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“Erba alta? No, biodiversità!” A Settimo la manutenzione si chiama innovazione

Dal convegno sul verde pubblico emerge un’idea rivoluzionaria: meno si taglia, più si tutela l’ecosistema. Un modo elegante per mascherare l’incuria con la scusa della biodiversità.

“Erba alta? No, biodiversità!” A Settimo la manutenzione si chiama innovazione

Ieri sera, nella Sala Levi della Biblioteca Archimede, è andata in scena una delle classiche serate da manuale delle buone intenzioni. Titolo accattivante, relatori illustri e un pubblico che, per l’ennesima volta, ha sentito parlare di “sfalcio differenziato” e “Nature-Based-Solutions” come se fossero la panacea per ogni problema. L’incontro, organizzato dal Comune di Settimo Torinese in collaborazione con il Festival del Verde di Torino, ha cercato di fare il punto su come gestire il verde urbano. Ma è davvero così difficile accettare che, più che soluzioni innovative, si tratta di strategie per giustificare il degrado?

Gli esperti intervenuti hanno snocciolato teorie e studi sulle nuove modalità di gestione delle aree verdi. La Professoressa Consolata Siniscalco ha parlato di biodiversità urbana come elemento chiave per il futuro delle città, mentre l’architetta Bianca Maria Rinaldi ha sottolineato l’importanza di scegliere specie vegetali adatte ai cambiamenti climatici. A colpire, però, non sono state tanto le nozioni scientifiche quanto l’impressione che tutto questo fosse una lunga, elegante difesa del “non fare nulla”. Se l’erba è alta, non è incuria, ma biodiversità. Se le aiuole sembrano incolte, non è trascuratezza, ma una strategia per favorire gli insetti impollinatori.

sfalcio differenziato

A Settimo, questa teoria sembra aver trovato terreno fertile, almeno tra i rappresentanti istituzionali.

L’Assessore ai lavori pubblici, Alessandro Raso, ha parlato apertamente di scarsità di risorse economiche e di come il Comune stia tentando di conciliare esigenze di decoro urbano con quelle ambientali. Tradotto: tagliare l’erba costa troppo, quindi chiamiamolo esperimento ecologico. Un modo elegante per giustificare anni di mancata manutenzione e risorse mai allocate a quello che, a detta di molti cittadini, è uno dei problemi più evidenti della città.

Il cambiamento climatico, poi, è diventato il capro espiatorio perfetto. Il vento, il caldo, l’inquinamento: tutto viene chiamato in causa per spiegare la difficoltà di mantenere aiuole in ordine e alberi in buona salute. Forse è il caso di ricordare che il verde pubblico esiste da ben prima che il termine “crisi climatica” entrasse nel vocabolario quotidiano. Eppure, decenni fa, non c’era bisogno di teorizzare soluzioni innovative per garantire ai cittadini parchi vivibili e marciapiedi liberi dalle erbacce.

La serata, naturalmente, non è stata priva di esempi virtuosi. Sono stati illustrati casi di successo da città come Bergamo e Novara, dove le amministrazioni hanno davvero investito in progetti concreti per il verde pubblico.

Ma confrontare questi modelli con Settimo suona quasi offensivo, dato che qui la sensazione dominante è che si proceda più per giustificazioni che per reali strategie.

Forse il punto più interessante della serata è stato proprio quello non detto: che senso ha investire tempo e risorse per creare un parco o una nuova area verde, se poi l’unica strategia è lasciarlo “selvaggio” in nome della biodiversità?

Non sarebbe più semplice non investire affatto e lasciare che madre natura faccia il suo corso, senza proclami e senza spese pubbliche?

Alla fine, resta la sensazione di una grande operazione di marketing politico.

Chiamare “innovazione” quella che agli occhi di molti cittadini sembra semplice incuria non è solo paradossale, ma anche profondamente irritante. Forse, come suggeriva ironicamente un residente in sala, la prossima conferenza potrebbe intitolarsi: “Degrado urbano: un’opportunità per la biodiversità”.

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