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29 Ottobre 2024 - 16:37
Carlo De Benedetti
Quando Steve Jobs e Steve Wozniak gli proposero di acquistare il 20% della loro neonata azienda per 20 milioni di dollari, Carlo De Benedetti rispose con una frase che è entrata nella leggenda: "Ma cosa vogliono questi due capelloni?", preferendo andarsene a dormire piuttosto che incontrare i fondatori di quello che sarebbe diventato uno dei giganti della tecnologia mondiale, Apple. Questo episodio è emblematico di una carriera segnata da grandi intuizioni, ma anche da decisioni che si sono rivelate fatali nel tempo. Eppure, nonostante questa occasione mancata, De Benedetti ha costruito un impero che lo ha visto protagonista in diversi settori, dalla tecnologia all’editoria, fino a diventare una delle figure più influenti e discusse dell’imprenditoria italiana.
Il 15 novembre, Carlo De Benedetti spegnerà 90 candeline, un traguardo che verrà celebrato con un evento esclusivo presso Palazzo Parigi a Milano, alla presenza di una ristretta cerchia di amici, collaboratori e familiari, tra cui la moglie Silvia Monti e i figli Rodolfo, Marco ed Edoardo. La scelta di una celebrazione così intima riflette forse la natura complessa dell'uomo: da una parte imprenditore capace di plasmare il panorama industriale ed editoriale italiano, dall'altra figura controversa, criticata per alcune sue decisioni che, a detta di molti, hanno segnato negativamente il futuro di aziende storiche come Olivetti.
Ivrea, infatti, rappresenta uno dei capitoli più discussi della sua carriera. Quando De Benedetti prese le redini della Olivetti nel 1978, l’azienda era un simbolo di eccellenza tecnologica, costruito dalla visione sociale e industriale di Adriano Olivetti. De Benedetti si trovò a gestire una realtà industriale che cercava di adattarsi ai cambiamenti tecnologici globali, e il suo obiettivo fu quello di traghettarla nel futuro, puntando sul digitale e sull'elettronica. Tuttavia, nonostante i tentativi, molti a Ivrea ritengono che il suo approccio abbia contribuito al declino della società. Secondo i critici, De Benedetti non è riuscito a mantenere viva l'eredità di Adriano Olivetti, e anzi, ha preferito privilegiare una gestione più orientata al profitto, sacrificando l'innovazione e la visione sociale che erano state il cuore pulsante dell'azienda. Il declino culminò con la vendita di Olivetti a Telecom Italia nel 1999, un passaggio che segna per molti eporediesi la fine di un’epoca di splendore industriale e sociale.
De Benedetti ha sempre difeso la sua gestione di Olivetti, sostenendo che sotto la sua guida l'azienda avesse raggiunto successi notevoli, ma il suo nome a Ivrea è rimasto legato a un periodo di transizione che molti vedono come la fine di una delle più grandi storie industriali italiane. Non a caso, la città oggi porta ancora le cicatrici di quel periodo, nonostante sia stata riconosciuta dall’UNESCO come città industriale del XX secolo.
Oltre al capitolo Olivetti, un’altra parte fondamentale della carriera di De Benedetti è il suo ingresso nel mondo dell’editoria. Nel 1976 acquisì il gruppo L’Espresso, fondando poco dopo La Repubblica, un quotidiano che sarebbe diventato uno dei più influenti d'Italia. Con la direzione di Eugenio Scalfari, Repubblica si pose come un giornale dalla linea progressista, capace di catalizzare il dibattito pubblico su temi politici e sociali, e criticare aspramente il potere politico ed economico del Paese. La carriera editoriale di De Benedetti non è stata esente da conflitti, in particolare con Silvio Berlusconi, con cui ha avuto una delle rivalità più aspre del panorama imprenditoriale italiano.
Carlo De Benedetti con Gianni Agnelli
I due uomini, simboli di due concezioni opposte del capitalismo, si scontrarono duramente durante la cosiddetta "guerra di Segrate", una battaglia legale per il controllo della casa editrice Mondadori. Nel 1991, una sentenza assegnò il controllo dell’azienda a Berlusconi, mentre De Benedetti ricevette un risarcimento di oltre 500 milioni di euro. Questa sconfitta segnò un punto di non ritorno nei rapporti tra i due, accentuando ulteriormente la polarizzazione politica del Paese, con La Repubblica che divenne uno dei principali organi critici del governo Berlusconi.
De Benedetti ha continuato a mantenere una presenza forte nel mondo imprenditoriale anche attraverso la sua holding CIR (Compagnie Industriali Riunite), con investimenti che hanno spaziato dall'energia all'editoria. Tuttavia, non mancano le ombre. Il suo successo è stato spesso accompagnato da critiche, come nel caso della sua breve esperienza in Fiat. Entrato nel 1976 come amministratore delegato, De Benedetti portò alcune innovazioni e contribuì al rilancio della casa automobilistica, con la promozione di modelli di successo come la Fiat Uno. Tuttavia, il rapporto con la famiglia Agnelli si deteriorò rapidamente. Gianni Agnelli non gradiva l'approccio troppo decisionista di De Benedetti e, nel 1978, dopo meno di due anni, l’ingegnere fu costretto a lasciare l'azienda. Questo addio segnò una spaccatura insanabile tra De Benedetti e gli Agnelli, che si sarebbe riflessa anche nelle sue critiche successive alla gestione dell'azienda da parte di John Elkann, definito da De Benedetti "un pavido".
Carlo De Benedetti e Silvio Berlusconi
La carriera di De Benedetti è stata segnata anche da vicende giudiziarie. Uno dei casi più rilevanti è stato il processo sull'amianto alla Olivetti, che ha coinvolto diversi dirigenti dell’azienda, compreso lo stesso De Benedetti. L’accusa riguardava l’esposizione dei lavoratori agli agenti cancerogeni presenti negli stabilimenti di Ivrea, che avrebbe causato numerosi decessi e malattie tra gli operai. Il processo, iniziato nel 2013, si è concluso nel 2021 con l’assoluzione di De Benedetti e degli altri imputati. La Corte di Cassazione ha stabilito che non vi fossero prove sufficienti per dimostrare la responsabilità diretta dei dirigenti nella gestione della sicurezza in quegli anni. Nonostante l’assoluzione, il caso ha lasciato una macchia sulla reputazione pubblica dell’azienda e dei suoi ex dirigenti, suscitando amarezza tra i familiari delle vittime.
Oggi, Carlo De Benedetti, a 90 anni, rimane una figura capace di dividere l’opinione pubblica. Da un lato, c'è chi lo considera un grande innovatore e imprenditore, dall'altro, chi lo accusa di aver preso decisioni che hanno portato al declino di aziende storiche. Il suo compleanno non sarà solo una celebrazione privata, ma anche un momento di riflessione su una carriera che ha lasciato un segno indelebile nell’industria e nella politica italiana.
Carlo De Benedetti il 15 settembre 2020 ha lanciato Domani. E' stato il suo ritorno nel panorama editoriale italiano, dopo la sua uscita dal gruppo GEDI nel 2019. GEDI, che controlla testate come La Repubblica, L'Espresso e La Stampa, era stato venduto alla famiglia Elkann, chiudendo così un lungo capitolo nella storia personale e professionale dell’Ingegnere.
Nella sua dichiarazione di intenti, De Benedetti ha sottolineato la necessità di un'informazione libera, orientata a indagare e mettere sotto la lente d’ingrandimento il potere, evitando compromessi e influenze esterne. Domani si è posizionato sin dall'inizio come un'alternativa ai grandi gruppi editoriali, rivolgendosi a un pubblico che ricerca approfondimenti e inchieste su questioni di rilevanza nazionale e internazionale.
Alla direzione del giornale era stato chiamato Stefano Feltri, ex vicedirettore del Fatto Quotidiano, con l’obiettivo di guidare un progetto basato sulla qualità e l’approfondimento piuttosto che sulla quantità delle notizie quotidiane. Il modello editoriale di Domani è incentrato su una presenza digitale forte, con un occhio di riguardo per i lettori giovani e interessati ai cambiamenti del mondo contemporaneo, ma è anche presente con una versione cartacea.
Fin dalla sua nascita, il quotidiano ha cercato di ritagliarsi uno spazio come voce critica e indipendente, mantenendo una forte impronta progressista in linea con la visione personale di De Benedetti.
L’investimento in Domani rappresenta, per molti, il tentativo di Carlo De Benedetti di restare un attore influente nel panorama informativo italiano, anche dopo la cessione di GEDI. Tuttavia, nel novembre 2022, Stefano Feltri ha lasciato la direzione del quotidiano dopo averlo guidato fin dal suo lancio. Il suo abbandono ha segnato una svolta importante per la testata, che fin dall'inizio si era distinta per una linea editoriale critica e indipendente sotto la sua guida.
A sostituirlo, Emiliano Fittipaldi, un giornalista con una lunga esperienza in inchieste su temi delicati come il Vaticano e la gestione delle risorse della Chiesa cattolica, è stato chiamato a mantenere la rotta tracciata da Feltri.
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