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Ombre su Torino

Accoltellato, fatto a pezzi e buttato nel forno della pizza. La tragica fine di Alessandro Collura.

Una storia macabra piena di colpi di scena.

Accoltellato, fatto a pezzi e buttato nel forno della pizza. La tragica fine di Alessandro Collura.

Ormai ha le ore contate.

È dal mattino che è in fuga: dalle sue responsabilità, in qualche modo dalla sua vita, sicuramente da persone che, se lo avessero tra le mani, lo spedirebbero dritto al Creatore. Paura e sensi di colpa gli si alternano nella testa mentre intorno a sé è calato il buio e l’unico fruscio che percepisce è l’inesorabile scorrere del Po, pochi metri lontano. È stanco, affamato, ferito. Ha dovuto abbandonare la moto con cui se l’era data a gambe perché chi lo insegue l’ha individuata dal cielo con un elicottero e, non si sa perché, si è tolto le scarpe e ha iniziato a camminare a piedi nudi, perdendo un sacco di sangue.

Si è fermato sotto un ponte sul fiume tra Carignano e Carmagnola, forse per riposarsi oppure solo sperando di riuscire magicamente a sparire. Il rumore di un’auto che accosta in strada lo tramuta in una bestia braccata nella foresta. Si fa piccolo piccolo nell’angolo più buio e lontano dai suoi predatori, trattiene il respiro: è pronto a tutto, a scappare e ad uccidere.

Da dietro un cespuglio gli arriva la voce di una donna. Non gli sta urlando contro, non lo sta minacciando; gli parla con calma, quasi sussurrando: “Loris, Loris, sei qui? Sono io...”. Tutta la tensione di quei giorni è come se svanisse in pochi secondi. È finita, ha perso, si deve arrendere. Lo hanno trovato sua moglie e i carabinieri e, in quel momento, per lui sembra essere il male minore: “Meno male che siete arrivati voi,” gli dice, “meno male davvero. Se mi beccavano quegli altri stavolta era proprio la fine.”

Loris Cometto

Loris Cometto e sua moglie Monica Scaglia vengono portati in procura, ad Alba. Li mettono in due stanze diverse e vengono sottoposti a un fuoco di fila di domande che va avanti per tutta la notte.

Monica Scaglia

Loris sembra ammettere qualcosa, vuole parlare, ma il suo terrore resta sempre lo stesso: “Ho molto da dire, non potete immaginare neanche quanto. Ma voglio troppo bene alla mia famiglia, li dovete proteggere per farmi dire tutto quello che so.” Le garanzie richieste dall’arrestato vengono soddisfatte in tre giorni.

Confessa il 4 luglio 2003.

4 giorni prima.

Alessandro Collura è un muratore di 20 anni che abita coi genitori in via Pisacane 19, a Torino. Passa le giornate tra i ponteggi e le serate coi suoi amici. È un bravo ragazzo, ma non esattamente un santarellino; ha due precedenti, due sciocchezze.

Alessandro Collura

La sera del 30 giugno 2003, intorno alle 18, ha appena finito di lavorare e sta tornando a casa con un suo collega. A questi chiede di accompagnarlo a un’area di servizio della AGIP a Carignano, dove Alessandro ha appuntamento con un suo amico, Loris Cometto. “È una cosa veloce, vado un attimo in posto con Loris e torno subito, aspettami qui” dice Collura al suo compagno. Lo vede allontanarsi a bordo di una macchina in compagnia di Cometto e una donna e, dopo avere atteso per tre ore il suo ritorno, dà l’allarme. Il cellulare di Alessandro squilla a vuoto, Cometto non è raggiungibile e solo a notte fonda i parenti dello scomparso riescono a mettersi in contatto con la consorte, Monica Scaglia.

La donna racconta che era fuori città insieme al figlio e di non sapere dov’è suo marito, ma accompagna genitori e fratelli di Collura nella propria abitazione di Carmagnola, un vecchio casale in Borgata Tuninetti 17.

Qui Alessandro non c’è, ma tutti notano alte fiamme che si alzano dal forno del giardino, dove i Cometto, d’estate, cucinano la pizza per i propri amici. Si è fatta l’alba e i parenti dello scomparso se ne vanno per poi tornare tre ore dopo a dare un’occhiata con il sole alto in cielo. Questa volta il forno è spento e, aprendolo, fanno la più macabra delle scoperte. Qualcuno ha fatto a pezzi il loro caro, lo ha buttato dentro e ha appiccato il cadavere.

È in quell’esatto istante che Loris Cometto, nascosto nel retro della casa, salta sulla sua Honda bianca e rossa e inizia la sua breve latitanza fino al ponte sul Po dove lo catturano.

4 giorni dopo, carcere di Alba.

“L’ho ammazzato perché mi minacciava di morte. L’ho portato a casa per chiarire le nostre questioni, ma anche lì ripeteva che mi avrebbe ucciso. Allora l’ho legato a una sedia. Alle 3 di notte l’ho slegato, siamo usciti in giardino. L’avrei lasciato andare, ma ha ripetuto che ero un uomo morto. Così ho preso un coltello e l’ho colpito. Tre o quattro volte, non ricordo con precisione. È caduto lì per terra. Poi l’ho cosparso con dell’olio bruciato. Soltanto dopo ho cercato di dargli fuoco nel forno a legna sul retro.”

Questa è la confessione di Loris Cometto, che tuttavia non convince affatto gli inquirenti. L’uomo non vuole spiegare il movente e sembra avere come unica preoccupazione quella di scagionare ad ogni costo Monica Scaglia. Il suo atteggiamento terrorizzato stuzzica la curiosità della Procura di Torino che, con un’indagine parallela, inizia a intravvedere le motivazioni dell’omicidio in un affare lucroso ma molto pericoloso.

A processo, nel luglio 2004, Cometto cerca di dare un senso alla vicenda spiegandola così: “Collura mi aveva segnalato per un appalto edilizio e pretendeva una tangente di 40 mila euro. Il 30 giugno 2003, nel tardo pomeriggio, mi sono incontrato con Collura e l’ho invitato a casa mia per offrirgli alcuni monili d’oro per il disturbo. Ero solo, mia moglie l’avevo mandata dai suoi genitori a prendere nostro figlio. Abbiamo cominciato a discutere amichevolmente nel cortile, poi il tono a poco a poco si è fatto acceso con reciproche accuse. Collura pretendeva i soldi e mi ha anche minacciato con una pistola. Ho avuto paura che sparasse e allora ho preso un coltello e di sorpresa l’ho colpito con tre o quattro fendenti. Lui è caduto al suolo morto. Ero spaventato per quanto era successo e ho pensato di bruciare il cadavere e farlo scomparire. Poi però ho pensato che il fumo avrebbe attirato l’attenzione dei vicini e allora ho preso un’ascia e ho sezionato il corpo, gettando i resti nel forno dopo avere usato tutto il combustibile che avevo in casa e accendendo il fuoco.”

Questa versione viene smentita dalle risultanze investigative dell’inchiesta del PM torinese Andrea Padalino. Non c’entrano appalti e tangenti: c’è di mezzo la cocaina. Numerose intercettazioni telefoniche svelano che Collura aveva comprato una partita di polvere bianca da Cometto, ma che lo stupefacente era di pessima qualità. L’acquirente si era sentito bidonato e quella sera aveva incontrato il pusher per chiedergliene conto, finendo a pezzi dentro il forno della pizza.

Una storia squallida, quasi banale se non fosse per i suoi particolari più macabri. Una storia che finisce con Cometto condannato a 30 anni nel 2005 e l’odissea giudiziaria di Monica Scaglia che, prima viene assolta per l’omicidio ma condannata a 3 anni per concorso in distruzione di cadavere e porto di coltello e poi, dopo altri 6 processi, prende 6 anni e 8 mesi per concorso anomalo in omicidio nel 2014.


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