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Ivrea
08 Marzo 2023 - 16:54
Pio Piccini
Secondo il Pubblico Ministero Francesco Saverio Pelosi della Procura di Torino l’ex presidente di Finpiemonte Fabrizio Gatti per salvare dal crack una sua società, avrebbe sottratto dalle casse della Finanziaria della Regione la bellezza di 6 milioni di euro. Prima avrebbe aperto dei conti correnti in una banca Svizzera, la Vontobel, poi, tra il 2015 e il 2017, avrebbe dirottato parte del denaro a «Gesi Spa» e parte alla «P&P Management» di Massimo Pichetti e Pio Piccini.
Fabrizio Gatti
Il processo si è concluso con sette condanne. Gatti si è beccato sette anni e sei mesi di reclusione. Piccini e Pichetti sono stati condannati rispettivamente a 7 anni e 2 mesi e 6 anni e 6 mesi. E ancora 6 anni e 6 mesi a Francesco Cirillo, all’epoca dei fatti direttore della filiale di Zurigo di Vontobel. Quattro anni e mezzo per l’ex direttrice generale di Finpiemonte, Maria Cristina Perlo, colpevole di non avere impedito e denunciato la manovra. Un anno e 5 mesi per il commercialista Massimo Santoro, incaricato dalla società di Gatti di scrivere una relazione per il tribunale fallimentare, infine 6 anni e 6 mesi per il presunto prestanome Giuseppe Colucci.
Le difese annunciano battaglia. L’avvocato Roberto Trinchero, difensore di Cirillo preannuncia ricorso in appello e la stessa cosa faranno i legali di Fabrizio Gatti, gli avvocati Luigi Chiappero e Luigi Giuliano.
Gatti ha sempre respinto ogni accusa, così come ha sempre ribadito che non è sua la firma sui bonifici.
Secondo una prima ricostruzione Finpiemonte aveva selezionato un istituto bancario per aprire un conto corrente di corrispondenza per la gestione della liquidità presso la Vontobel Bank di Zurigo perché avrebbe garantito un tasso superiore al 2 per cento, ma anche per il rating a tripla A.
Si scoprirà successivamente che dei 50 milioni depositati su quel conto una parte era stata investita in operazioni ad alto rischio con una perdita di 5 milioni.
Un’altra parte era stata utilizzata per tre diversi bonifici, firmati dal Presidente e non anche dal direttore finanziario, effettuati tra giugno 2016 e febbraio 2017 a soggetti terzi privi di apparente giustificazione, uno di 1,5 milioni e gli altri di 2 milioni circa a società “che non compaiono tra i beneficiari dei finanziamenti di Finpiemonte o in rapporto con essa”.
Nelle carte in mano alla Procura è citato un bonifico da 2 milioni di euro da Vontobel a Gesi, società riferibile a Piccini, ma già si sa che ai creditori, dopo un anno e mezzo, non sarebbe arrivato nulla. E nulla si sa anche degli altri due bonifici che Vontobel avrebbe fatto alla P&P Management di Massimo Pichetti, società svizzera che avrebbe dovuto garantire i fondi per pagare i creditori della Gem Immobiliare di Gatti, impegnata nella realizzazione di una mega palestra a Collegno, fondi garantiti da un pegno di Finpiemonte.
Di sicuro P&P non ha rimborsato il prestito, Vontobel non ha incassato il pegno e Finpiemonte ha perso i suoi soldi.
All’indice i rapporti tra Gatti e Pio Piccini, cioè uno che ha patteggiato un anno e otto mesi per la bancarotta Agile-Eutelia di cui era uno dei massimi esponenti. In quella brutta pagina dell’imprenditoria nazionale a rimetterci furono quasi 800 lavoratori, di cui 136 tra le sedi di Torino e Ivrea. Il nome di Pio Piccini è spuntato fuori, nel 2018, anche nelle indagini sulle mazzette della sanità lombarda, sulle tangenti Enav e nell’inchiesta ‘Labirinto’ condotta a Roma dal pm Paolo Ielo e incentrata su presunti fondi neri per pagare mazzette ed ottenere importanti appalti pubblici. Il suo nome, nel 2013, era stato accostato alla vertenza ternana dell’ex Meraklon Yarn.
E ancora non basta, Piccini, infatti, intermediario dell’operazione Gem è, nel 2015, anche consulente di un’azienda, la Csp che ha poi acquistato il Cic di Ivrea, cioè il consorzio per l’informatizzazione del Canavese che aveva rischiato di fallire, portandosi dietro e a gambe all’aria tutti i soci (oltre al Comune di Ivrea anche CSI Piemonte, Città Metropolitana e Asl To4). Salvato con un’operazione da 2.500 euro, cioè praticamente senza alcun esborso di denaro, in base ad una perizia sul valore dell’azienda, paragonabile alle perdite, per tre milioni e 700 mila euro certificati da Giovanni Filosa, un professionista napoletano.
Il tutto grazie al conferimento di crediti per 1,5 milioni e di un software denominato Dhe con un costo di sviluppo pari a due milioni, ma con il quale si prevedevano ricavi per 5,4 milioni.
Questo diceva la perizia e di questo aveva preso atto nel dicembre del 2015 anche il tribunale di Ivrea per dare corso alla cessione.
Si era poi scoperto che Csp aveva acquistato quel software (Dhe) appena due giorni prima da una società romana, la Gesi spa, che ce lo aveva in catalogo già dagli Anni ‘90. E ancora che, nei bilanci di Csp, il software “Dhe” era stato iscritto con un valore di 1,3 milioni, decisamente inferiore rispetto a quanto indicato nella perizia consegnata nelle mani del giudice del tribunale.
Nel gennaio del 2016, Gesi (beneficiaria di un bonifico da 2 milioni di euro provenienti dalla Banca svizzera) diventava socia di Cic acquistando da Csp lo 0,56% del capitale e Cic, quasi in contemporanea, veniva valorizzata di oltre 2 milioni di euro. Filo conduttore tra Csp e Gesi sempre Pio Piccini consulente titolare della Global Contact che aveva sede a Roma nello stesso indirizzo degli uffici di CSP. Socia di Global Contact era Raffaella Berardi, che era anche socia di minoranza di Gesi spa.
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