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Sushi alla piemontese: il capolavoro nato durante il lockdown e diventato leggenda

Nel centro storico della città, un ristorante diventato rifugio di autenticità. Due sale, una grande enoteca e la cucina emozionale dello chef Loris Basso, che trasforma ogni piatto in racconto. Una storia di amicizia, coraggio e passione lunga dieci anni.

Ciriè non è soltanto una cittadina alle porte di Torino: è un luogo dove il tempo ha imparato a intrecciarsi con le storie di chi ha scelto di restare, di costruire, di scommettere sul valore dell’autenticità. In una delle sue vie più caratteristiche, nel cuore del centro storico, dove i passi rimbombano sui sampietrini e le vetrine raccontano una quotidianità discreta e sincera, esiste un ristorante che è molto più di un luogo in cui mangiare bene. La Duja Ristorante & Vineria è un’esperienza. È calore. È casa. È il racconto di una terra che ha imparato a non dimenticare le sue radici pur sapendo parlare al futuro con un linguaggio nuovo, elegante e profondo.

 

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La sua storia comincia ufficialmente nel 2000, ma il suo secondo battito di vita, quello che ha fatto davvero decollare l’anima del ristorante, arriva nel 2015, quando cinque amici – legati da un passato sui campi da calcio, tra fango, fatica e abbracci – decidono di trasformare la loro sintonia in un progetto gastronomico. Non è un salto nel buio: è un atto d’amore. Fulvio, Alan e Mattia, oggi cuore pulsante della sala, hanno portato nel locale una visione precisa: accogliere come si accoglie un amico, con il sorriso vero, con lo sguardo onesto, con l’attenzione che fa la differenza tra il semplice servizio e l’ospitalità.

Il locale si sviluppa in due sale, due anime che si completano. La Sala Rossa è un rifugio caldo e ovattato, con un caminetto che arde come una carezza e luci basse che accompagnano parole sussurrate, sguardi intensi, momenti da ricordare. La Sala Verde, più ampia e luminosa, è il regno della condivisione: qui si festeggia, si brindano compleanni, si celebra la vita. Entrambe le sale parlano lo stesso linguaggio: quello della bellezza semplice, mai forzata, fatta di armonia, sobrietà e cura.

Accanto a tutto questo, vive l’anima liquida del locale: l’enoteca. Un mondo fatto di oltre 450 etichette, una selezione raffinata e generosa che accompagna gli ospiti in un viaggio sensoriale tra le colline di Langa, i pendii del Monferrato, le valli del Rodano, i riflessi dorati della Loira. C’è una cultura del vino che non si impone, ma si respira. È il sommelier a guidare il percorso, suggerendo, raccontando, condividendo. Perché ogni bottiglia, come ogni piatto, ha bisogno di una voce che ne riveli l’anima.

E poi c’è la cucina. Il vero cuore segreto di La Duja. Qui comanda Loris Basso. Ma chiamarlo semplicemente “chef” è riduttivo. Loris è il narratore silenzioso di ogni piatto. È colui che trasforma la materia prima in racconto, in emozione, in gesto poetico. La sua formazione non è fatta di passerelle, ma di fatica vera, di gavetta, di notti passate a imparare guardando gli altri, di giorni spesi a provare, sbagliare, ricominciare. È uno che ha imparato sul campo che cucinare non è soltanto un mestiere, ma una vocazione. E oggi la sua firma è riconoscibile in ogni creazione.

Ci sono i plin fatti a mano, piccole opere d’arte che racchiudono l’idea stessa di casa, di famiglia, di domenica. C’è la guancia brasata che si scioglie lentamente, come una confidenza sussurrata. C’è il gianduiotto dello chef, in tre declinazioni – latte, fondente e pralinato – che chiude il pasto con una dolcezza elegante e mai stucchevole. Ogni piatto è una memoria reinventata, un’eco delle cucine di nonna rivisitata con mano leggera e pensiero acuto.

Durante la pandemia, mentre il mondo fuori rallentava fino a fermarsi, Loris non si è lasciato paralizzare. Al contrario, ha creato qualcosa di nuovo: il sushi piemontese. Un’idea che sembrava un azzardo e che invece si è rivelata una rivelazione. Carne cruda battuta al coltello, arricchita da profumi e consistenze che appartengono alla cucina regionale. Un piatto pensato per l’asporto, che oggi è diventato un simbolo del menù estivo. Un esempio perfetto di come si possa innovare senza tradire.

Ma la vera forza di Loris è nella sua umiltà. Nella capacità di insegnare senza ostentare. Nel suo modo di parlare con i ragazzi che si avvicinano a questo mestiere come si entra in un mondo sconosciuto: con rispetto e timore. Per loro ha sempre un consiglio, una storia, un dettaglio. Non parla mai di sé, ma lascia che siano i piatti a raccontare la sua storia. Perché lui non cerca di stupire: cerca di emozionare. E ci riesce.

Chi entra a La Duja non si limita a sedersi a un tavolo. Viene accompagnato in un viaggio. Un percorso che comincia con il primo sguardo alla sala e finisce con l’ultimo sorso di vino, quello che si beve più lentamente, per fermare il tempo ancora un po’. Non ci sono formalismi, ma nemmeno superficialità. Tutto è pensato per far sentire ogni ospite parte di qualcosa di vero, di profondo, di irripetibile. È un ristorante che ha il coraggio di restare fuori dalle mode, che non cerca di piacere a tutti, ma che riesce a parlare a chiunque abbia voglia di autenticità.

La Duja compie dieci anni nella sua veste attuale. Dieci anni di mani che impastano, di bottiglie stappate, di clienti che tornano, di amici che si riconoscono. Dieci anni di cucina piemontese che non si inchina al folklore, ma che si racconta con dignità e gusto. Dieci anni di passione che si è fatta mestiere, di sogni che si sono fatti realtà. E oggi, entrando, si percepisce una sensazione forte e nitida: il meglio deve ancora venire.

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