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10 Aprile 2024 - 21:30
Nella sua Lombardia sono già pronti i manifesti. Lo ritraggono con con un pennello in mano, intento a scrivere sui muri il nome della formazione che ha mutato gli equilibri della politica italiana. Lo stesso nome, 'Lega autonomista lombarda', Umberto Bossi lo va a registrare dal notaio il 12 aprile 1984.
Così nasce la Lega, che da 'lombarda' poi si fa 'Lega Nord'. E così, quarant'anni dopo, vogliono ricordarla i militanti 'semplici', da sempre legati alla figura del fondatore.
Che comincia da volantinaggi e affissioni nel varesotto e finisce per portare le istanze autonomiste prima in Parlamento e poi al governo. Con uno slogan netto: "Padania libera" che sintetizzava l'iniziale progetto secessionista.
La data che il partito si prepara a festeggiare è scritta nell'atto che 'il popolo leghista' considera fondativo. Porta la firma del notaio Franca Bellorini, che, in quel 12 aprile, ammette di essersi trovata di fronte a un "gruppo di sognatori": Umberto Bossi, suo cognato Pierangelo Brivio, la maestra Manuela Marrone, sua futura moglie, il commerciante Marino Moroni, l'odontotecnico Emilio Benito Rodolfo Sogliaghi e l'architetto Giuseppe Leoni.
Un gruppo di amici, che fa la spola nelle valli tra Varese e Milano, raccolto intorno agli ideali che il leader in nuce, 'l'Umberto', va enucleando. Perché se c'è un 'post' 1984, c'è anche un 'pre'.
E ha a che fare con la biografia di Bossi. A casa di sua nonna Celesta, sindacalista, respira i principi antifascisti. Lì incontra, giovanissimo, un libriccino di Massimo D'Azeglio, il romanzo storico sul XII secolo intitolato "Lega Lombarda".
E lì esercita il dialetto lombardo, che poi riversa in una manciata di poesie. Conservate per anni in un cassetto, farcite di temi ambientalisti e sociali, sono considerate dallo stesso Bossi il suo "primo vagito" politico.
Vagito che diventa ruggente nei primi anni '80, con l'edizione del giornale "Lombardia autonomista", tra le cui pagine c'è già buona parte dell'armamentario del futuro partito.
A partire dal simbolo di Alberto da Giussano che si erge sui confini della Regione lombardia. E poi la lotta al centralismo, la difesa dei dialetti lombardi dalla "scuola coloniale", l'autonomia fiscale.
Anni passati da Bossi a distribuire copie del giornale tra bar e fabbrichette di provincia.
Nel 1984 l'impegno editoriale confluisce nell'associazione 'Lega autonomista lombarda', con lo scopo di raggiungere "l'autonomia amministrativa e culturale della Lombardia".
Cominciano le notti con vernice verde e pennello, trascorse a coprire i muri di slogan autonomisti. Notti di cene infinite, in cui Bossi mette a punto la linea politica con il suo cerchio.
E poi via a bordo della Citroen Cx amaranto: migliaia di chilometri e centinaia di comizi ogni anno alla ricerca del consenso. L'esame delle urne arriva con le elezioni politiche del 1987. La Lega Lombarda si presenta in coalizione con la Liga Veneta e la Lega Piemont. Bossi è l'unico a entrare in parlamento: per i suoi sostenitori diventa il 'Senatùr'.
Nel pratone di Pontida, dove ancora campeggia la scritta "Padroni a casa nostra", prendono il via i raduni. E nel '91 arriva la prima svolta. Al congresso di Pieve Emanuele, la dicitura diventa Lega Lombarda-Lega Nord. Più avanti si invertirà l'ordine: Lega Nord-Padania.
Nel '94, con un folto gruppo di parlamentari, Bossi sostiene il primo governo Berlusconi. Salvo poi farlo cadere. "Attenti a Berluskaiser", va allertando il Senatùr. Poi sbarca in Sardegna in canottiera: "noi siamo gente del popolo".
Si inaugura una lunga stagione di litigi e alleanze con il Cavaliere, in cui si alternano scontri frontali e governi di coalizione. Quindi la malattia del leader, la crisi della Lega Nord e la segreteria di Roberto Maroni. Oggi, che con la leadership di Matteo Salvini il partito ha cambiato pelle e ha perso il "Nord" dal titolo, tutti si chiedono come festeggerà il fondatore.
Alcuni militanti storici andranno a trovarlo a Gemonio. Ma niente torte o candeline, Bossi detesta le feste.
L'evento ufficiale è fissato dalla Lega nazionale e ora "autonomista" per domenica 14 in piazza a Varese. Salvini ci sarà, Bossi chissà. Ha abituato tutti ai colpi di scena, perciò mai dire mai.
Una vita politica in bilico. Tra il pratone di Pontida e le stanze di governo. Quarant'anni dopo la sua fondazione, la Lega continua a tenere insieme le sue due facce.
Che hanno attraversato le stagioni politiche, cambiando slogan, nomi e attori principali. Ma con qualche caposaldo invariato: un leader forte, antenne sempre rivolte alla pancia degli elettori e una voce grossa. Spesso carica di invettiva e di attacchi all'establishment, dalla "Roma ladrona" di allora alla "Bruxelles dei burocrati" di oggi. Lo stesso establishment di cui la Lega è via via diventata un'interprete importante, a forza di compromessi e alleanze.
I suoi esponenti vantano di essere la formazione con la storia più antica nell'attuale Parlamento. Una storia lunga, passata a cercare il 'popolo', ma anche a cucire accordi ai più alti livelli. A lanciare la Lega sul doppio binario, quello di lotta e di governo, è proprio il suo fondatore, Umberto Bossi. Che, tra un palco e l'altro, snocciola affondi alla classe dirigente del tempo. Roma come metafora di malaffare, a cui rivolgere un sonoro 'gesto dell'ombrello'.
Pontida, lì dove sarebbe nata la Lega lombarda contro il Barbarossa, diventa il 'luogo sacro' della causa autonomista. Lì, a partire dal 1990, Bossi giura fedeltà al 'popolo padano'.
Nei bar e nelle feste delle province del Nord, prova le cosiddette 'sparate', che poi replicherà sulla scena nazionale. Ma il Senatùr non disdegna i palazzi romani, dove si chiude l'accordo che porta diversi leghisti nel primo governo Berlusconi. "La Lega ce l'ha duro", ripete il leader. E allora via con gli insulti, come "Berluskaiser" e "Forzacoso", a cui si aggiungono le allusioni ai presunti legami del premier con la mafia. Fino al ribaltone, elaborato a cena con D'Alema e Buttiglione.
Dove Bossi, padrone di casa, offre una scatoletta di sardine e poco più. Dopo la rottura, la Lega Nord inasprisce la 'lotta' e grida alla secessione. Nel '96 Bossi proclama "l'indipendenza della Padania".
L'anno dopo, in un clima rovente, un gruppo di secessionisti veneti delusi dal partito arrivano in piazza San Marco a Venezia con un tank fatto in casa e occupano il campanile. Nelle manifestazioni leghiste cominciano a bruciare le bandiere italiane. Tricolori che lo stesso leader invita a "mettere nel cesso".
Poi è di nuovo tempo di governo e di pace nel centrodestra. Dopo l'approvazione in Parlamento della devolution, nel 2005, il Senatùr ammette: "meglio la via delle riforme che quella dello scontro".
L'ambivalenza, però, non si chiude quando Bossi lascia il posto di segretario. Alla fine di un periodo travagliato, è Matteo Salvini nel 2017 a rifondare il partito, che diventa "Lega Salvini premier".
Il progetto è quello di un grande partito nazionale, non più confinato alle istanze del Nord. Con lo slogan 'basta Euro', l'obiettivo viene spostato.
Salvini cannoneggia contro l'Europa e l'immigrazione illegale. Al posto della canotta, veste felpe di qualsiasi luogo, associazione o corpo incontri. Non prova gli slogan nei bar, ma si affida ai potenti mezzi dei social media manager. Come il fondatore, però, non rinuncia agli accordi decisivi.
Fa nascere il primo governo Conte. Poi, dalla spiaggia di Milano Marittima, lo manda all'aria. Irrequietezza che porta anche dentro al governo Meloni, di cui è vicepremier. Ma fa sempre ritorno a Pontida. Che resta al centro della 'galassia Lega', nonostante appaia meno colorata di verde di un tempo.
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