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Qualcosa di sinistra
10 Marzo 2025 - 09:32
Dallo Studio Ovale alla legge del più forte: il tramonto della diplomazia
Cosa rimarrà di quel drammatico incontro tenutosi alla Casa Bianca, delle parole pronunciate con tono beffardo, dell’ospite cacciato in malo modo, messo alla porta senza che gli venga offerta la ancorché minima possibilità di replica? Come motiveranno l’accaduto coloro che ne scriveranno sui libri di storia?
Quello che è andato in scena nello Studio Ovale è stata la dimostrazione plastica della propensione alla brutalità del mondo contemporaneo, della rinnovata arroganza delle oligarchie, di una società risospinta allo «stato di natura»proprio dai governati delle più grandi democrazie del Ventesimo secolo.
In questo presente ci tornano in aiuto gli Antichi. Qualche politologo, osservando l’accaduto, ha ripreso le parole di Tucidide, lo storico greco che ci ha raccontato come nel 416 a.C., durante la guerra del Peloponneso, gli ateniesi decisero di avere ragione dell’isola di Melo, una colonia spartana che pretendeva di rimanere neutrale tra le due potenze greche. Gli ateniesi vollero allora impartire una lezione a coloro che osarono sfidarli: i Meli vennero sconfitti e cancellati. La morale? Per gli ateniesi, «il concetto di diritto esiste solo tra pari, mentre tra forti e deboli comanda solo una cosa: la forza».
Facciamo un salto di parecchi secoli: arriviamo al filosofo inglese, Thomas Hobbes (1588-1679), teorico del giusnaturalismo. Per Hobbes, lo stato di natura (homo homini lupus), durato un breve periodo nella storia dell’umanità, in determinati momenti tende a riemergere. Prendendo ad esempio la guerra civile inglese, il ritorno allo stato di natura porta la lotta per il potere con la violenza; per rimediarvi, Hobbes propone la costruzione dello Stato che, con le leggi positive, allontana la guerra di tutti contro tutti (guerra civile, tra le tribù e tra gli Stati). Per assicurare la fine della guerra perenne, secondo Hobbes, occorre firmare un patto che si basi su tre norme essenziali: «pax est querenda», si deve perseguire la pace; «ius in omnia est retinendum», bisogna rinunciare a tutti quei diritti che non siamo disposti a concedere agli altri; «pacta sunt servanda», occorre tenere fede ai patti (i patti vanno rispettati).
Nel confronto tra i capi di Stato ucraino e statunitense, questi tre principi sembrano essere stati traditi e abbiamo assistito impotenti e attoniti al crollo di alcuni pilastri fondamentali della diplomazia, riportando così indietro l’orologio della Storia.
Potremmo anche ricorrere alla favoletta di Esopo, dell’agnello e del lupo, e di come quest’ultimo cerchi la scusa (mi sporchi l’acqua) per aggredirlo. In politica estera sono da preferirsi rapporti paritari tra Paesi, almeno teoricamente, a cominciare dalle relazioni economiche.
Noi sappiamo che l’umiliazione di uno Stato e la prepotenza dei più forti su quello debole genera rancore (come fu per la pace ingiusta imposta alla Germania alla fine del primo conflitto mondiale), alimentando il nazionalismo e il revanscismo. A segnare drammaticamente il nostro presente, come denuncia il presidente Sergio Mattarella, sono i pericoli insiti «nell’erosione del tabù nucleare, sottolineandone la portata limitata, controllabile e circoscrivibile, suggerendo la loro accettabilità nell’ambito di guerre che si pretenderebbero locali».
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