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Il commento
07 Aprile 2023 - 10:07
la ministra Roccella
E’ acclarato, siamo ancora fermi alla disparità lavorativa e retributiva tra uomini e donne a svantaggio di queste ultime. è la sintesi di una ricerca delle Acli (Associazioni cristiane lavoratori italiani), pubblicata in questi giorni dal Corsera. Per condurla le Acli hanno utilizzato le banche dati dei propri Centri di assistenza fiscale e del Patronato, integrandole con un questionario online.
A partire dai redditi dichiarati emerge che il cosiddetto lavoro povero è una prerogativa femminile. Considerando i redditi derivanti dalle dichiarazioni fiscali da lavoro dipendente, si nota che le donne sono maggiormente presenti nelle fasce di reddito più basse.
Una condizione che riguarda sia le lavoratrici precarie sia quelle con un rapporto di lavoro stabile. Infatti, il 68 per cento delle precarie ha un reddito annuo che rimane sotto i 15 mila euro, mentre questo riguarda solo (si fa per dire) il 51 per cento degli uomini.
la concentrazione delle donne giovani nei livelli bassi di reddito è particolarmente evidente tra le lavoratrici discontinue: tre su quattro dichiarano redditi complessivi fino a 15 mila euro annui
Se prendiamo in esame le lavoratrici stabili, una su quattro ha un reddito complessivo che non supera i 15 mila euro annui, mentre gli uomini sono circa l’8 per cento. La ricerca delle Acli sottolinea che «la concentrazione delle donne giovani nei livelli bassi di reddito è particolarmente evidente tra le lavoratrici discontinue: tre su quattro dichiarano redditi complessivi fino a 15 mila euro annui».
Nel 2021, tra coloro che si sono rivolti ai patronati Acli per le pratiche relative ai sostegni al reddito, le donne sono il doppio degli uomini. Quasi il 70 per cento delle domande di Naspi proviene da donne lavoratrici, il cui rapporto di lavoro si è, quindi, interrotto involontariamente.
Per ciò che riguarda i redditi da lavoro, il divario a svantaggio delle donne rimane costante, ma è massimo per le classi di età giovanili, nelle quali oltre l’80 per cento delle donne guadagna meno di 1.500 euro mensili, contro circa il 50 per cento degli uomini.
Perciò le peggio retribuite sono le giovani donne. Neppure un alto livello d’istruzione avvantaggia le donne: se, infatti, il 39 per cento degli uomini laureati dispone di redditi superiori ai 2.000 euro, solo il 18 per cento delle donne laureate arriva a tale reddito mensile.
Fin qui la ricerca delle Acli.
Allora, che cosa chiedere al governo e alla ministra per la Famiglia, la natalità e le pari opportunità, Eugenia Roccella, tra le cui competenze ci sono anche quelle di «promuovere e coordinare le azioni di governo volte ad assicurare la piena attuazione delle politiche in materia di parità e pari opportunità di genere nel lavoro pubblico e privato, anche con riferimento ai temi dell’impresa femminile, dell’innovazione organizzativa, dell’armonizzazione dei tempi di vita, del divario retributivo e pensionistico e dell’equa distribuzione tra uomini e donne del lavoro retribuito e del lavoro di cura non retribuito»?
Cara ministra, meno chiacchiere e più fatti ché, sul fronte del lavoro e della parità salariale, non ne abbiamo ancora visti.
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