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07 Marzo 2025 - 23:26
Perde il figlio di 10 mesi: la testimonianza di una mamma commuove l'aula di tribunale
È riapparsa in tribunale ieri, a Torino, la storia di un bambino di appena dieci mesi, Tito, morto il 16 aprile 2021 nel reparto di terapia intensiva dell’ospedale Regina Margherita. Quel piccolo avrebbe dovuto affrontare un’operazione al polmone considerata «di routine» dai medici. Invece, la vicenda si è trasformata in un incubo per la famiglia e in un complicato percorso giudiziario che ora vede sul banco degli imputati l’anestesista, Daniele Mirabile, accusato di non essersi accorto per tempo del dissanguamento che stava uccidendo il bambino.
La tragedia e i processi precedenti. Era il 15 aprile 2021 quando Tito è entrato in sala operatoria per l’asportazione di una piccola parte di polmone congenitamente malformata. Il primario di Chirurgia pediatrica, Fabrizio Gennari, non era presente, e l’intervento fu affidato a Paolo Lausi, chirurgo normalmente attivo alle Molinette su pazienti adulti. Nel corso dell’operazione, Lausi ha reciso l’aorta per errore, scambiandola per un vaso sanguigno anomalo: un gesto tragico e, secondo i consulenti tecnici, «grossolano e letale». Subito dopo, nessuno se ne sarebbe accorto. Tito fu quindi trasferito in terapia intensiva senza che emergesse la vera causa del suo peggioramento.
Il bambino è morto nelle prime ore del mattino seguente, dopo essere stato per ore tra le braccia della madre, che tentava disperatamente di capire perché i valori del piccolo continuassero a precipitare. In tribunale, la donna ha ripercorso quei momenti con un tono dolce, segnato da un dolore che neppure il tempo ha scalfito. Il chirurgo Lausi, assistito dall’avvocata Monica Muci, ha patteggiato una pena di due anni senza condizionale e, da quel giorno, non opera più. Il primario Gennari, difeso dagli avvocati Vittorio Nizza e Paola Pinciaroli, è stato assolto in primo grado, ma la Procura – rappresentata dal pubblico ministero Francesco La Rosa – ha presentato ricorso: il caso verrà discusso nuovamente in Corte d’Appello.
L'ospedale infantile Regina Margherita di Torino
L’anestesista e l’ultima udienza. A rispondere ora di omicidio colposo è Daniele Mirabile, l’anestesista. Secondo l’ipotesi d’accusa, sarebbe venuto meno a un monitoraggio «idoneo e ininterrotto», usando strumenti non sufficienti (un unico pulsossimetro) e non accorgendosi in tempo della lenta perdita di sangue. Si sarebbe potuta evitare la morte di Tito, sostiene la Procura, con un intervento chirurgico d’urgenza in grado di suturare la lesione all’aorta, se solo il crollo dei parametri fosse stato rilevato senza ritardi. La difesa ribatte che tutto venne gestito correttamente e che l’errore iniziale del chirurgo non poteva comunque essere fronteggiato con un salvataggio tempestivo, visti i danni ormai irreversibili.
La testimonianza della madre di Tito. Ieri, nell’aula di tribunale, la madre è tornata a raccontare le ultime ore di vita del figlio. Ha parlato con compostezza, senza accusare esplicitamente nessuno, ma sottolineando più volte che lei e il padre del bambino erano entrati in ospedale convinti di trovarsi in mani esperte. Il suo racconto non ha avuto toni di rabbia, piuttosto di sconforto e smarrimento: un affidamento tradito, così lo ha descritto, perché mai avrebbe immaginato che il primario non fosse in sala operatoria e che, al suo posto, ci fosse un professionista che di solito lavora su pazienti adulti. Il tutto mentre lei si sentiva tranquilla, rassicurata dall’idea che quell’intervento fosse una procedura di normale amministrazione per l’ospedale pediatrico.
Con precisione ha ricordato le ore di attesa, la discesa in terapia intensiva, il sollievo iniziale nel vedere Tito ancora vivo. Poi l’improvviso sospetto che qualcosa non andasse: la pelle del piccolo diventava più pallida, le mani erano fredde e i parametri sul monitor scendevano inesorabilmente. Un’emorragia silenziosa, che nessuno riusciva a individuare. Le sue parole hanno commosso l’aula, dove anche i presenti si sono trovati a condividere il dolore di una madre che ha fatto di tutto per salvare il proprio bambino.
Le responsabilità contestate e il risarcimento. Il pubblico ministero Francesco La Rosa vuole chiarire ogni aspetto delle responsabilità. Fin dalle prime indagini, l’accusa ha sostenuto che il bambino non avrebbe dovuto finire nelle mani di un medico «per adulti». E, anche laddove questo fosse stato inevitabile, l’intera équipe avrebbe dovuto vigilare costantemente per cogliere il minimo segnale di sofferenza post-operatoria. Per la famiglia di Tito, rappresentata dall’avvocata Michela Malerba, non è solo una questione di giustizia: è il tentativo di dare un senso a una perdita che appare, a distanza di quattro anni, ancora impossibile da accettare.
Nel frattempo, l’Asl Città della Salute ha risarcito i familiari con un milione di euro, un accordo che non chiude la vicenda penale. I genitori restano comunque persone offese, intenzionati ad arrivare fino in fondo, per capire perché il loro piccolo non sia stato soccorso in tempo e perché siano state prese determinate decisioni in sala operatoria.
Nei prossimi mesi, il tribunale dovrà giudicare se davvero la vita di Tito potesse essere salvata con un monitoraggio diverso o se, una volta compiuto l’errore di recidere l’aorta, ogni manovra di contenimento fosse destinata a fallire. È un interrogativo che pesa come un macigno.
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