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Qualcosa di sinistra

Quando il debutto in società non fa rima con dignità: donne tra balli, scandali e ministri da redarguire

Dalle debuttanti in bianco ai ministri senza scrupoli: una riflessione amara su come la "mater patriae" gestisce le sue pedine, salvando i potenti e scaricando le donne

Ballo delle debuttanti

Ballo delle debuttanti

«Entrare in società» è una cosa che, in un passato neanche tanto lontano, facevano le ragazze «da marito» partecipando al ballo delle debuttanti. Secondo una rivista che sembra ben documentata, l’età delle debuttanti «poteva variare dai diciassette ai ventitré anni, essendo legata principalmente alla maturità sessuale».

Alla scadenza, se non si era maritate, si veniva considerate alla stregua di un prodotto deteriorato, da ritirare dal commercio. Il ballo del debutto era la grande occasione: le ragazze di buona famiglia si presentavano all’appuntamento col vestito bianco, sotto l’occhio ansioso di «maman».

Nel 2011, del gran ballo delle debuttanti s’interessò anche il nostro prestigioso quotidiano politico, economico e finanziario, quando a debuttare fu Karima El Mahroug, «Ruby rubacuori», protagonista dell’appuntamento al braccio «del Berlusconi di Vienna, il palazzinaro Richard Lugner», notissimo per aver accompagnato al ballo diverse tra le più belle nostre connazionali.

Saper stare in società è anche «saper stare al mondo», cioè «sapersi destreggiare nelle difficoltà, saper vivere in società, comportandosi in modo adeguato nei rapporti sociali o in determinati ambienti». 

In un passato ormai lontanissimo, noi ragazze occupammo lo spazio pubblico al canto di «siamo doonne, siam più della metaaà, ma non contiamo niente in questa societaaà».

Come tutte le canzoni di protesta, anche questa venne adattata; credo che la versione originaria fosse «siamo in tanteee siam più della metaaaà», eccetera. 

Ai tempi, la mater patriae de noantri aveva ancora il ciuccio, da grandicella poi ha incontrato i camerati che, se ricordo bene, non mi pare fossero tanto «graziosi» con le donne.

Com’è, come non è, da presidente, più per obbligo che per convinzione, s’è dovuta costruire un pantheon femminile nel quale, certo, anch’io non metterei l’ultima fiamma dell’ormai ex ministro della cultura.

Su questa penosa vicenda repubblicana, la mater patriae alzando il sopracciglio ci ha fatto sapere che la sua idea «su come una donna debba guadagnarsi uno spazio nella società è diametralmente opposta di quella che ha questa persona», alludendo alle vicende che hanno coinvolto un ministro del suo governo, poi sostituito. 

Beh, come ha scritto qualcuno, «questa persona» ha un nome e un cognome ed è una donna: non nominarla è stato un atto che ha messo, implicitamente al riparo il «correo» dalla pubblica riprovazione, facendo cadere il macigno della condanna solo sulle spalle della cointeressata. 

Donne che «non sanno stare al mondo»?

Può darsi. Più certo però è il giudizio che possiamo dare sull’ormai ex ministro: come uomo pubblico ha dato una pessima prova di sé, dimostrando che proprio «non sa stare al mondo». 

Un ministro che ci ha coperto (di nuovo!) di ridicolo e una presidente che, vista la piega della faccenda, gli dà il benservito, nominando un’altra testa fina.

Cosa pensa la mater patriae della persona cointeressata m’importa poco, piuttosto tenga meglio a bada i suoi. 

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