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28 Maggio 2015 - 14:09
"Nella valutazione della incidenza di una sopravvenuta sentenza non definitiva di condanna" per i reati indicati dalla legge Severino, "l'opzione del legislatore - afferma la Cassazione - è chiaramente orientata nel senso di una temporanea compressione del diritto soggettivo dell'eletto, allo svolgimento del mandato, per un tempo predefinito e secondo modalità del pari interamente delineate dalla legge" sicché "le controversie sulla sospensione" disposta dalla Severino "sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario".
Nella "configurazione legislativa" della legge Severino "non è attribuita alla Pubblica Amministrazione" - e dunque ai prefetti - alcuna discrezionalità in ordine all'adozione del provvedimento di sospensione" nei confronti dei politici condannati per i reati sanzionati dalla riforma Severino". Lo sottolinea la Cassazione nel verdetto delle sezioni unite sul caso De Magistris. "La sospensione opera di diritto al solo verificarsi delle condizioni legislativamente previste e per il tempo previsto dal legislatore".
"Al Prefetto - spiega il verdetto - non è attribuito alcun autonomo apprezzamento in ordine all'adozione del provvedimento di sospensione e non è consentito di modularne la decorrenza o la durata sulla base della ponderazione di concorrenti interessi pubblici". In pratica, ad avviso della Suprema Corte, il "bilanciamento" tra "il diritto di elettorato passivo e il principio di buon andamento della pubblica amministrazione" "risulta effettuato dal legislatore nel senso della chiara prevalenza della riferibilità del provvedimento (di sospensione) alla sfera dell'elettorato passivo". Con la conseguenza che la competenza è della magistratura ordinaria e non di quella amministrativa, come invece ha sostenuto la difesa del sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, che insisteva sulla necessità di dare preponderanza all'obiettivo "del buon andamento dell'ente locale", una finalità alla quale è più 'sensibile' la giurisprudenza dei Tar e dei Consigli di Stato.
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