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Cronaca

Insultato dall'avversario perché di colore: allenatore e compagni fermano la partita

La squadra Under 15 abbandona il campo per insulti razzisti: un gesto di forte impatto nel calcio giovanile

Insultato dall'avversario perché di colore: allenatore e compagni fermano la partita

Insultato dall'avversario perché di colore: allenatore e compagni fermano la partita

Un altro episodio di discriminazione razziale, l’ennesimo, nell’ambito di una partita di calcio giovanile. E quella fastidiosa sensazione di déjà-vu che assale tutti coloro che, purtroppo, ne sono testimoni. Un anno fa fu il portiere del Milan, Mike Maignan, a subire pesanti insulti dagli spalti in Serie A, spingendo l’arbitro a sospendere temporaneamente la gara Udinese-Milan. Oggi, un segnale forte arriva da Castellamonte, in provincia di Torino, e fa discutere: stavolta sono stati i dirigenti e l’allenatore di una squadra Under 15 di calcio a 5 a dire “basta”.

La vicenda risale allo scorso 9 febbraio, durante un match del campionato regionale Under 15 tra il Castellamonte Calcio a 5 e il Ch4 Sporting Club. Con la partita in bilico sul 3-2 per i padroni di casa, il dirigente accompagnatore Raffaele Luciani e l’allenatore Rodrigo De Lima hanno deciso di ritirare la propria squadra. Non una decisione presa a cuor leggero, ma una scelta di rottura giustificata da quanto accaduto in campo a uno dei loro ragazzi, originario della Costa d’Avorio, preso di mira con insulti a sfondo razzista da un avversario.

A peggiorare la situazione, ci sono state ulteriori frasi di uguale tenore provenienti dagli spalti. Il giovane giocatore, ferito da tali parole, ha reagito d’impulso, rimediando un cartellino rosso dall’arbitro. Tuttavia, nel referto della gara, il direttore di gara dichiara di non aver udito gli insulti discriminatori, né quelli provenienti dal pubblico. Il risultato è stato una sentenza quasi beffarda: sconfitta a tavolino (0-6) assegnata al Castellamonte, conformemente a ciò che l’arbitro ha messo nero su bianco nel suo rapporto.

La società bianconera canavesana, dal presidente al più giovane collaboratore, ha sostenuto compatta la decisione di abbandonare la partita. Poco importa se il giudice sportivo non ha potuto far altro che infliggere loro la sconfitta: la presa di posizione rimane carica di significato, e il messaggio è chiaro – il razzismo, a qualsiasi livello, non può essere tollerato.

Eppure, proprio questo atto simbolico non compare nel comunicato ufficiale federale, per il semplice fatto che l’arbitro non ha rilevato l’insulto razzista e si è limitato a refertare l’espulsione e l’abbandono del terreno di gioco.

I precedenti di pochi giorni fa

Se questa vicenda lascia l’amaro in bocca, non rassicura certo sapere che appena qualche giorno prima si è verificato un caso analogo nel Biellese, durante una partita del campionato provinciale Under 14. Un tredicenne è stato chiamato “scimmia di m…” da uno spettatore della squadra di casa, trasformando un normale pomeriggio di sport in un momento di vergogna collettiva. Il giudice sportivo ha sanzionato la società Ponderano con 300 euro di multa, una cifra simbolica che appare ridicolmente inadeguata a fronte di un problema così radicato.

La società valdostana ospite, l’ASD Saint-Vincent Châtillon, si è dichiarata “spiazzata” dall’esito dell’indagine e ha annunciato di voler organizzare iniziative di sensibilizzazione, nella convinzione che solo un cambiamento culturale profondo possa davvero arginare la piaga del razzismo negli stadi, a prescindere dall’età dei protagonisti in campo.

Non si tratta soltanto di partite tra ragazzi o campionati provinciali: il razzismo nel calcio italiano è un virus che colpisce i settori giovanili e la Serie A con la stessa violenza. Basti pensare ai recenti insulti online rivolti a Moise Kean, attaccante della Fiorentina e della Nazionale, per comprendere come i contesti professionistici e dilettantistici non siano poi così distanti nella gravità degli episodi.

La domanda più urgente è: quale messaggio stiamo trasmettendo ai nostri figli quando, dagli spalti, si lanciano offese becere e razziste a giovani calciatori? E la risposta, purtroppo, è che nessuna sanzione potrà davvero funzionare se non si interviene sull’educazione e sul contesto culturale.

Scegliere di lasciare il campo, perdendo a tavolino, è un gesto tanto doloroso quanto necessario. Significa affermare che i valori umani valgono più di un risultato sportivo e che il rispetto per ogni persona viene prima di qualsiasi coppa o classifica. Castellamonte Calcio a 5 ha dato un segnale di dignità e fermezza, ricordando a tutti che lo sport deve essere un’opportunità di crescita e non un pretesto per vomitare odio.

La speranza è che questo esempio venga seguito da altre società, dirigenti e allenatori. Che il coraggio di Luciani e De Lima non resti un caso isolato, ma si trasformi in un monito per tutte quelle realtà che, ancora troppo spesso, minimizzano o ignorano il fenomeno. Il razzismo non fa sconti a nessuno, ma noi possiamo scegliere di non restare in silenzio.

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