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San Raffaele Cimena
07 Novembre 2024 - 00:08
Immagine a scopo descrittivo realizzata con l'IA
Sono trascorsi trent’anni dalla tragica alluvione che travolse San Raffaele Cimena: era la notte tra il 5 e il 6 novembre 1994. Tra le strade che franarono per prime ci fu quella che portava al convento del paese. Dentro c’erano quaranta suore allettate. Per salvarle, Carabinieri e Protezione civile furono costretti a sfondare il portone di ingresso.
A pochi metri da lì, in strada Casassa 2, una frana rase al suolo una palazzina di due piani, portando via con sé la vita di quattro persone. Era la casa della famiglia Mina: dentro c’erano nonno Francesco, psicologo, la moglie Cecilia Giacobbe, storica preside dell’istituto “Elsa Savino” di Gassino Torinese, ormai in pensione e la figlia Lucia assieme alle sue bambine, Cecilia e Letizia Giraudo, rispettivamente di 2 anni e 4 mesi.
«Quando i soccorritori arrivarono erano tutti morti. O almeno così si credeva. Alle tre della mattina, il grido di gioia di un vigile del fuoco “L’ho trovata! È viva!”. Letizia, la secondogenita di Lucia, si era salvata. Uno dei nostri volontari si tolse d’istinto la giacca e gliela posò addosso per ripararla - racconta con emozione Roberto Scalafiotti, che all’epoca aveva 24 anni e faceva il volontario della Protezione civile, nel gruppo comunale che il papà Renato aveva contribuito a fondare dodici anni prima - Dopo ore di lavoro per liberarla dalla morsa delle macerie, la neonata ci regalò un sorriso raggiante. Venivamo da giorni di emergenza, il Po era in piena. Tutto immaginavamo tranne che franasse la collina. Non è facile per me parlarne, è un ricordo molto toccante, quasi una cicatrice. Da anni nessuno ha più notizie della famiglia Mina. Rispetto il fatto che i sopravvissuti siano andati via da San Raffaele per costruirsi una nuova vita altrove».
Quindi i ringraziamenti: «Ai colleghi che da tutta Italia, da Nord a Sud, vennero in nostro soccorso. Ma, in particolare, un grazie sentito all’allora Sindaco Angelo Corrù, che, di fronte a un’emergenza di quel calibro, svolse un lavoro eccezionale, rimanendo sempre al fianco della comunità».
Roberto Scalafiotti all'epoca era nella protezione civile e aveva 24 anni
Anche l’attuale Sindaco Ettore Mantelli ripercorre quella tragica notte: «Quell’anno mi accingevo a compiere i miei primi passi nell’Amministrazione comunale di Castagneto - inizia così il suo racconto - Ricordo le piogge, incessanti e violente. E poi la tragedia: il costone di tufo di roccia si staccò dalla collina retrostante l’abitazione in cui risiedeva la famiglia Mina e ci precipitò sopra. Le squadre dei vigili del fuoco lavorarono per oltre cinque ore, con notevoli rischi per il continuo movimento della collina, che avrebbe potuto causare nuovi smottamenti».
E aggiunge: «In quella casa abitavano anche i due fratelli di Lucia: Alberto e Domenico. Per fortuna erano fuori con le rispettive mogli. Anche il marito di Lucia, quella notte, era di turno. Quando tornò a casa, pensò di aver sbagliato strada. L’alluvione gli aveva portato via tutto. Durante l'inondazione, vennero rase al suolo dal fango tante altre case. Ci fu anche il crollo della via degli Orti, che venne in seguito ricostruita. Ai tempi, non eravamo preparati. Si pensi che erano appena nati i primi nuclei di Protezione civile».
Quell’evento così disastroso è rimasto impresso anche nella mente dell’ex Sindaco di Gassino Torinese, Paolo Cugini: «Sono tanti i ricordi di quei giorni e dei mesi successivi. Il mio pensiero è rivolto a Cecilia. Era la preside della mia scuola. Da pochissimi mesi, era andata in pensione. Tutti i ragazzi le erano affezionati: era sempre affettuosa, anche quando combinavamo le nostre marachelle. Persino mia nonna, anche lei ex insegnante, quando ci veniva a trovare in Piemonte, ci parlava sempre di lei. Erano diventate amiche».
E continua: «Nel 1994, non c’era ancora stato il boom dei cellulari e le notizie arrivavano frammentate. Ricordo di essere andato con alcuni ragazzi più grandi a dare una mano con i primi svuotamenti di fango. Vidi persino il ponte di Chivasso crollare. Fu tremendo: di fatto isolò tutta la zona collinare. Eventi simili, seppur di portata minore, si sono verificati anche nel 2000, nel 2008 e nel 2016. Fondamentale, oggi come allora, il ruolo della Protezione civile».
L’evoluzione del sistema di Protezione civile
Proprio a San Raffaele Cimena nacquero le radici del volontariato: «Ricordare è importante, così come fare il punto della situazione su quello che, nell’ambito della Protezione civile, a partire da quel tragico evento è stato fatto - sottolinea Roberto Scalafiotti - La tragedia del 1994 ha fatto sì che ci sia stata l’esigenza di migliorarsi, specializzarsi e diventare dei professionisti. Una rete di Difesa civile che lavori come squadra e metta in campo le migliori professionalità è fondamentale per il territorio, in un’ottica di prevenzione ed intervento».
E aggiunge: «Ai tempi, eravamo impreparati per un fenomeno di quella portata. Ricordo le difficoltà a coordinarsi con le altre associazioni della zona, i turni massacranti che non permettevano di fermarsi per dormire e per mangiare, i ponti chiusi e il Po in piena. Non avevamo neanche le protezioni più basilari e le allerte meteo arrivavano nel weekend quando gli uffici comunali erano chiusi. È stato difficile: nei primi giorni eravamo soli. Allora, la Protezione civile era tutt’altra cosa: c’era passione e tanta voglia di mettersi in gioco con i pochi strumenti che si avevano a disposizione».
Da questi presupposti, era nato il convegno dal titolo “Alluvione 1994 - La Protezione civile territoriale 30 anni dopo”, tenutosi lo scorso 26 ottobre in Sala Consiglio. Un’opportunità per riflettere sui progressi compiuti e sul ruolo sempre più decisivo della Protezione civile nelle emergenze. L’iniziativa ha visto la partecipazione di figure chiave come l’attuale Sindaco Ettore Mantelli e l’allora primo cittadino Angelo Corrù, insieme al capo della squadra Aib di San Raffaele Cimena Roberto Scalafiotti, a Gianpietro Farina, co-fondatore del gruppo “Alfredo Rampi” negli anni Ottanta e al consigliere regionale Roberto Ravello.
In quell’occasione, Ravello aveva sottolineato l’importanza di un volontariato professionale e organizzato «fatto di uomini e donne pronti a dare tutto per il prossimo, quello degli scarponi sporchi di fango e dalla faccia pulita, quello che ci fa battere il cuore quando vediamo una divisa».
La Protezione civile, oggi più che mai, si pone come baluardo di sicurezza e speranza, pronta ad affrontare le sfide che il cambiamento climatico e le emergenze naturali pongono.
La memoria di quel novembre del 1994 è un richiamo costante all’importanza di un impegno collettivo. La Protezione civile non è solo un’organizzazione, ma un simbolo di solidarietà e resilienza. Come una rete invisibile, collega persone e comunità, unendo sforzi e risorse per salvaguardare vite umane.
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