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Ivrea dedica una targa a Mario Tchou: era ora! Una morte ancora oggi con tanti lati oscuri

Nato a Roma  il 26 giugno del 1924, figlio dei cinesi Evelyn Wauang e del diplomatico Yin Tchou

Roberto Olivetti e Mario Tchou

Roberto Olivetti e Mario Tchou

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Nel dicembre del 2021, con un articolo scritto da "arrabbiati" ci chiedevamo come mai a Prato, città con una forte presenza di cinesi, nel 2020, il consiglio comunale avesse approvato all'unanimità una mozione per intitolare una strada a Mario Tchou e a Ivrea di lui, non si fosse mai fatto un cenno.

Ebbene?

A volte succede e succede che il 29 giugno, a Ivrea, sarà scoperta una targa in occasione del centenario della sua nascita. Le celebrazioni partiranno il 26 giugno a Roma presso la Camera dei deputati e a Ivrea una serie di iniziative saranno   organizzate dalla Fondazione Natale Capellaro Ets, dall'Associazione Ivrea A Roma e dall'Associazione Archivio Storico Olivetti e  ospitate dal Museo - Laboratorio Tecnologic@mente di Via Giuseppe Di Vittorio 29.

A Roma

a Ivrea

Nato a Roma  il 26 giugno del 1924, figlio dei cinesi Evelyn Wauang e del diplomatico Yin Tchou, funzionario in servizio al Consolato di Taiwan presso la Santa Sede, Mario Tchou conseguì la maturità classica presso il Liceo Ginnasio Torquato Tasso di Roma.

Poi proseguì i suoi studi all’Università di Roma in ingegneria elettrotecnica e, grazie ad una borsa di studio, negli Usa, nel 1947 ottenne il “Bachelor of electronical engineering” alla Catholic University di Washington.

Si trasferì a New York e iniziò a insegnare nel 1952 presso la prestigiosa Columbia University. Aveva 28 anni.

Adriano Olivetti nel 1955 lo portò in azienda e gli affidò l’incarico di formare un gruppo di lavoro, in collaborazione con l’Università di Pisa, per progettare e costruire un calcolatore elettronico tutto italiano, utilizzando 150 milioni di lire, cifra ingente per l’epoca.  Ed è del 1957, l’Elea 9003 commercializzata in circa 40 esemplari. 

Mario Tchou morì insieme con il suo autista in un incidente d’auto la mattina del 9 novembre 1961, a soli 37 anni, sul cavalcavia dell’autostrada Milano-Torino, poco prima del casello di Santhià; l’auto, guidata dal suo autista Francesco Frinzi, perse il controllo dopo un sorpasso, schiantandosi contro un furgone.

Quella mattina Tchou si stava recando a Ivrea per discutere del progetto di una nuova architettura a transistor.

L’improvvisa morte, successiva di un anno a quella di Adriano Olivetti, decretò la fine del progetto Elea e chiuse un’importante stagione per l’elettronica italiana, che vedeva allora la leadership industriale e tecnologica della Olivetti.

La divisione elettronica sarà infatti dismessa e venduta a General Electric nel 1964.

La moglie di Tchou disse “La sua morte e quella di Adriano portarono, in poco tempo, alla dismissione della Divisione Elettronica di Olivetti, fiore all’occhiello del nostro Paese, che fu venduta in fretta alla General Electric. Quello sì fu un complotto, tutto industriale e finanziario, volto a indebolire l’Olivetti e l’Italia e a fare un favore agli americani”.

Nel 2013 Carlo De Benedetti dichiarò a un programma radiofonico: “In Olivetti c’era la convinzione che fosse stato ucciso dai servizi segreti americani”, ipotizzando che l’incidente di Tchou fosse stato in qualche modo provocato per favorire l’IBM.

È chiaro che l’Olivetti e l’elettronica italiana nel suo complesso abbiano subito un colpo enorme con la perdita di due figure chiave dell’innovazione made in Italy dell’epoca.

Ma qualcos'altro da dire evidentemente c'è...

Quando parliamo dell’Olivetti e dei suoi fondatori, di Camillo e di Adriano.

Quando viaggiamo nel paese che inventò il Pc e superò tutti i possibili concorrenti nel settore informatico quando l’informatica ancora non esisteva veramente.

Quando trasformiamo un intero quartiere in patrimonio Unesco e lo raccontiamo a tutto il mondo.

Ecco, quando facciamo tutto questo, quel che cerchiamo di fare è dimenticarci come tutto è finito.

La verità è che non lo sappiamo. 

Se ne è interessata, invece, Meryle Secrest nata a Bath nel Regno Unito ma residente a Washington negli States.

E’ una delle più affermate biografe americane, vincitrice nel 2006 della prestigiosa “Presidential National Humanities Medal”. 

Tra i suoi libri, edito da Rizzoli, c’è anche “Il Caso Olivetti” e la misteriosa fine del primo personal computer della storia. Tradotto in Italia per la prima volta nel novembre del 2020, è la storia della prima “multinazionale” italiana presente non solo in Italia con ben 5 stabilimenti, ma anche in Inghilterra, in Spagna, Brasile, Argentina e negli Stati Uniti per un totale di 25.000 dipendenti. Il sogno di un’impresa che guardava alla produttività ma anche al benessere dei lavoratori.  

Un sogno che si frantumò la mattina del 27 febbraio 1960 con la morte per “congestione cerebrale” di Adriano, nei pressi della piccola stazione di Aigles in Svizzera, a bordo di un treno partito dalla stazione di Arona e diretto a Losanna. 

Da qui in avanti i dubbi. 

Perché non si fece un’autopsia sul cadavere?

Il minimo sindacale su di un uomo che aveva osato sfidare i colossi della nascente industria americana proprio in un settore, l’informatica per l’appunto, nato oltreoceano per esigenze militari legate alle Guerra Fredda.

A rinforzare i sospetti che ancora oggi nessuno si è mai incaricato di dipanare, giunse a distanza di nove mesi (strana combinazione o congiunzione astrale) la morte dell’ingegner Mario Tchou, avvenuta in un incidente stradale sulla autostrada Torino Milano, in prossimità del casello di Santhià. 

Assunto nel 1954, l’ingegner Chou, figlio dell’ambasciatore cinese in Italia, dove aveva anche compiuto gli studi, era un ricercatore brillante e Adriano lo volle con sé a capo della divisione informatica e, soprattutto, per mettere a punto il primo calcolatore elettronico.

Due morti ancor più sospette se si pensa che negli stessi anni moriva Enrico Mattei additato per le sue collaborazioni inopportune per gli “Alleati” ma vantaggiose per l’Italia con la Cina, con l’Egitto e con la Russia. 

Senza tanti giri di parole, mentre per l’incidente aereo che a Bascapè, la sera del 27 ottobre 1962, mise fine alla vita del fondatore dell’Eni risulta provata l’origine dolosa nelle indagini del Pm Vincenzo Calia, su Adriano e Mario nessuno proferì parola. 

L’epilogo? 

Nel 1960 entrano nel capitale sociale Fiat, banca IMI, Centrale, Mediobanca e Pirelli  (guarda caso tutte aziende che avevano beneficiato del piano Marshall) e qualche tempo dopo la Divisione Elettronica di Olivetti venne venduta alla General Electric.

Adriano e Mario: due morti che decapitarono e decretarono la morte dell’azienda. 

I problemi dell'Olivetti, almeno secondo l’autrice del libro, probabilmente hanno una data di inzio: il 1959. Fu in quell’anno, infatti, che Adriano acquista il controllo dell’americana Underwood. Una sorta di rivincita su quel mister Underwood che in passato non aveva ritenuto Adriano degno nemmeno di un incontro, considerandolo nient’altro che un piccolo imprenditore italiano. Al governo degli Stati Uniti questa cosa non piacque. Tentò di avviare una causa per impedirne l’acquisizione, salvo poi rinunciare all’azione legale senza alcuna spiegazione.

In verità gli Stati Uniti avrebbero già cominciato a controllare da vicino Olivetti fin dagli anni Cinquanta con il trionfo sui mercati mondiali della “Lettera 22” premiata con il “compasso d’oro” nel 1954 e giudicata, nel 1959, dall’Illinois Institute of Technolgy, il miglior prodotto di design del secolo.

E poi ancora quando si pose in  diretta concorrenza col colosso statunitense IBM, suscitando i sospetti e l’attenzione dei servizi segreti americani. Attenzione che divenne elevatissima quando a soli 18 mesi dal suo ingresso nel settore dell’informatica Olivetti raggiunse e superò la IBM con il calcolatore P101, venduto in ben 40.000 esemplari, alcuni finirono anche alla NASA che li adoperò per progettare l’allunaggio dell’Apollo 11.

Nel libro di Meryle Secrest  si racconta di un’azienda che ad un certo punto cerca finanziamenti in Russia e in Cina.

Da qui in avanti, il sospetto che dietro alla morte di Adriano e di Mario ci fosse la CIA diventa qualcosa di più di una semplice supposizione.

Del resto Adriano Olivetti era un personaggio scomodo anche in Italia dove non era benvisto dai colleghi imprenditori a causa delle sue politiche sociali in favore dei dipendenti e delle condizioni di lavoro che regnavano nelle sue fabbriche. 

In molti hanno cercato nel tempo di screditare l’idea del complotto americano, ma come si fa a non leggere nell’attualità un parallelo con le recenti prese di posizione americane su Huawei (il colosso cinese degli smartphone) e su Tik Tok, sulla Cina e su Taiwan, sui russi e sull'Ucraina?

Solo che a differenza di allora agli omicidi si preferiscono i dazi e la guerra.

APPROFONDIMENTI DI GIUSEPPE RAO

Il Sogno di Tchou e Olivetti oltre le frontiere della tecnologia 2021

La sfida al futuro di Adriano e Roberto Olivetti 2004

La sfida al futuro di Olivetti sessanta anni dopo 2018

Mario tchou olivetti elea 9003 Limes 2008

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