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FIRENZE. Quelle cene per Lupi e quei favori per la mogie

Non c'è solo il lavoro trovato a suo figlio. C'è anche un viaggio aereo pagato a sua moglie per raggiungere Bari, in occasione di una convention dell'Ncd, ci sono i regali di Natale a lui e al suo staff. E c'è una cena per reperire fondi "nell'interesse del ministro". Insomma, dalle carte dell'inchiesta fiorentina sui grandi appalti, emergono relazioni e scambi fra il 'mondo di Maurizio Lupi' e quello che la procura ha chiamato il 'Sistema', che era guidato dai quattro arrestati con l'accusa di aver pilotato appalti pubblici. Secondo i carabinieri del ros di Firenze, l'ex capo struttura di missione del ministero delle Infrastrutture, Ercole Incalza, faceva in modo di affidare la direzione dei lavori a un ingegnere, Stefano Perotti, che era entrato in contatto con il dicastero grazie a un 'faccendiere', Francesco Cavallo, definito nelle carte degli inquirenti "l'uomo di Lupi". Per descrivere i rapporti fra gli arrestati e il ministero, i pm fiorentini annotano che "Lupi e la moglie sono stati ospiti dei coniugi Perotti per il fine settimana, nel settembre 2013 e nel dicembre 2013. Con riguardo al secondo incontro in Firenze, allo stesso ha preso parte anche Cavallo". La moglie del ministro, Emanuela Dalmiglio, viene citata anche in un altro passaggio. In occasione di una convention di Ncd organizzata a Bari da Lupi, Cavallo le procurò il biglietto aereo Milano-Bari. Il prezzo è di 447 euro e il pagamento risulta intestato a Cavallo: "non è dato sapere - spiegano i pm - se tale spesa sia stata rimborsata". Poi c'è l'elenco dei doni 'gestiti' da Cavallo: "contatti ed incontri, anche conviviali - scrivono i pm - nonché l'organizzazione di una cena volta a reperire 'fondi' nell'interesse del ministro" e poi 900 euro in dolci, 1600 in                 borse, "la fornitura di abiti sartoriali" da 700 euro l'uno "in favore del Ministro Lupi, di suo figlio Luca e dei suoi                 segretari", l'acquisto di regali natalizi in favore dello stesso ministro e del suo entourage". Gli inquirenti ritengono che uno di questi fosse destinato alla segreteria di Lupi e costasse 7/8 mila euro. Fra gli 'amici' del ministro che spuntano nelle intercettazioni del 'Sistema' c'è anche l'ex delegato pontificio per la Basilica del Santo a Padova, monsignor Francesco Gioia, che, annotano gli inquirenti, si attivò per reperirgli voti per le europee del 2014. Monsignor Gioia è citato nelle carte anche perché chiese a Perotti e a Cavallo di trovare un lavoro al proprio nipote e per aver sponsorizzato un imprenditore per l'appalto del Palazzo Italia a Expo. Oltre ai coniugi Lupi, a cena con Cavallo ci va anche loro figlio, Luca. L'8 gennaio 2014, Cavallo lo contatta per "organizzare un po' di cose". Secondo i pm di Firenze, il riferimento è al lavoro da trovare a Luca: infatti, dalle conversazioni intercettate l'8 gennaio 2014 tra Lupi e Incalza, poi tra Incalza e Perotti e infine tra Perotti e Cavallo, "emerge - scrivono i pm - che l'interessamento del Perotti veniva attivato da Incalza, il quale, a sua volta, aveva incontrato Lupi Luca su richiesta del Ministro Lupi". Secondo i pm, gli arresti sono serviti a interrompere un 'Sistema' che non si era fermato con l'uscita di Incalza dal ministero, a gennaio 2015. "Ancorché Incalza abbia cessato il proprio incarico ministeriale - scrivono - lo stesso continua a frequentare il Ministero e ad esercitare la propria influenza. Incalza stesso - aggiungono - si è assicurato che l'incarico da lui ricoperto venisse affidato a Signorini Paolo, così come in effetti è avvenuto". Non manca un tocco di colorato paradosso: "E' davvero singolare la personalità di Perotti e di Cavallo - scrivono gli inquirenti nel motivare 'la sussistenza delle esigenze cautelari' - Seppur capaci di tessere fitte trame corruttive, il 27 marzo 2014 alle 6.30 partecipano alla messa in Vaticano di Papa Francesco" che pronunciò, "davanti a politici ed imprenditori, un'omelia sulla corruzione che ha suscitato clamore".  

Meglio riportare soldi in Italia...

  L'imprenditore Stefano Perotti e la moglie Christine Mor disponevano di una consistente provvista di denaro in Svizzera, fatta rientrare poi in Italia con operazioni, secondo i pm dell'inchiesta fiorentina su tangenti e appalti di grandi opere, che avrebbero ostacolato l'identificazione della provenienza del denaro. L'attenzione della procura si è appuntata in particolare su due milioni e 700.000 euro fatti trasferire dalla banca svizzera Jiulius Baer di Lugano ad una agenzia Bnl di Firenze e quindi subito dopo alla società 'Ingegneria Spm' di cui è amministratrice Cristina Mor su un conto delle Cassa di risparmio di Cesena-Ravenna. Il denaro sarebbe anche servito per l'acquisto di quote della società 'Senato srl' proprietaria di un immobile a Milano. Nella intercettazioni allegate agli atti la preoccupazione della famiglia Mor sembra quella dello scarso rendimento del denaro in Svizzera. La stessa Christine Mor parlando con il figlio Philippe Perotti dice che "'sti soldi che noi abbiamo fuori non rendono niente. Stanno quasi a zero. Se non addirittura ci si spende per tenerli li'". La Mor, riferendosi al conto in Svizzera, spiega anche di aver "tolto i soldi dall'Italia perchè pensavo che lì andava meglio... ma mi sa che va peggio". Da qui la decisione di investire in immobili, a Milano e a Punta Ala (Grosseto) e, dice ancora la moglie di Perotti, a "tenerci un po' di liquidità". Le proprietà immobiliari della famiglia insistono anche su Firenze dove la casa di via del Forte di San Giorgio, spiega la madre a Philippe Perotti, "non ha prezzo" mentre per quella del figlio, sempre a Firenze, sono stati pagati un milione e centomila euro e quella romana dell'altra figlia Corinne attorno al milione e 300 mila.    

Il direttore dei lavori gonfiava i costi

  Alla corte di Ercole Incalza andavano in processione per ottenere grandi appalti, resi tali anche da un direttore compiacente che gonfiava i costi e che era sempre lo stesso, Stefano Perotti. Così i pm di Firenze negli atti dell'inchiesta che vede Incalza e Perotti soci di fatto uniti da un 'patto criminale' tale da alterare le leggi del mercato e da causare un aumento del debito pubblico italiano. IN PROCESSIONE DA INCALZA,RITUALI DI SOTTOMISSIONE - "Incalza dirige con attenzione ogni grande opera controllandone l'evoluzione in ogni passaggio formale", scrivono i pm di Firenze. "E' lui che predispone le bozze della legge obiettivo, è lui che, di anno in anno, individua le grandi opere da finanziare e sceglie quali bloccare e quali mandare avanti". Da lui "gli appaltatori non possono prescindere e, come in una sorta di processione che evoca antichi rituali di sottomissione accompagnati dal Perotti, si presentano alla sua corte per ingraziarsi la sua benevolenza". PEROTTI DIRETTORE LAVORI COMPIACENTE, GONFIA COSTI - Nominato da Incalza, Stefano Perotti è stato "un direttore dei lavori compiacente verso l'impresa esecutrice delle opere" ciò ha consentito "sistematicamente che l'importo dei lavori si gonfiasse a dismisura". Incalza "suggerisce all'appaltatore il nome del direttore dei lavori, nome che 'casualmente' - ironizzano i pm - è sempre lo stesso", cioè Perotti, "chiave di lettura delle vicende delle grandi opere italiane degli ultimi vent'anni, delle ragioni delle lungaggini, della lievitazione dei costi, dell'assenza dei controlli nella regolazione dei subappalti". 'GRUPPO' INCALZA E' CONCAUSA DEBITO PUBBLICO ITALIANO - Il gruppo, l'organizzazione che per venti anni ha gestito gli appalti pubblici in Italia, secondo i pm di Firenze, "può essere considerata una delle cause, se non la principale, della lievitazione abnorme dei costi, della devastante distorsione delle regole della sana concorrenza economica, di efficienza e trasparenza e non da ultimo dell'aumento esponenziale del debito pubblico nazionale". CORRUZIONE SISTEMICA CONDIZIONA FINANZE STATALI - "Questa non è una storia di ordinaria corruzione" ma uno "scenario di devastante corruzione sistemica nella gestione dei grandi appalti": così la procura della Repubblica di Firenze nella richiesta di misure cautelari per Incalza e altri. Gli atti parlano di "un'organizzazione criminale di spessore eccezionale che ha condizionato per almeno un ventennio la gestione dei flussi finanziari statali". INCALZA INFLUENZA IL MINISTERO ANCHE DOPO SUA USCITA - "Quel che preme sottolineare è il fatto che, ancorché Incalza abbia cessato il proprio incarico ministeriale, lo stesso continua a frequentare il Ministero e ad esercitare la propria influenza": lo scrivono i pm di Firenze. "Dalla fine di gennaio 2015 Incalza ha formalmente cessato la sua attività alla Struttura di Missione del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. Già dai primi di dicembre 2014 ci sono conversazioni telefoniche sul tema. In un primo momento vi è stato un tentativo di addivenire ad una modifica normativa che consentisse a Incalza di proseguire nella sua attività per tutto il 2015. Tale modifica è stata introdotta ma Incalza ha ritenuto di non usufruirne, per evitare di fomentare polemiche intorno alla sua persona e perché, trattandosi di intervento legislativo privo di copertura finanziaria, non avrebbe potuto percepire alcun compenso". INCALZA-PEROTTI, PATTO CRIMINALE CHE DÀ ENORMI UTILITÀ - Ettore Incalza e Stefano Perotti "hanno sempre operato quali soci di fatto in forza di un patto criminale grazie al quale hanno congiuntamente conseguito enormi utilità". Perotti, scrivono i pm, "è stato in grado di ottenere una serie notevole di incarichi professionali di importi stratosferici in forza del suo 'speciale' rapporto con Incalza". Solo come direttore dei lavori della Tav Firenze-Bologna tra il '96 e il 2008 Perotti ha ricevuto 68 milioni di euro. MIRIADE DI DITTE SUBAPPALTATRICI VICINE ALLE MAFIE - "Nelle grandi opere l'effettiva esecuzione dei lavori è in gran parte in mano ad una miriade di ditte subappaltatrici, spesso contigue alla criminalità mafiosa": lo rilevano i pm. Per esempio la gestione dello smaltimento dei rifiuti dei cantieri della Tav di Firenze è stato affidato a diverse ditte che facevano capo però alla "Ve.ca Sud di Maddaloni, impresa vicina ai 'casalesi'". NODO TAV FIRENZE, COSTI RADDOPPIATI MA "PISCIA DAPPERTUTTO" - Per la progettazione del nodo Tav di Firenze fu chiesto a Rfi un importo di 42,7 milioni quando ne sarebbero bastati la metà secondo i passaggi di incarico tra una società e l'altra e alla fine sono state anche fornite "prestazioni scadenti ed inadeguate". Rfi, dopo un sopralluogo, espresse "giudizi molto pesanti", scrivono i pm di Firenze. Quando Perotti rischia di perdere il lavoro per la negligenza con cui ha condotto la direzione dice pure: "Questo non è corretto". I pm sottolineano che Nodavia prese l'appalto per 42,7 mln e poi affidò l'incarico alla Dilan di Stefano Perotti per 21,7 milioni.  
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