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L'Unione fa la forza

Sicurezza a Ivrea: serve più coraggio, non solo più telecamere

Telecamere e forze dell’ordine non bastano: la vera sfida è affrontare le cause del disagio sociale con politiche preventive e inclusive. L’appello ai politici: guardate il problema da una nuova angolazione

Sicurezza a Ivrea: serve più coraggio, non solo più telecamere

Sono passati molti anni da quando nelle sale cinematografiche usciva il film “L’attimo fuggente”, un film che ho amato come pochi e che ancora oggi rivedo volentieri. Interpretato da uno straordinario Robin Williams, nel ruolo del professor John Keating, il film ci regala una scena memorabile: il professore, in piedi sulla cattedra, osserva la classe e invita gli studenti a imitarlo.
«Sono salito sulla cattedra – spiegava – per ricordare a me stesso che dobbiamo sempre guardare le cose da angolazioni diverse. E il mondo appare diverso da quassù».

A tutt’oggi, questo suggerimento rimane attuale, ma è poco ascoltato, soprattutto dai politici. Quelli locali non sono da meno rispetto ai nazionali: altrettanto disinteressati e poco inclini a cambiare prospettiva.

Il professor Keating invita a diffidare delle decisioni preconfezionate e del pensiero dominante. A essere autonomi rispetto alla narrazione mainstream. Incoraggia a non scegliere a scatola chiusa, a ragionare con la propria testa. Sprona a non portare il cervello all’ammasso.

Stare in piedi sulla cattedra non è un esercizio difficile e può offrire numerosi vantaggi. Permette di individuare soluzioni nuove e di avere una libertà di giudizio non inquinata dalla propaganda o dall’ideologia.

Ecco che, in questi giorni, si susseguono notizie e allarmi sulla sicurezza a Ivrea: violenza, vandalismi, aggressioni, risse, teppismo. Fenomeni che impongono misure di sicurezza adeguate e interventi tempestivi. I cittadini chiedono risposte concrete e percepibili.

Ma la ricetta di certa politica si limita alla denuncia. Non sale in piedi sulla cattedra, non cerca un’altra prospettiva. Si limita, come un giornalista, a denunciare e creare allarme.

Si propone l’incremento delle telecamere, il potenziamento delle forze dell’ordine, l’inflessibilità nel sanzionare i trasgressori. Una strategia che, se da un lato aiuta a ridurre comportamenti fuorilegge e a identificare i colpevoli, dall’altro non sembra affrontare in modo incisivo le cause di queste azioni.

Certo, l’implementazione delle telecamere può essere utile, ma non è una soluzione miracolosa per la sicurezza. L’orwelliano “Grande Fratello” rappresenta un salasso garantito per le casse comunali, che devono sostenere costi elevati per l’installazione e la manutenzione. Il rapporto costi/benefici giustifica davvero questo investimento? Non sarebbe più efficace destinare parte di queste risorse a interventi meno appariscenti ma più incisivi nel lungo periodo?

Un discorso analogo, ma più complesso, riguarda il potenziamento delle forze dell’ordine sul territorio. Questo richiede interventi strutturali e coinvolge lo Stato. Inoltre, una presenza massiccia di poliziotti e carabinieri, se da un lato rassicura, dall’altro può generare ansia e preoccupazione, anziché senso di sicurezza.

Ivrea

Ivrea non è una città dominata dal malaffare o dalla violenza. Certo, non è immune da questi fenomeni, ma non presenta una situazione post-apocalittica o distopica. Non è la New York dei ghetti. Porre la questione sicurezza in termini catastrofici rischia di trasformarla in paranoia del controllo.

Alcuni politici conoscono bene il consenso generato dal triangolo: più telecamere, più forze dell’ordine, più pugno di ferro. Lo cavalcano soddisfatti, strappando applausi. Ma lo spot mediatico oscura il vero nodo del problema: il disagio sociale.

La maggior parte dei politici non sale in piedi sulla cattedra. Non vede, o finge di non vedere, il nodo gordiano del disagio sociale. Preferisce soluzioni facili e rapide, che generano consenso immediato.

Sciogliere il nodo gordiano non significa escludere telecamere o pattugliamenti. Significa considerare anche opzioni per ridurre il disagio sociale. Significa lavorare sulle cause che generano violenza e fenomeni antisociali, prevenendo le situazioni di bisogno, emarginazione e disagio.

Salire in piedi sulla cattedra implica decisioni coraggiose, anche controcorrente. «Due strade trovai nel bosco, e io scelsi quella meno battuta. Ed è per questo che sono diverso», diceva il professor Keating, citando Robert Frost.

La sicurezza urbana è un tema complesso, che richiede una figura dedicata: un Coordinatore delle Politiche per la Sicurezza Urbana, capace di sviluppare collaborazioni tra enti pubblici e privati, promuovendo vivibilità e coesione sociale in una logica di prevenzione integrata.

Prevenzione che non si limita alla sicurezza fisica, ma comprende lavoro, istruzione, casa, assistenza e relazioni sociali. Tuttavia, assistiamo oggi a una pericolosa tendenza: un approccio sicuritario, aggressivo e poliziesco, sproporzionato rispetto alla realtà dei fenomeni, che ridimensiona il ruolo centrale delle politiche preventive e inclusive.

Gentili amministratori, salite in piedi sulla cattedra. Forse, da quella prospettiva, riuscirete a vedere le cose da un’altra angolazione.

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