Ercole Incalza, l'ex potentissimo manager del Ministero delle Infrastrutture, tre mesi fa avrebbe pianificato il modo in cui riuscire "di fatto a controllare ancora" gli appalti per le grandi opere, malgrado fosse "formalmente fuori" dalla Struttura tecnica di Missione del dicastero. E lo stesso ex dirigente pubblico si sarebbe attivato, anche dopo averne parlato con l'ormai ex ministro Maurizio Lupi, affinché Paolo Signorini, "già direttore del Cipe", prendesse "il suo posto", incarico che quest'ultimo ricopre tuttora. Il piano di Incalza per restare nell'ombra della gestione delle commesse pubbliche e per definire la sua successione nella struttura ministeriale è contenuto negli atti dell'inchiesta della Procura di Firenze che, lunedì scorso, ha portato a quattro arresti e che ha travolto anche Lupi (non è indagato). In una telefonata intercettata del 19 dicembre scorso una collaboratrice del Ministero, riassumono i pm, "si compiace di alcuni passaggi di un emendamento sulla Struttura tecnica di Missione in cui risultano confermati i rapporti di collaborazione in essere". E "si comprende", scrivono gli inquirenti, che è stato lo stesso Incalza a scriverlo. Emendamento in cui "potrebbe rientrare" anche il super dirigente, "ma in realtà si comprende che l'idea di Incalza sia quella di apparire formalmente fuori ma di fatto controllare ancora tutto". Con l'inizio di quest'anno, infatti, Incalza è decaduto dal ruolo di responsabile della struttura tecnica, perché "forzatamente messo in pensione" in base alla legge Madia. Il progettista Stefano Perotti, direttore dei lavori delle grandi opere al centro dell'indagine e anche lui arrestato, intercettato il 26 dicembre scorso descrive, però, l'uscita di Incalza dalla struttura ministeriale come una "mera operazione di facciata". Non poteva, tra l'altro, spiega Perotti, rimanere in quel posto senza compensi, perché, sempre secondo il progettista, il suo ragionamento sarebbe stato: "se rimanessi gratis mi direbbero che a maggior ragione sono là per rubare". L'importante per Incalza, secondo i pm, era mantenere in vita la struttura tecnica e predisporre la successione. Lo scorso 12 dicembre, è lo stesso Lupi a informare Incalza di aver "sollecitato un tal 'Santini' per sostenere la conferma" della Struttura tecnica di Missione: "gli ho detto - dice intercettato l'ex ministro - 'se i tuoi del Pd rompono i coglioni perché pensano di Incalza non ti preoccupare ... Incalza anche se la cosa mi dispiace ... il primo gennaio va'". E il giorno dopo l'ex manager racconta a Paolo Signorini "che è riuscito ad ottenere la conferma della Struttura tecnica di Missione dopo aver parlato con i senatori Antonio Azzolini, Giorgio Santini, Federica Chiavaroli e Pier Paolo Baretta". E gli dice: "I soldi li abbiamo difesi". Per la Procura Incalza ha voluto "assicurare la continuità" facendo in modo che il "suo posto" venisse "preso da Signorini". E in un'altra telefonata intercettata afferma: "E' bene che rimanga Signorini". Dalle carte dell'inchiesta, infine, e nel capitolo dedicato agli interessi negli appalti libici di Perotti e Incalza, viene a galla anche la volontà di entrare in una commessa "per la predisposizione da parte della Selex (Gruppo Finmeccanica) di una rete di controllo per l'immigrazione". "C'è un grosso appalto adesso in Libia ... 350 milioni di euro (...) che dovrebbe essere un sistema di controlli (...) soprattutto adesso che sta venendo fuori tutto questo casino ... gli immigrati che arrivano", spiega nel maggio scorso Davide Vaggi, "indicato in fonti aperte come consulente di Impregilo e delle cosiddette 'coop rosse'", a Perotti.
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