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Gavazza chiude la storica macelleria conosciuta in tutto il chivassese

Una lacrimuccia nel leggere un post pubblicato dall'ex consigliere regionale

Gianna e Felice Gavazza

Gianna e Felice Gavazza

Con un post su Facebook, Gianluca Gavazza, ex consigliere regionale soprannominato "al maslè" e padre dell'attuale consigliere comunale Martina Gavazza, ha annunciato la chiusura della storica macelleria di via Mazzini.

Un'istituzione che ha attraversato oltre un secolo di storia, fondata da Maria Trivero e Giacomo Careggio (1909-1940), e poi portata avanti con passione da Emma Simioni, Gianna e Guido Careggio (1940-1970), Gianna Careggio e Felice Gavazza (1970-1984), e infine da Gianna Careggio, Marilena e Felice Gavazza (1984-2014), per concludersi con Maria Angela Tonatto e Gianluca Gavazza (2014-2024).

"Una tradizione di famiglia", scrive Gianluca, "che ha vissuto, con onore e dedizione, il tessuto commerciale di Torrazza ininterrottamente per 115 anni, senza ferie. Per oltre un secolo abbiamo fornito carni di ottima qualità e la macelleria è stata un punto di riferimento per tutto il comprensorio. Tutt'oggi, a Torrazza, risiedono molti discendenti del fondatore Giacomo Careggio, macellaio e giudice conciliatore del Comune. Ieri, l'ultimo nato, Pierfrancesco Gavazza Ventura, discendente di quattro famiglie torrazzesi (Careggio, Tonatto, Gili, Gavazza), ha dato l'ultimo giro di chiave alla porta della macelleria, per mano di suo nonno Gianluca. Le belle storie, affinché rimangano tali, hanno bisogno di un inizio e di una fine. GRAZIE!"

Martina, Mariangela e Gianluca in un momento conviviale

Parole toccanti, cariche di significato, che evocano un mondo che ormai non esiste più, fatto non solo di edifici, ma soprattutto di persone. Ed è facile, per chi quel tempo lo ha vissuto (non ce ne voglia Gianluca), immaginare ancora Gianna e Felice dietro al bancone della macelleria di via Mazzini, con il Paolino pochi metri più avanti fianco e la Panetteria Magagna di fronte.

C'è stato un tempo, prima dell'arrivo dei supermercati, in cui questo angolo di Torrazza, il sabato pomeriggio, si animava come fosse Porta Palazzo. Anzi, di più. Frutta e verdura di stagione da una parte, la migliore carne del chivassese dall'altra. Nessuno badava troppo alla precisione, si comprava a chili e a etti, con la generosità di Gianna: "Mai 10 grammi in meno, sempre 50 in più, 100 sarebbero troppi...".

Era un'epoca di benessere, di boom economico, in cui la spesa settimanale riempiva frigoriferi e freezer con tritato per sughi e polpette, fettine e salsiccia. Un altro tempo, un'altra cultura, un altro modo di fare la spesa e di vivere.

Felice e Gianna erano lì, sempre pronti a consigliare, a raccontare storie, a pizzicarsi l'un l'altro, in un negozio che sembrava più una piccola comunità che un'attività commerciale. Un luogo di socialità, dove il chiacchiericcio continuo era come accendere la TV, ben prima dell'era di Netflix.

Torrazza negli anni '70 e '80 era un'altra cosa. Il ritmo della vita era scandito dalle sirene delle fornaci Nigra, Pautasso, Preti, Monaco & Artino e Ghiggia. Quando suonavano, bastava scendere in strada per vedere i lavoratori uscire in bicicletta, vestiti con abiti da lavoro logori, il volto segnato dal calore degli altiforni e dal freddo dell'inverno. Le donne con il fazzoletto in testa, gli uomini con maglioni di lana spessa, come non se ne trovano più.

Qualche tempo fa, in un gruppo Facebook, qualcuno ha paragonato la "Torrazza industriale di oggi" a quella di ieri, e questo mi ha strappato un sorriso. Beh, no, non proprio.

Allora c'era lavoro per tutti, oggi con Amazon e le aziende locali, il lavoro è per pochissimi residenti, una realtà ben diversa. Certo, quel lavoro era duro, ma garantiva stipendi, un'economia solida, denaro sonante.

Sempre su quel gruppo social, qualcuno ha aggiunto che oggi mancano i negozi... Mancano? Allora ce n'erano molti di più, proprio grazie ai soldi che giravano.

Avevo cercato di ricordarli tutti in un articolo di qualche tempo fa.

Due panetterie (Bianca e Magagna), il Paolin tra i più grossi supermarket del circondario (arrivavano persino da Chivasso), i Dutto quasi all’angolo con strada per Rondissone e poi tre macellerie (Tacot, Cichin dal maslé e Gavazza), due alimentari a Borgoregio, il Vigiu (alimentari e latteria) all'ingresso del paese giungendo da Chivasso, due piccoli negozietti in piazza del Municipio, uno di quelli (la Mina) vendeva le sucai e puntualmente, al mattino, veniva presa d’assalto dagli studenti. E poi la Ebe, la Chiara, la Mariuccia, il Mario Vuiot, il Jonny, la Marisa, la Bruna, la Piera, Rigat.

Infine i bar e i ristoranti, me ne vengono in mente almeno otto, tutti stramaledettamene pieni di gente a tutte le ore.

Era un'epoca di prosperità, un Pil da far invidia alla Baviera.

E oggi? Cosa è rimasto? Amazon e poco altro. Ognuno ha i suoi ricordi e diciamo grazie a Gianluca Gavazza per averceli fatti riaffiorare.  Molto dipende dall'età e da come si è vissuto. Ci sarà anche chi ne avrà di diversi ma io, in tutta onestà, preferisco tenermi i miei. Sono più belli. 

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