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05 Gennaio 2016 - 14:31
SCHIRRIPA Rocco
Rocco Schirripa, il panettiere 64enne arrestato lo scorso 22 dicembre con l'accusa di aver fatto parte del 'commando' della 'ndrangheta che il 26 giugno 1983 uccise a colpi di pistola l'allora procuratore capo di Torino Bruno Caccia, ha chiesto, attraverso il suo legale, la scarcerazione. L'istanza è stata presentata dal difensore, l'avvocato Basilio Foti, al Tribunale del Riesame di Milano.
Già nell'interrogatorio di garanzia davanti al gip di Milano Stefania Pepe, che ha emesso l'ordinanza di custodia in carcere su richiesta del procuratore aggiunto Ilda Boccassini e del pm Marcello Tatangelo, Schirripa si era proclamato "innocente" e vittima di un "fraintendimento". Secondo il suo difensore, nell' ambito delle indagini della Dda milanese sarebbero state acquisite fonti di prova in modo anomalo. A incastrare Schirripa, infatti, è stata in particolare una 'mossa' della squadra mobile di Torino: è stata inviata una lettera anonima a Domenico Belfiore, boss della 'ndrangheta già condannato come mandante dell'omicidio, il quale ha contattato poi il cognato, Placido Barresi. Barresi, a sua volta, ha chiamato Schirripa: "Ti sei fatto trent'anni tranquillo, fattene altri trenta tranquillo". Dialoghi tutti intercettati.
Inoltre, secondo la difesa, l'identikit realizzato all'epoca dell'omicidio sulla base dei racconti di un testimone oculare non corrisponderebbe a come era Schirripa nell'83, perché era già stempiato e non aveva i capelli lunghi. E la foto segnaletica di Schirripa che è stata confrontata con l'identikit risalirebbe per la difesa a 10 anni prima. "Una cosa sono le impressioni della polizia - ha spiegato il legale - altra cosa è quello che emerge dalle intercettazioni".
Per il difensore, infatti, alla base delle indagini c'è soltanto un quadro indiziario 'indiretto' senza elementi di prova concreti. L'udienza davanti al Tribunale del Riesame verrà fissata nei prossimi giorni.
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