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"Non voglio morire qui": il grido disperato di Simona Vlaic abbandonata alle Molinette

Dopo un trapianto di fegato, la titolare del San Giors denuncia il calvario vissuto al pronto soccorso delle Molinette

"Non voglio morire qui"

"Non voglio morire qui": il grido disperato di Simona Vlaic abbandonata alle Molinette

Un intervento che avrebbe dovuto rappresentare l’inizio di una nuova vita si è trasformato in un incubo per Simona Vlaic, torinese di 52 anni e titolare dello storico ristorante San Giors. Dopo un trapianto di fegato eseguito con successo il 19 novembre scorso alle Molinette di Torino, Simona si ritrova bloccata in pronto soccorso, in un limbo ospedaliero dove le cure tardano ad arrivare. «Mi sento abbandonata, ho il terrore di prendermi qualcosa e di morire qui», confessa con disperazione.

La storia di Simona è un lungo percorso di sofferenza. Dopo una diagnosi di policistosi epatorenale, un tumore alla tiroide, l’asportazione di un rene e un anno di dialisi, il trapianto di fegato sembrava rappresentare la svolta tanto attesa. L’intervento, eseguito dall’équipe guidata dal noto chirurgo Renato Romagnoli, le aveva dato la speranza di una nuova vita, sebbene fosse necessario continuare la dialisi bisettimanale a causa dell’insufficienza renale residua.

Ma la realtà si è rivelata ben diversa. Dopo un ricovero d’urgenza per un picco di potassio e una successiva dimissione, Simona è stata costretta a tornare in pronto soccorso a causa di dolori addominali lancinanti. La diagnosi di stasi intestinale non ha portato alcun sollievo, e i sintomi sono peggiorati, costringendola a un nuovo ricovero.

Dopo un trapianto di fegato eseguito con successo il 19 novembre scorso alle Molinette di Torino, Simona si ritrova bloccata in pronto soccorso, in un limbo ospedaliero dove le cure tardano ad arrivare

Un sistema sanitario in difficoltà

La situazione di Simona mette in luce le criticità del sistema sanitario. «Mi hanno fatto solo due radiografie, nessuna TAC, risonanza magnetica o ecografia di approfondimento», denuncia la 52enne. «Non è possibile restare giorni in pronto soccorso rischiando di infettarsi con qualsiasi virus, dopo che, solo poche settimane prima, nello stesso ospedale ti hanno donato un fegato nuovo. È un incubo».

Le sue parole riflettono un sentimento diffuso tra i pazienti che si trovano ad affrontare lunghe attese nei reparti di emergenza, spesso in condizioni inadeguate.

Mentre Simona vive il suo calvario, il sistema sanitario piemontese si prepara a una serie di cambiamenti significativi. L’assessore alla sanità Federico Riboldi ha annunciato imminenti nomine per i nuovi dirigenti delle aziende sanitarie regionali. Tra le figure chiave, spicca quella di Thomas Schael, scelto come commissario della Città della Salute di Torino.

Una scelta che ha già suscitato polemiche, ma che Riboldi ritiene necessaria per rilanciare un’azienda in difficoltà. Tuttavia, storie come quella di Simona Vlaic evidenziano quanto lavoro ci sia ancora da fare per garantire cure tempestive e dignitose ai pazienti.

La vicenda di Simona Vlaic non è solo una storia di malasanità, ma il simbolo di un sistema che fatica a rispondere ai bisogni dei più vulnerabili. Le sue parole, «Non voglio morire qui», sono un appello disperato che il sistema sanitario non può permettersi di ignorare.

In un momento in cui la sanità piemontese si prepara a grandi cambiamenti, la priorità deve rimanere quella di garantire ai pazienti un’assistenza adeguata e rispettosa, per evitare che casi come quello di Simona diventino la norma.

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