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Il lento, lentissimo smantellamento della centrale nucleare “Fermi”

Iniziato 25 anni fa, andrà avanti fino al 2030 (ma già si prevedono slittamenti) e costerà almeno 245 milioni di euro

Il lento, lentissimo smantellamento della centrale nucleare “Fermi”

La centrale nucleare "Enrico Fermi", in riva al Po a Trino

La centrale nucleare “Enrico Fermi” ha funzionato per soli vent'anni, ma per smantellarla ce ne vorranno almeno trenta. E gli under 35 - di Trino e di tutta Italia - stanno pagando gli enormi costi dell'eredità nucleare del secolo scorso senza aver mai usufruito della (poca) energia prodotta da questo impianto.

TRINO. Il dibattito in corso in città sull'autocandidatura ad ospitare il futuro Deposito Nazionale per il materiale radioattivo, inviata a gennaio dalla Giunta comunale al Ministero dell'Ambiente e a Sogin senza il consenso né dell'intero Consiglio trinese né dei Comuni circostanti, sta facendo passare in secondo piano problemi e costi del nucleare trinese passato e presente.
A Trino, infatti, dal 1965 all'87 ha funzionato - con lunghi periodi di “fermo tecnico” per guasti o necessità di sostituire componenti - la centrale nucleare “Enrico Fermi”, costruita in riva al Po tra il '61 e il '64 e gestita dall'Enel. Nel corso della sua ventennale attività la centrale ha consumato circa 4,6 tonnellate di uranio producendo circa 25 TWh di energia elettrica, quando in Italia in un solo anno se ne consumano circa 300.
Alla fine degli anni Ottanta, dopo il referendum e la fine del programma nucleare italiano, la centrale - a quei tempi già tecnologicamente obsoleta - è stata fermata; dal 1990 al 2000 l’impianto è stato in “custodia protettiva passiva”.

Un quarto di secolo

Dall'inizio di questo secolo la centrale è stata affidata alla Sogin, società di Stato (interamente partecipata dal Ministero dell'Economia e delle Finanze) fondata con l'obiettivo di smantellare tutti gli impianti nucleari italiani.
Innanzitutto furono rimossi i trasformatori che collegavano la centrale alla rete elettrica. Nel 2002 furono demolite le torri di raffreddamento ausiliarie, e nel 2003 furono decontaminati i generatori di vapore. Tra il 2003 e il 2004 furono demoliti gli edifici che ospitavano i generatori d'emergenza a gasolio e gli spogliatoi del personale. Nel 2006 fu ultimata la rimozione della traversa sul Po, che serviva a garantire l'approvvigionamento idrico durante l'esercizio dell'impianto. Nel 2007 fu completato lo smontaggio dei componenti dell'edificio turbina.
Nel gennaio 2009 fu pubblicato il decreto di compatibilità ambientale per “l'attività di decommissioning - disattivazione accelerata per il rilascio incondizionato del sito”. Nel 2009 sono terminate le attività di adeguamento del sistema di ventilazione dell'edificio reattore e dell'impianto elettrico dell'edificio turbina ed è stata realizzata la stazione rilascio materiali. Si sono inoltre conclusi i lavori di rimozione dei componenti e dei sistemi ausiliari non contaminati della zona controllata.
Nell'agosto 2012 è stato approvato dal Ministero dello Sviluppo Economico il decreto di disattivazione per la centrale, che consente di avviare le attività per la bonifica completa del sito con lo smantellamento e la decontaminazione dell'isola nucleare. Sogin ha quindi emesso il bando di gara per la progettazione esecutiva e l'esecuzione dei lavori di smantellamento del circuito primario e dei sistemi ausiliari dell'edificio reattore, escluso recipiente e i componenti interni del reattore (tra cui il nocciolo). Si è giunti ora alla fase di smontaggio del reattore, il “cuore” dell'impianto, dove - a detta di Fulvio Mattioda, responsabile del sito - «c'è il 99% della radioattività presente in centrale».

Miliardi di Becquerel

Escludendo gli elementi di combustibile irraggiati che sono stati inviati a Sellafield (UK) e a La Hague (Francia) per il ritrattamento, e i materiali radioattivi tuttora collocati nell'obsoleto Deposito “Avogadro” di Saluggia (che hanno una radioattività di oltre 819 mila miliardi di Becquerel), all’interno del sito della centrale “Fermi” attualmente sono presenti le strutture della centrale contaminate - e divenute esse stesse radioattive - per oltre 686 mila miliardi di Bq, e rifiuti radioattivi di varie categorie, per oltre 10 mila miliardi di Bq.
E' fuorviante, comunque, quanto sostiene il sindaco Daniele Pane quando - per convincere i concittadini a sostenere l'autocandidatura per la costruzione del Deposito Nazionale a Trino - afferma che «il materiale radioattivo ce l'abbiamo già qui»: a Trino, sul totale nazionale, di materiale radioattivo ce n'è pochissimo. Alla fine della disattivazione, dalla “Fermi” saranno da inviare al Deposito Nazionale per lo smaltimento definitivo 4259 metri cubi di materiale radioattivo, su un totale nazionale di 74.654 metri cubi (a Trino, quindi, ce n'è solo il 5,7%), e per lo stoccaggio provvisorio di lunga durata 369 metri cubi, su un totale nazionale di 17.092 metri cubi (a Trino, quindi, ce n'è solo il 2,16%).

Almeno altri cinque anni

Stando al cronoprogramma presentato da Sogin (e più volte rivisto negli scorsi anni) al “Tavolo di trasparenza sul nucleare” organizzato dalla Regione Piemonte nel dicembre 2022, l'attività di decommissioning della centrale “Fermi” con raggiungimento dello stato di brown field (impianto smantellato, materiale radioattivo ancora sul posto) avrebbe dovuto concludersi nel 2029. Ma nel 2023 sul sito di Sogin il termine veniva spostato al 2030, e al Tg3 Piemonte del 24 febbraio scorso i dirigenti di Sogin hanno ventilato un ulteriore slittamento della fine dei lavori al 2036. Slittamento che - trattandosi di brown field - non ha nulla a che vedere con i tempi di individuazione e realizzazione del Deposito Nazionale per i rifiuti radioattivi: il trasporto del materiale al sito di stoccaggio definitivo comporterà ulteriori tempi (e ulteriori costi).
Insomma: ogni anno, per un motivo o per l'altro, Sogin sposta la fine dei lavori avanti di un anno o più. Con conseguente incremento dei costi: attualmente si preventiva una spesa complessiva di 245 milioni di euro, ma siccome siamo solo agli inizi dello smontaggio del reattore (la parte più delicata dell'impianto) è probabile che con i futuri riconteggi vi sia un ulteriore aumento.

L'eredità? Soltanto spese

Per una centrale che ha lavorato “a singhiozzo” per circa vent'anni, quindi, le operazioni di smantellamento sono in corso da venticinque, e ben che vada proseguiranno per altri cinque. La “Fermi” non produce più energia dal 1987, ma da allora è costata agli italiani più di 200 milioni di euro, e nei prossimi anni si prevede di spenderne un'altra cinquantina. Senza contare i costi dell'invio all'estero, per il “ritrattamento”, degli elementi di combustibile radioattivo tolti dal reattore (materiale che presto, in base agli accordi internazionali, dovrà comunque rientrare in Italia), e i costi per lo stoccaggio di altro materiale radioattivo trinese nel deposito privato “Avogadro” di Saluggia.
Quanto all'«eredità»: chi oggi - a Trino o nel resto d'Italia - ha 35 anni o meno non ha mai utilizzato l'energia elettrica prodotta dalla “Fermi”, ma ne sta pagando lo smantellamento, e pagherà gli enormi costi di realizzazione (e gestione per almeno 300 anni) del Deposito Nazionale del materiale radioattivo.
Più che un'eredità, il nucleare in Italia ha lasciato un enorme debito. Oltre, ovviamente, ai rifiuti radioattivi che - tranne il sindaco Pane - nessuno vuole.

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