ROMA. Eternit: Cassazione, "tutto prescritto prima del processo"
23 Febbraio 2015 - 15:34
eternit
Il processo torinese per le morti da amianto era prescritto prima ancora del rinvio a giudizio dell'imprenditore svizzero Schmideiny: lo sottolinea la Cassazione nelle motivazioni, depositate oggi, del verdetto di prescrizione che lo scorso 19 novembre ha, tra l'altro, annullato i risarcimenti alle vittime. Ad avviso della Cassazione "a far data dall'agosto dell'anno 1993" era ormai acclarato l'effetto nocivo delle polveri di amianto la cui lavorazione, in quell'anno, era stata "definitivamente inibita, con comando agli Enti pubblici di provvedere alla bonifica dei siti". "E da tale data - prosegue il verdetto - a quella del rinvio a giudizio (2009) e della sentenza di primo grado (13/02/2012) sono passati ben oltre i 15 anni previsti" per "la maturazione della prescrizione in base alla legge 251 del 2005". "Per effetto della constatazione della prescrizione del reato, intervenuta anteriormente alla sentenza di I grado", cadono "tutte le questioni sostanziali concernenti gli interessi civili e il risarcimento dei danni". Lo scrive la Cassazione nelle motivazioni depositate oggi del processo Eternit sulle morti da amianto. "Il Tribunale ha confuso la permanenza del reato con la permanenza degli effetti del reato, la Corte di Appello ha inopinatamente aggiunto all'evento costitutivo del disastro eventi rispetto ad esso estranei ed ulteriori, quali quelli delle malattie e delle morti, costitutivi semmai di differenti delitti di lesioni e di omicidio". Lo scrive la Cassazione nel verdetto Eternit. Ad avviso della Cassazione l'imputazione di disastro a carico dell'imprenditore svizzero Stephan Schmidheiny non era la più adatta da applicare per il rinvio a giudizio dal momento che la condanna massima sarebbe troppo bassa, per chi miete morti e malati, perché punita con 12 anni di reclusione. Lo scrivono i supremi giudici nel verdetto Eternit. In pratica "colui che dolosamente provoca, con la condotta produttiva di disastro, plurimi omicidi, ovverosia, in sostanza, una strage" verrebbe punito con solo 12 anni di carcere e questo è "insostenibile dal punto di vista sistematico, oltre che contrario al buon senso", aggiunge la Suprema Corte. Per la Cassazione "la consumazione del reato di disastro non può considerarsi protratta oltre il momento in cui ebbero fine le immissioni delle polveri" d'amianto "prodotte dagli stabilimenti" gestiti da Stephan Schmidheiny e cioè "non oltre il mese di giugno dell'anno 1986, in cui venne dichiarato il fallimento delle società del gruppo". Lo scrivono i supremi giudici nelle motivazioni del verdetto Eternit. Con il fallimento - scrive la Cassazione - "venne meno ogni potere gestorio riferibile all'imputato e al gruppo svizzero" e gli stabilimenti (Casale Monserrato e Cavagnolo in Piemonte, Napoli-Bagnoli in Campania e Rubiera in Emilia, cessarono l'attività produttiva "che aveva determinato e completato per accumulo e progressivo incessante incremento la disastrosa contaminazione dell'ambiente lavorativo e del territorio circostante". "Non può annettersi rilievo, nella situazione normativa data, alla circostanza della mancata o incompleta bonifica dei siti" contaminati dall'amianto nelle zone di produzione dell'Eternit. Lo sottolinea la Cassazione, nel verdetto Eternit, respingendo la tesi di alcuni dei difensori delle vittime dell'amianto che ritenevano che l'imprenditore svizzero Stephan Schmidheiny dovesse essere dichiarato responsabile per la mancata o incompleta bonifica dei siti produttivi. Spiegano gli ermellini che la fattispecie incriminatrice del reato di disastro "non reca traccia di tale obbligo, né esso, o altro obbligo analogo, può desumersi dall'ordinamento giuridico, specie se riportato al momento in cui lo stesso dovrebbe considerarsi sorto (1986)". Quando, nel 1976, l'imprenditore svizzero Stephan Schmidheiny "aveva assunto la responsabilità della gestione del rischio di amianto per le aziende Eternit Italia, gli effetti 'disastrosi' della lavorazione (almeno quella non adeguatamente controllata) dell'asbesto erano scientificamente noti" e il problema delle "patologie tumorali" venne "posto in luce in sede comunitaria agli inizi del anni 80". "L'Italia - sottolinea la Cassazione nel verdetto sull'Eternit - non adottò per tempo i provvedimenti dovuti e la corte di giustizia CE, dopo una procedura di infrazione promossa nel 1990, dichiarò l'Italia inadempiente" all'obbligo di dotarsi di una normativa anti-amianto. In materia c'è stata "una lentezza della politica a problemi di tale fatta" e anche un "ritardo nella informazione scientifica degli organi pubblici" dovuto sempre alla "lentezza della politica".
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