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Il Canavesano

La fine dell'illusione: il tramonto della partitocrazia e il risveglio degli italiani

Dagli anni delle privatizzazioni al "sacco" della Repubblica, una riflessione amara sul potere politico svuotato e l'eredità di un paese svenduto. Quando la fiducia verso le istituzioni crolla e l'opposizione si rivela un miraggio, resta solo una crescente disillusione.

La fine dell'illusione: il tramonto della partitocrazia e il risveglio degli italiani

C’era una volta un effetto ottico, un “trompe-l’oeil”, che impediva alla stragrande maggioranza degli italiani di veder chiaro cosa di fatto era e rappresentava la partitocrazia. Oggi, sarà perché tanto a destra quanto a sinistra si trovano personaggi arroganti, prepotenti e petulanti, molto mal dosati con altri, queruli e piagnoni, che il “trompe-l’oeil” sta svanendo, lasciando intravvedere un regime sempre più agli sgoccioli.

Ciò nonostante si continua la recita e malgrado il “teatro” sia sempre più vuoto e la rimanente platea riservi più fischi che applausi, in cuor loro, dalla Meloni in giù, ancora credono di poter tirare a campare di slogan, proclami, striscioni, cortei e indecenti occupazioni dei social media. 

Non è così! La scelta di riempire la “compagnia” di incapaci e impostori, seppur con molto ritardo, ha fatto capire molte cose agli italiani, tanto che oggi risulta evidente come non bastino più milioni di parole per riconquistare la fiducia di un elettorato tradito centinaia di volte. Non basta nemmeno stare all’opposizione del Governo Meloni per proclamarsi il “nuovo” perché i miracoli sembrano finiti. Certo, di miracolati in giro ce ne sono ancora tanti e probabilmente ci toccherà vederne ancora molti, ma il tutto si rivelerà funzionale alla caduta del regime partitocratico.

Si era fatta una scelta, la si era fatta nella “stanza dei bottoni”, la si era studiata a tavolino, era considerata la scelta giusta. Si era deciso di riempire i Palazzi del potere politico di gente inadeguata, incapace e intrallazzona. Lo si considerava l’unico modo per addivenire all’Italia di oggi: una scatola vuota, dove i governi, qualsiasi colorazione politica si fossero poi attribuita, non avrebbero più avuto in mano le leve dell’economia, della finanza, dell’industria, dell’energia, della telefonia e di qualsivoglia cosa faccia la differenza fra uno Stato sovrano e una colonia. Che dire, in questo ci sono riusciti, fra “incidenti” strani e smantellamento di quella che è stata consegnata alla storia come “Prima Repubblica”, lasciando alle loro spalle una lunga scia di sangue, lo scopo l’hanno raggiunto. 

Si può dire, senza correre il rischio di annoiare con lunghi e dettagliati racconti, che tutto ebbe inizio il 2 giugno 1992, quando a trent’anni di distanza dall’uccisione di Enrico Mattei, fondatore e Presidente dell’E.N.I., sul panfilo della regina Elisabetta, Royal Yacht  “Britannia”, fu deciso di avviare la privatizzazione dell’Italia, o molto più correttamente, la sua svendita. In quell’occasione si gettarono le basi e si progettò l’umiliazione del Paese e il tradimento delle idee di Mattei. Gli anfitrioni erano, accontentatevi di una lista parziale, i Rappresentanti della BZW, la ditta di brokeraggio della Barclay’s, Jeremy Seddon; i Rappresentanti di Baring & Co.; i Rappresentanti della S.G. Warburg, Herman Van der Wyck; i Rappresentanti di Salomon Brothetrs; i Rappresentanti di Smith Barney (l’attuale Citicorp-Citigroup); i Rappresentanti di Goldman Sachs; i Rappresentanti di Merrill Lynch; i Rappresentanti di Rothschild, di George Soros e di Rockefeller.

Gli ospiti erano l’alto comando dell’economia di Stato italiana, il presidente di Bankitalia Ciampi e l’onnipresente Beniamino Andreatta, guarda caso, fra gli altri, i due artefici del “divorzio”, sancito all’inizio degli anni 80, tra Bankitalia e Tesoro. C’erano poi i vertici di Eni, Iri, Comit, Ina, delle aziende di Stato e delle partecipate al gran completo. Il compito di introdurre il consesso, neanche a dirlo, fu affidato al Direttore Generale del Tesoro, all’epoca Mario Draghi, che tenne la relazione introduttiva su costi e vantaggi delle privatizzazioni. Costi che stiamo ancora pagando e non finiremo mai di pagare e vantaggi, che non abbiamo mai visto, ma sicuramente hanno visto i rinnegati che hanno svenduto l’Italia a finanzieri e banchieri stranieri.

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Profetico, in quegli anni, fu Bettino Craxi, non a caso il bersaglio preferito dell’inchiesta “Mani pulite”, quando, da fermo oppositore delle privatizzazioni selvagge, costretto, sino alla morte, nell’esilio di Hammamet, avvertì che l’Italia sarebbe diventata la patria delle speculazioni, il “pozzo di San Patrizio” nel quale lobby, finanzieri e multinazionali, avrebbero pescato a piene mani, innescando il pericoloso processo che avrebbe portato, come ha portato, alla negazione dei diritti dei lavoratori e alla disgregazione sociale. Finanzieri e banchieri stranieri ricoprirono dunque il ruolo di produttori e registi del “sacco”, mentre, tanto per ricordarne alcuni, a gente come: Mario Draghi, Romano Prodi, Beniamino Andreatta, Carlo Azeglio Ciampi, Massimo D’Alema, Mario Monti e Gianni Letta, fu affidato il ruolo dei boia-liquidatori dello Stato italiano. 

Forse, sono ancora in molti a non avere ben chiaro cosa accadde in quegli anni, ma certamente, sono ormai la maggioranza gli italiani che hanno deciso di sfiduciare la partitocrazia romanocentrica. 

Notizia di questi giorni, segnalata dall’Istat, nel 2022 le multinazionali straniere presenti nel nostro paese, hanno fatto registrare un fatturato di 908 miliardi con un aumento del 26,9% rispetto all’anno precedente. Aziende con sedi legali altrove, che pagano le tasse altrove e che meglio di quelle nostrane, anche perché da loro voluto e sponsorizzato, sanno più adeguatamente muoversi nella giungla del mercato del lavoro italiano. Pensate, nel nostro Paese esistono ben 919 contratti collettivi di lavoro nel solo settore privato, ai quali vanno aggiunti i 15 della pubblica amministrazione ed i 48 dei lavoratori parasubordinati. Non solo, sembra accertato che molti di questi contratti, nonostante nessuno pensi minimamente di fare qualcosa, siano fantasma, infatti, ben 571 di questi risultano scaduti da oltre 10 anni.

Insomma, la maggioranza degli italiani, nonostante “dotti” economisti e “candidi” politici continuino imperterriti a dire e spiegare quanto sia bello il mondo in cui tutto è privato, plasmato a immagine e somiglianza di quello dei nostri salvatori a stelle e strisce, sembrano aver capito che la svendita dell’Italia ha significato la cancellazione di 150 anni di lotte per i diritti sociali e che l’euro, più che una moneta, è un programma di sottomissione. La gente, la maggior parte della gente, questa è la verità, ha capito che non esiste più alcun valido motivo per continuare a pagare le tasse. La sanità pubblica è stata sapientemente distrutta; la scuola, da sempre terreno fertile per qualsivoglia scorribanda politica, è diventata un parcheggio per figli, dove, com’è per i parcheggi delle automobili, la direzione non risponde per eventuali danni subiti; la manutenzione del territorio, basti vedere le continue catastrofi “naturali”, è inesistente ed in più siamo al primo posto in Europa per la benzina più cara, per le tasse più alte e per gli stipendi più bassi, cosa che non ci impedisce di avere i Parlamentari ed i Senatori più pagati al mondo.

Leonardo Facco, fondatore del Movimento Libertario, giornalista, editore, musicista e autore teatrale ha scritto: “Uno Stato che vuole una tassa per farti vivere a casa tua è esattamente come la mafia che vuole il pizzo per lasciarti tenere aperto il tuo negozio”. Ecco, credo che nella frase di Leonardo Facco si possa riassumere alla perfezione quello che, ormai, è il sentimento più diffuso nel Paese.

Insomma, se ci fosse stata un’opposizione reale, non saremmo mai giunti, con tutta probabilità, alla disastrosa situazione in cui siamo.

Non avremmo accumulato un debito pubblico, prossimo a superare i 3.000 miliardi; non si sarebbe creato un sistema di tangenti organizzato in modo scientifico e omnicomprensivo ed i partiti non avrebbero potuto occupare le istituzioni e ampie fette della società civile, configurando un sistema che di democratico non ha più nulla, ma che sempre più risulta simile ad un regime.

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