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ROMA. Quaranta anni fa la fine dei manicomi

ROMA. Quaranta anni fa la fine dei manicomi

manicomio

"La cosa importante è che abbiamo dimostrato  che l'impossibile diventa possibile". Sta, forse, tutto in questa  frase il senso della legge rivoluzionaria che 40 anni fa segnò la  fine dell'era degli ospedali psichiatrici in Italia, ovvero la  chiusura dei manicomi. A pronunciarla il 'padre' di quella legge - la  180 del 13 maggio 1978 - lo psichiatra Franco Basaglia, che diede  vita al Movimento per il superamento degli istituti psichiatrici. Da  allora è cambiato il volto della malattia psichiatrica nel nostro  Paese, ma restano tuttavia molte le criticità da affrontare, a  partire da un sistema di assistenza per il quale i finanziamenti sono  ancora insufficienti.La 180, sottolinea lo psichiatra Massimo Cozza, coordinatore del  Dipartimento salute mentale (Dsm) ASL Roma 2 (il più grande d'Italia  con circa 1,3 mln di abitanti), "ha restituito dignità ai malati e ha  indicato nei servizi territoriali i luoghi di cura. La legge demanda  infatti alle Regioni l'organizzazione dei Dsm. Il ricovero da  obbligatorio è diventato volontario, lasciando comunque la  possibilità del trattamento sanitario obbligatorio negli ospedali  generali". Prima della 180 era vigente la legge 36 del 1904, per la quale venivano internate nei manicomi le persone "affette per  qualunque causa da alienazione mentale". Dopo un periodo di  osservazione, i pazienti potevano essere ricoverati definitivamente,  perdevano i diritti civili ed erano iscritti nel casellario penale.  Nei fatti, afferma Cozza, "i manicomi svolgevano un ruolo di  controllo sociale dei supposti 'devianti', dove si ritrovava chi era  ai margini della società, dai malati di mente ai piccoli delinquenti  alle prostitute, e dove si praticavano elettroshock e contenzioni.  Tra i ricoverati vi erano anche gli omosessuali.Nel periodo fascista, poi, i ricoverati aumentarono, con  un'utilizzazione di tali istituti anche per i dissidenti, e dal 1926  al 1941 passarono da 60mila a 96mila".Gli ultimi dati disponibili in Italia prima del 1978 risalgono al  1954, e vedono 95 manicomi con 120mila posti letto.Poi la svolta, ed a completamento del percorso anche le leggi 9 del  2012 e 81 del 2014 che hanno decretato il superamento pure degli  ospedali psichiatrici giudiziari (Opg), dopo la denuncia delle loro drammatiche condizioni. Nel 2017 si è completata la chiusura di tutti  e 6 gli Opg italiani. In alternativa agli Opg sono ora attive le Rems  (Residenze per le Misure di Sicurezza), strutture sanitarie  residenziali con non più di 20 posti letto. All'aprile 2017, si contano 30 Rems con 596 ricoverati.Il panorama dell'assistenza si è dunque completamente trasformato, ma  anche oggi non mancano le criticità. La situazione attuale è infatti,  denuncia Cozza, "a macchia di leopardo con grandi differenze  regionali. Uno dei problemi resta la carenza di personale: quello dei  Dsm è di 29.260 unità, sotto lo standard di 1/1500 abitanti  indicato dal Progetto obiettivo salute mentale  1998-2000, secondo il quale gli operatori dipendenti dovrebbero  essere circa 40mila. Inoltre i fondi sono insufficienti". Un dato  allarmante riguarda anche l'assistenza ai più giovani: "In Italia ci  sono solo 325 posti letto di neuropsichiatria infantile", afferma  Antonella Costantino, presidente della Società italiana di  neuropsichiatria dell'infanzia e dell'adolescenza (Sinpia).  Risultato: "Solo un terzo dei ragazzini che hanno bisogno di un  ricovero in neuropsichiatria infantile per un disturbo psichiatrico  acuto - rileva - riescono ad essere ricoverati effettivamente in  questo reparto".
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