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14 Gennaio 2016 - 15:16
Un ''importante riconoscimento, ma sicuramente non basta e non ci soddisfa completamente''. E' questo il commento dell'Associazione politrasfusi italiani (Api) alla sentenza con cui la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo ha condannato lo Stato italiano a risarcire, con una somma di oltre 10 milioni di euro, più di 350 cittadini infettati da vari virus attraverso le trasfusioni di sangue.
La sentenza, commenta il presidente Api Angelo Magrini, ''dà dignità alle persone, e per questo è una vittoria''. Tuttavia la pronuncia non soddisfa completamente, come spiega l'avvocato Dario Cutaia dell'associazione: ''La Corte - afferma - ha condannato l'Italia sostanzialmente per i tempi lunghi legati ai risarcimenti e ciò è giusto. La sentenza definisce però adeguata la somma di 100mila euro prevista come forfettaria per ogni persona danneggiata e stabilita dalla legge 114 del 2014 voluta dal governo Renzi. In realtà - sottolinea - in questo modo non si tiene conto delle differenziazioni tra le diverse categorie di malati e tra coloro ancora vivi e quelli che invece sono purtroppo già deceduti''. Ricostruendo la triste vicenda delle circa 120mila persone ammalatesi in Italia dopo trasfusioni infette effettuate tra gli anni '70 e '90 (4.500 sarebbero decedute), Cutaia rileva come siano circa 30mila i malati che oggi ricevono un indennizzo bimestrale, di qualche centinaia di euro, da parte dello Stato. Sul totale dei pazienti, negli anni, spiega, ''circa 7mila hanno avviato delle cause risarcitorie''.
Dal punto di vista legislativo, chiarisce, ''nel 2007, la legge 244 ha previsto un risarcimento in base al danno per ogni malato, per un importo massimo di 5-600mila euro. I decreti attuativi del 2009 per l'accesso al risarcimento, tuttavia, prevedevano paletti strettissimi che di fatto rendevano inattuabile la normativa. Per questo, molti pazienti si sono rivolti alla Corte di Strasburgo, la cui risposta è giunta oggi''. Nel 2014, però, ricorda l'avvocato, ''con il dl 90, il governo Renzi stabiliva una 'equa riparazione' pari a 100mila euro a ogni soggetto danneggiato, senza differenziazioni tra i pazienti; 'equa riparazione' giudicata adeguata dalla Corte nelle sentenza''. Dunque, conclude, ''il pronunciamento è sicuramente un riconoscimento, ma non basta e non garantisce i cittadini danneggiati in ragione del danno subito''.
La Corte di Strasburgo ha riconosciuto che la somma di 100.000 euro già prevista a titolo di ''equa riparazione'' per ogni malato, ''costituisce un rimedio interno, del tutto compatibile con le previsioni della Convenzione e in grado di assicurare un adeguato ristoro ai soggetti danneggiati''. Lo precisa il ministero della Salute in relazione alla decisione della Corte europea dei diritti dell'uomo sui ricorsi proposti da alcuni cittadini italiani, tutti infettati da vari virus (HIV, epatite B e C) a seguito di trasfusioni di sangue praticate in trattamenti sanitari o operazioni chirurgiche.
''La Corte - sottolinea il ministero in una nota - pur avendo riconosciuto per tutti quei casi risalenti agli anni '90 la violazione delle disposizioni della Convenzione europea dei diritti dell'uomo relativamente al diritto ad un equo processo ed ad un ricorso effettivo, ha affermato che la procedura di cui all'art. 27-bis del decreto-legge n. 90/2014 - la cui introduzione è stata fortemente voluta dal Ministro Lorenzin -, che riconosce ai soggetti danneggiati, a titolo di equa riparazione, una somma di denaro determinata nella misura di euro 100.000, costituisce un rimedio interno, del tutto compatibile con le previsioni della Convenzione e in grado di assicurare un adeguato ristoro ai soggetti danneggiati''.
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