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Un amore mi è venuto a cercare. "L'antico Amore" di Maurizio De Giovanni

Nel nuovo libro, lo scrittore cambia genere: una scena vista per caso gli ha ispirato una storia diversa dalle trame gialle che l’hanno reso celebre. Qui svela che cosa l’ha ispirato..

Lo scrittore ha presentato alle Ogr di Torino il suo ultimo romanzo L'antico amore. Ad accompagnarlo le musiche evocative di Marco Zurzolo con Giacinto Piracci e le interpretazioni di Marianita Carfora, Alfredo Mundo e Alessio Sica, che hanno recitato alcuni brani tratti dal libro.

L'antico amore è un'opera che segna un cambio di direzione nel percorso letterario dell'autore.

Nel romanzo, il mistero lascia il posto a un amore che attraversa il tempo, un amore che sfida le barriere del presente, del passato e di un tempo più remoto, ricco di eco immortali. Un amore che è forza e fragilità, passione e tormento, un legame che si fa eterno.

In un'alternanza di due linee narrative, de Giovanni esplora la passione di Catullo e la vita di un anziano professore di letteratura che ha vissuto un amore travolgente, che ha segnato il suo destino. Un viaggio tra desiderio e dolore, che ci fa riflettere su quanto l'amore riesca a definire la nostra esistenza, anche quando sembra infrangere ogni limite.

“Mi sono chiesto spesso, in questi anni, da dove arrivassero le storie”.

Inizia così a raccontarci di come è nata l’idea di questo romanzo.

Maurizio De Giovanni mentre recita dei versi del romanzo

Non me lo ero mai domandato nel tempo felice in cui ero un semplice lettore, ed ero saldamente convinto che fosse una questione di talento magico di quel ristretto novero di persone benedette dalla sorte che erano gli scrittori. Immaginavo stanze in penombra, dove donne e uomini speciali si sedevano in poltrona con gli indici sulle tempie e gli occhi socchiusi, una musica soffusa e non invasiva a sollecitare le idee, una tazza di qualcosa di fumante, ed ecco emergere dai bassifondi di un fecondo inconscio personaggi e trame.

In seguito, da quando è cominciata la mia avventura, ho scoperto che piuttosto si tratta di qualcosa di botanico. Arriva un seme portato dal vento, che sul momento passa inosservato, e una volta interrato nel cervello comincia il suo lavoro, germina, mette minuscole radici e tu te ne accorgi solo quando è già spuntato, con tenere foglie e sottili ramoscelli: e risalire al momento in cui da qualche parte, occhi, orecchie o bocca, è entrato è difficilissimo e sostanzialmente inutile.

Rare, rarissime volte invece è del tutto chiaro il momento dell’accensione del processo che ti porta a immaginare una storia. In questo caso lo è, e il ricordo è vivido e preciso come se stesse accadendo in questo stesso istante.

Ero ancora nella mia vita precedente, quando non immaginavo che questo di scrivere potesse diventare un mestiere e mi tenevo ancora ben stretto il mio forse un po’ grigio ma solido lavoro di bancario. Mi trovavo seduto al tavolino di un caffè, in attesa di un imprenditore col quale avrei dovuto concordare un’operazione di investimento. Sono un napoletano poco stereotipato, mi anticipo sempre perché odio i ritardatari. Mi guardai attorno, e mi accorsi che al tavolino di fianco al mio era seduto un signore anziano, rughe e capelli candidi, occhiali da lettura e un libro in mano. A una certa distanza una signora bionda, dai tratti stranieri, lo osservava con attenzione pur rispettandone lo spazio.

Questo signore leggeva con un coinvolgimento e una passione veramente interessanti. Il suo volto rugoso era un caleidoscopio di emozioni, sorrideva, corrugava la fronte, piegava il capo assorto, ogni tanto si fermava e alzava gli occhi fissando il vuoto davanti a sé. Dalla mia posizione naturalmente non distinguevo le parole, ma dalla loro disposizione sulle pagine pensai si trattasse di poesie.

La cosa mi incuriosì, ricordo: non sono un lettore forte di questa antica e meravigliosa forma letteraria, confesso; ma conosco i sentimenti che solo i poeti riescono a trasmettere, senza la mediazione di una storia e di una trama, senza consentire al lettore di vivere una vita per conto terzi ma mettendo l’anima di fronte a uno specchio. Mi chiesi chi fosse l’autore, così formidabile da procurare un totale coinvolgimento in un uomo di quell’età.

Arrivò l’imprenditore che attendevo, e cominciai a discutere con lui: ma con la coda dell’occhio continuavo a guardare l’uomo anziano, che a un certo punto si era soffermato su una pagina e aveva lasciato spazio a una forte commozione. Le labbra tremavano, ed estrasse un fazzoletto che passò veloce sulla guancia. La signora bionda si materializzò vicino a lui, e gli sussurrò qualcosa all’orecchio. L’uomo fece cenno di sì e si alzò. La donna lasciò qualche moneta sul tavolo e lo aiutò a infilare il soprabito, e fu allora che il libro, chiuso e deposto per favorire l’operazione, mostrò la copertina con autore e titolo.

Non ricordo altro di quel momento, se non la mia sorpresa. Come poteva essere che a distanza di duemila e cento anni o quasi parole messe in fila potessero causare tante emozioni, e addirittura il pianto, di un uomo così evidentemente lontano nel tempo dall’aver provato quei sentimenti?

Tornato a casa cercai e trovai quello stesso libro nei miei nutriti scaffali di lettore compulsivo. Risaliva ai tempi felici del liceo, quando tutti i poeti e gli autori del mondo e di ogni tempo sembrano essere seduti attorno a te per parlarti dei sentimenti che ti travolgono ogni giorno.

Passai, ricordo bene, l’intera serata all’interno di quelle parole. Senza musica soffusa e senza penombra, quell’antico insopprimibile devastante terribile tenerissimo amore invase di nuovo il mio cuore, con la stessa magia alla quale avevo assistito nel pomeriggio sul volto di quel vecchio signore, io e lui fratelli improvvisi e inconsapevoli dello stesso sentimento.

E siccome io non sono un poeta, ma la mia fantasia si muove ben al di sotto dell’espressione pura e rarefatta di questi artisti, mi venne in mente una storia. Anzi, due o forse tre, o alla fine solo una. Con chiarezza luminosa e un po’ inquietante, da quelle pagine arrivarono tre voci che cominciarono a raccontarmi quello che era successo.

Quello che era veramente successo.

Sono sedici anni che ho questa storia. Sedici anni perché fosse intera e completa, sedici anni perché trovassi il coraggio di raccontarla così com’è, senza costruire e senza abbellire, senza compiacere nessuno, neanche me stesso, senza ampliare e senza restringere.

È una storia ben fuori dal perimetro della mia rassicurante comfort zone. Una storia di morte, di incontri, di incanto e disincanto, di abbandono e di ricerca.

Una storia d’amore, certo. Ma l’amore, sapete, è un sentimento strano. Ci rende felici, certo: anzi, è impossibile immaginarsi felici senza l’amore. Ma, e le pagine dell’antico poeta lo dicono con chiarezza, può essere un virus che infetta l’intera esistenza, che si espande come un cancro divorando ogni cellula viva che lo circonda, invadendo ogni spazio e ogni pensiero senza lasciare nulla fuori, senza consentire di conservare qualcosa per sé, per immaginare di sopravvivere.

Tre personaggi, forse. Una badante che osserva un vecchio e i suoi strani comportamenti, dolorosamente convinta che la mente dell’anziano si stia sgretolando per perdersi nel nulla, come la donna ha visto accadere altre volte; un poeta di duemila e cento anni fa, che cerca disperatamente di sopravvivere al suo cuore; un professore universitario che guarda la desolazione di una vita sbagliata, e che incontra negli occhi di una sua studentessa un’insperata ipotesi di futuro. Tre condizioni apparentemente lontanissime, tre personalità diverse, tre fasi della vita abissalmente distanti. Ma, in realtà, la stessa storia.

Adesso che mi trovo ad avere tra le mani fisicamente questo frutto di un casuale incontro di sedici anni fa, non provo sollievo ma un po’ di paura a non averlo più dentro di me. Adesso conosco i volti e il suono di quelle voci, adesso non ho più la curiosità di come sarebbe andata a raccontarla ad alta voce.

Ma mi sento profondamente grato e commosso, perché un uomo che è cenere da venti secoli mi ha scritto una lettera che mi è stata consegnata da un vecchio, e quella lettera è felicemente arrivata a destinazione, e partendo da me, nella mia rudimentale e incompleta e difettosa maniera, forse arriverà a qualcun altro”.

In fondo, è questo il compito dell’antico amore.

Su Maurizio de Giovanni

Nato a Napoli nel 1958, è autore delle celebri serie “Commissario Ricciardi”, “I Bastardi di Pizzofalcone” e “Mina Settembre” (Einaudi Stile Libero), oltre alla serie “Sara” (Rizzoli). I suoi romanzi, sempre ai vertici delle classifiche, hanno ispirato fortunate fiction televisive. Appassionato tifoso del Napoli, ha scritto anche per il teatro. Le sue opere sono tradotte in tutto il mondo.

 

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