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23 Novembre 2024 - 09:07
Il mistero della donna segregata in casa da 12 anni a Chivasso
Sara, un nome che racchiude una storia di dolore e silenzio. In una frazione di Chivasso, una donna ultraottantenne è stata trovata in condizioni strazianti, vittima di un isolamento che dura da almeno dieci anni. Capelli lunghi fino ai piedi, unghie delle mani cresciute come artigli, un corpo debilitato e un’anima probabilmente spezzata. La sua casa, un luogo che avrebbe dovuto essere rifugio, era invece uno scenario di abbandono: terra sul pavimento, rifiuti accumulati, odori insostenibili. Al suo fianco, un figlio di 49 anni, affetto da autismo, che non aveva più la forza di affrontare la quotidianità.
La scoperta di questa tragedia è avvenuta quasi per caso, grazie alla segnalazione del datore di lavoro del figlio. L’uomo, operaio, non si presentava al lavoro da settimane, e il suo silenzio aveva destato preoccupazione. I carabinieri, giunti sul posto, si sono trovati di fronte a una scena che racconta di una società distratta, incapace di accorgersi di chi soffre nell’ombra. Sara era sdraiata su un divano, circondata da degrado e solitudine, mentre il figlio giaceva a letto, oppresso da una depressione che lo aveva sopraffatto.
Sono dovuti intervenire anche i carabinieri
Entrambi sono stati portati via dai sanitari del 118, ma il sollievo è stato temporaneo. Dopo una notte in ospedale, Sara è stata dimessa e riportata a casa, nel luogo stesso del suo dolore. Ora sono affidati alle cure del Ciss di Chivasso, ma la domanda resta: come è stato possibile arrivare a questo punto? Una madre e un figlio dimenticati da tutto e da tutti, intrappolati in una rete di solitudine e indifferenza.
Questa vicenda non è solo una tragedia familiare, ma il riflesso di un problema più grande: l’isolamento sociale. Quante Sara vivono nel silenzio, invisibili agli occhi di una comunità che preferisce voltarsi dall’altra parte? Il degrado non è solo quello delle mura di una casa, ma quello di una società che non tende la mano a chi non ha più voce per chiedere aiuto.
Ora è il momento di indignarsi. Perché nessuno ha notato nulla? Perché i segnali di disagio non sono stati colti? È necessario un cambiamento: non possiamo più permettere che storie come questa rimangano sepolte nell’ombra.
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