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27 Luglio 2025 - 09:50
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Data di inizio 20.07.2025 - 17:00
Data di fine 17.09.2025 - 17:00
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Ad Alpette il rame non è soltanto un materiale: è una lingua. Parla di mani antiche, di fuochi accesi nelle officine, di martelli che risuonano come tamburi di vita. È una lingua che rischiava di essere dimenticata, ma che oggi torna a farsi sentire, nitida e vibrante, tra le sale dell’Ecomuseo del Rame, Lavoro e Resistenza, un luogo che è insieme archivio, laboratorio, tempio della memoria. Un presidio culturale nato per custodire l’identità di un territorio forgiato nel metallo e nella fatica, e che oggi ospita anche una mostra fotografica profondamente toccante: “Fermare il tempo col rame” di Osvaldo Marchetti.
Il museo, inaugurato nel 2004, sorge in via Sereine 1, nel cuore del paese, in un edificio che ha il sapore della storia. Al suo interno sono raccolti oltre 800 reperti, testimonianza concreta di un mondo che per secoli ha ruotato intorno alla lavorazione del rame: paioli, distillatori, incudini, martelli, utensili per la caseificazione, strumenti agricoli, ma anche fotografie, documenti, e una vera e propria ricostruzione di un laboratorio artigiano, con tanto di banco da lavoro e attrezzature originali. Qui il rame si tocca, si ascolta, si vive. Non è soltanto oggetto da esposizione, ma materia viva, narrante.
Accanto alle sezioni dedicate ai manufatti in rame, alla strumentazione del mestiere e alla tradizione contadina, spicca la scuola del rame, una vera officina didattica dove ancora oggi, soprattutto in occasione di laboratori e visite guidate, si può assistere alle dimostrazioni pratiche dei gesti tramandati da generazioni: la lamiera che si batte, il calore che la rende duttile, lo stagno puro che rifinisce le superfici. Qui si impara guardando, come si faceva un tempo, e si scopre il valore profondo del “saper fare” come forma di conoscenza e di rispetto.
Alpette, del resto, non è stata scelta a caso per ospitare questo ecomuseo: era conosciuta, un tempo, come “la terra dei mastri ramai”. Nelle sue strade e nelle sue frazioni si contavano cinque miniere di rame, numerose botteghe artigiane, e almeno tre fucine – due a Sparone, una a Ronco Canavese – dove il metallo veniva forgiato e trasformato in strumenti per la casa e per il lavoro. La lavorazione del rame era parte integrante dell’economia e dell’identità locale, un’arte dura e affascinante, fatta di calore, abilità manuale, intuizione e resistenza.
Ed è proprio in questo luogo intriso di memoria che Osvaldo Marchetti ha deciso di collocare la sua mostra fotografica, realizzata a partire dal 2019, con un intento preciso: fermare il tempo. Osservare, raccogliere, custodire. Le sue fotografie ritraggono gli ultimi magnin – così erano chiamati i ramai in queste valli – ancora in attività o da poco in pensione, uomini che hanno passato la vita tra incudini e fuochi, e che oggi, con sguardi fieri e mani segnate, raccontano con il corpo ciò che la voce non sempre riesce a dire.
Non sono ritratti convenzionali. Sono finestre aperte su un tempo che resiste, su un mondo che ha saputo forgiare non solo pentole, ma anche valori, comunità, identità. Marchetti ha scelto la lentezza in un’epoca che corre. Ha scelto la poesia dell’attesa, del gesto ripetuto, della luce che cade sul metallo come una carezza. I suoi scatti restituiscono dignità a un lavoro umile ma raffinato, e diventano omaggio vivente a un mestiere che rischia di scomparire nel silenzio generale.
Un mestiere che Primo Levi, nel suo libro La chiave a stella, racconta con straordinaria forza evocativa, nel capitolo “Battere la lastra”. Parla del padre di Faussone, ramaio in Valle Orco: “Mio padre me l’ha cantata” – dice – “voleva che finissi in fretta i compiti e andassi in officina con lui. Diceva che si muore col martello in mano...”. È un’immagine che tocca nel profondo, perché racchiude l’etica di una generazione intera: vivere lavorando, lavorare come forma di vita.
Nel mestiere del magnin non c’era spazio per l’improvvisazione: si batteva la lamiera, la si scaldava fino a 800 gradi per ammorbidirla, poi si stagnava con stagno puro, non quello per saldature contaminato da piombo. Non c’erano strumenti elettronici, solo occhio, esperienza, saggezza tramandata da mani a mani. Un sapere che oggi si tende a considerare superato, e che invece rappresenta un patrimonio di inestimabile valore.
Ed è proprio questo valore che la mostra di Marchetti riesce a esaltare: lo spirito di un mestiere che vive ancora nei gesti, nei dettagli, nelle rughe di chi lo ha praticato con amore. Le sue immagini, collocate tra le sezioni storiche del museo, si integrano con esse, completano la narrazione, la rafforzano, la umanizzano. È come se i reperti prendessero vita, come se gli oggetti tornassero a parlare grazie agli sguardi dei loro creatori.
Il percorso museale si arricchisce anche di una sezione dedicata alla Resistenza, inaugurata nel 2022. Un’ala intensa e necessaria, che racconta – attraverso documenti, immagini, testimonianze – la lotta partigiana nelle Valli del Canavese, la dignità delle scelte, il coraggio delle comunità che non si arresero. Anche qui il rame diventa metafora: come il metallo, la memoria della Resistenza è resistente, plasmabile ma incorruttibile.
E poi c’è la biblioteca comunale, adiacente al museo, che custodisce oltre 8.000 volumi, tra cui una preziosa raccolta di opere di Emilio Salgari, che ad Alpette soggiornò e trasse ispirazione per alcuni dei suoi racconti d’avventura. Un legame letterario che rende ancora più profondo il carattere culturale del luogo.
L’Ecomuseo del Rame, Lavoro e Resistenza è visitabile ogni domenica e nei festivi nel periodo estivo, mentre nel resto dell’anno l’ingresso è su prenotazione. È gratuito, accessibile alle persone con disabilità, e offre visite guidate che spesso si concludono con laboratori pratici, in cui adulti e bambini possono realizzare piccoli oggetti in rame e scoprire con le proprie mani cosa significa custodire una tradizione.
Per informazioni si può contattare il numero 0124 809122 o scrivere all’indirizzo email poloculturale.alpette@gmail.com.
In un mondo che brucia tutto alla velocità della luce, Alpette è un invito a rallentare. A fermarsi. A toccare. A ricordare. Perché fermare il tempo, come insegna la mostra di Osvaldo Marchetti, significa proteggere ciò che vale. E le mani che lavorano, i mestieri che si perdono, le storie che nessuno racconta più, sono la nostra vera ricchezza. Fragile, silenziosa, ma incancellabile. Come il rame.
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