogliosi quanto efficiente fosse la loro azienda: quel che è successo dopo nel mondo produttivo, a livello nazionale e mondiale, non è stato un fulmine a ciel sereno.
Il problema dei fondi d’investimento è che non puntano a sviluppare o consolidare la produzione delle imprese ma a ricavare da queste il massimo profitto finanziario nel minor tempo possibile: ad interessare sono solo i guadagni di borsa per i sottoscrittori, spesso gonfiati artificialmente. E per le Borse, guarda caso, ridurre i dipendenti o il numero degli stabilimenti è buona cosa…
Siamo ben oltre la predazione di brevetti e di tecnologie, quando le multinazionali acquisivano le aziende concorrenti per impadronirsi dei loro segreti o, peggio, per estrometterle dal mercato (basti pensare a quel che accadde alla Sandretto di Pont). Ormai si tratta solo di far girare i soldi.
Un segnale d’allarme era stato lanciato, proprio durante il convegno per il centenario, dal direttore dello stabilimento Massimo Vallosio, che aveva concluso il suo intervento con un’affermazione abbastanza inquietante, probabilmente sfuggita alla maggior parte dei presenti: “Coloro che gestiscono i fondi ragionano in modo molto semplice ed hanno un unico interesse: che l’azienda sia il più possibile redditizia”.
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