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L'editoriale Politico

Accorato appello al Pd: "Smettetela di occuparvi del vostro ombelico"

Antonio Polito

Antonio Polito

Chissà se il direttore di questa testata permetterà l’uscita di questo articolo.

Questo articolo infatti è un plagio o, meglio, è la riproposizione del testo di Antonio Polito, vicedirettore del Corsera, uscito giovedì passato, al quale mi sento di aderire totalmente e perciò di riproporlo tal quale nella parte finale (per ragioni di spazio), invitando il lettore a leggerlo nella sua veste integrale.  

Il giornalista, che nella propria biografia professionale e politica annovera di essere stato giornalista dell’Unità e parlamentare dell’Ulivo, rivolge un accorato appello alla dirigenza pidina affinché la smetta, davvero, di offrire uno spettacolo di così tale indecenza da farci vergognare (prima di noi l’allora segretario Zingaretti) e smentisca quel brutto mantra secondo il quale il piddì ha governato surrettiziamente, senza aver mai vinto le elezioni, tant’è che, adesso, volano gli stracci e il partito è sul punto di implodere.

«Ecco perché ci sentiamo di ripetere l’appello che già qualche tempo fa rivolgemmo ai dirigenti del Pd: smettetela», scrive Antonio Polito. «Smettetela di occuparvi del vostro ombelico, perché così riducete la politica a lotta interna per il potere, e la vostra presunta diversità va a farsi benedire. Smettetela perché così finite con il dare ragione a chi aborrisce la forma-partito e le preferisce il partito patrimoniale, o a guida carismatica. Smettetela di dibattere su che cosa dovreste essere, quando da

Smettetela di proporre al Paese un’idea di democrazia che non riuscite a far funzionare decentemente neanche al vostro interno.

tempo non ci dite che cosa volete fare. Smettetela di eleggere con le primarie aperte a tutti il vostro segretario di partito, nella presunzione, ormai infondata, che si tratti anche del candidato alla premiership del Paese (o almeno, se volete continuare nella finzione, selezionate candidati più credibili in quel ruolo). Smettetela di proporre al Paese un’idea di democrazia che non riuscite a far funzionare decentemente neanche al vostro interno. Riscoprite l’orgoglio e un minimo di patriottismo di partito, invece di comportarvi come un amalgama di correnti, fazioni e gruppi di potere, interessati innanzitutto alla propria sopravvivenza, e su quell’altare disposti a sacrificare il bene comune. E ricominciate a fare politica. Che non vuol dire urlare un po’ di più in Parlamento o inseguire la “nouvelle vague” della sinistra del “gratuitamente”. Ma vuol dire organizzare battaglie nel Paese, selezionare e difendere interessi, strappare risultati, emendare leggi, e per far questo stringere alleanze, e inserirsi nelle contraddizioni dell’avversario per dividerne le fila. Il Pd che va a congresso sembra convinto di aver perso le elezioni perché ha governato. In realtà le ha perse perché non aveva né le idee né le alleanze per governarlo. Bisogna ricominciare da lì».

Già perché a rimettere in piedi il partito non sarà il pragmatismo degli amministratori locali, che magari hanno vinto le amministrative tenendo ben distinte le loro candidature dal simbolo del piddì, mettendo insieme coalizioni raccogliticce contando – come antidoto all’astensionismo – più sull’attivazione dei candidati che su un autentico «patriottismo civico» e su un solido programma condiviso. Quel che è certo, insomma, è che non sarà il «partito dei sindaci» a salvare il piddì.

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