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Chi fa ombra al sistema cade. Starovoit e il codice muto del Cremlino: suicidio o resa al sistema?

L’ex ministro dei Trasporti russo trovato morto nella sua auto: una pistola, una testimonianza compromettente e una catena di crolli al vertice. La Russia assiste al collasso silenzioso dei suoi uomini di potere

Chi fa ombra al sistema cade. Starovoit e il codice muto del Cremlino: suicidio o resa al sistema?

Roman Starovoit, ex ministro dei Trasporti della Federazione Russa, morto questa mattina, 7 luglio 2025, in circostanze sospette.

Era una di quelle mattine - proprio questa mattina - in cui l’aria sembra ferma, pesante, come trattenesse il respiro. Nel distretto di Odintsovo, alle porte di Mosca, un’auto qualunque si confondeva tra le altre. Ma al suo interno, il tempo aveva smesso di scorrere. Roman Vladimirovič Starovoit, 52 anni, ex ministro dei Trasporti della Federazione Russa, giaceva senza vita. Accanto a lui, una pistola. Nessun biglietto, nessuna spiegazione. Solo il vuoto irreparabile lasciato da un colpo esploso nella solitudine più assoluta.

Poche ore prima, nella stessa giornata del 7 luglio, il Cremlino ne aveva annunciato la rimozione, a meno di un anno dalla nomina a Ministro dei Trasporti, avvenuta nel maggio 2024. In precedenza, Starovoit aveva guidato per quasi sei anni la regione di Kursk, al confine con l’Ucraina, una delle zone più esposte ai combattimenti e alle operazioni militari successive all’invasione del 2022. Una decisione repentina, ma - secondo il portavoce presidenziale Dmitrij Peskov - “non legata a una perdita di fiducia”. Eppure, qualcosa si era già incrinato. Dentro e attorno a lui. Quel qualcosa ha preso forma e fine in un solo, definitivo proiettile.

A confermare il decesso è stata Svetlana Petrenko, portavoce del Comitato Investigativo: “Oggi, nel distretto urbano di Odintsovo, è stato trovato all’interno di un’auto privata il corpo dell’ex ministro dei Trasporti, Roman Starovoit, con una ferita d’arma da fuoco”, ha dichiarato Petrenko. Secondo le autorità, l’ipotesi principale è il suicidio. Un suicidio che però si iscrive in un contesto ben più ampio, fatto di denunce, arresti, tradimenti interni e silenzi letali.

Stando alle fonti investigative - riportate da 112, Shot, Mash e confermate da RIA Novosti e Interfax - l’ex governatore della regione di Kursk, Aleksej Smirnov, arrestato nell’aprile 2025 per appropriazione indebita di oltre un miliardo di rubli (circa dieci milioni seicento mila euro), avrebbe rilasciato dichiarazioni compromettenti proprio su Starovoit. In particolare, l’inchiesta riguarda fondi pubblici destinati alla costruzione di opere difensive lungo il confine ucraino, affidati alla “Corporazione per lo sviluppo della regione di Kursk”, dove Smirnov e il suo vice, Aleksej Dedov, avrebbero orchestrato un vasto schema di frode. Il nome di Starovoit - finora solo sfiorato dalle indagini - è così tornato sotto i riflettori. Ma in modo irreversibile.

Il caso Starovoit non è un’eccezione. Negli ultimi mesi, la Russia è stata teatro di una catena inquietante di morti sospette e suicidi tra alti funzionari statali, dirigenti d’azienda e uomini d’affari vicini al potere. Nell’aprile del 2022, il corpo di Vladislav Avaev, ex vicepresidente di Gazprombank, fu ritrovato nel suo appartamento a Mosca accanto a quelli della moglie incinta e della figlia: un presunto omicidio-suicidio che lasciò sgomento il Paese. Sempre nello stesso mese, ma in Spagna, Sergej Protosenja, ex manager della Novatek, venne trovato impiccato nella villa di famiglia, dopo aver – secondo la ricostruzione ufficiale – ucciso la moglie e la figlia. A marzo dell’anno scorso, Leonid Shulman, dirigente della Lukoil, fu trovato morto in circostanze mai chiarite nella sua dacia. E più recentemente, un altro alto dirigente della stessa compagnia, il vicepresidente, è stato rinvenuto impiccato: è la quarta morte “sospetta” ai vertici della Lukoil.

Morti apparentemente scollegate, ma accomunate da un dettaglio cruciale: tutte persone a vario titolo coinvolte in meccanismi di potere, risorse e informazioni riservate.

Roman Starovoit, come tanti prima di lui, non ha lasciato spiegazioni. Ma la sua morte parla e grida, perché accade all’indomani di una rimozione, nel mezzo di uno scandalo, mentre il cerchio delle indagini si stringe. Ed è proprio questa tempistica, questo silenzio tombale nella comunicazione ufficiale, che solleva interrogativi. L’analista politico Aleksandr Morozov scrive su Meduza: “Il suicidio di Starovoit non è un gesto individuale, ma il sintomo di un sistema che implode. La corruzione, l’assenza di alternative politiche, la guerra come sfondo permanente: chi cade, cade da solo, ma precipita da una macchina senza freni”.

Crolli programmati o panico al vertice? La morte dell’ex ministro dei Trasporti, al di là della sua dinamica tragica, rappresenta un segnale d’allarme su ciò che avviene oggi nei piani alti della Russia. Un sistema opaco, militarizzato, che colpisce i propri uomini quando non sono più utili o iniziano a fare ombra. Starovoit - con il suo curriculum lungo ma mai davvero eclatante, con i suoi legami regionali e le sue presunte responsabilità - potrebbe essere stato il primo tassello a cadere nella nuova fase di purga interna. Il fatto che il suo successore, Andrej Nikitin, provenga dalla regione di Novgorod e sia uomo di apparato fidato rafforza l’idea di un cambio di linea, forse più rigido e più centralizzato.

Nel frattempo, la popolazione russa osserva, spesso impotente. Il suicidio diventa uno strumento di regolazione interna, un codice silenzioso tra chi comanda e chi esegue. E ogni colpo d’arma da fuoco echeggia ben oltre le mura di un’automobile.

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