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MEZZENILE. "Sono stati giorni drammatici, ero convinto di non farcela" (VIDEO-INTERVISTA)

Una rampa di scale divide il salone dei pipistrelli dalla biblioteca comunale, negli spazi del Castello dei Conti Francesetti di Mezzenile. Il sindaco Sergio Pocchiola Viter la percorre, uno scalino dopo l’altro, a passo lento. Ha il fiato corto. E non è solo per l’età - i 67 anni che si porta sulle spalle - ma perché qualche settimana fa ha vissuto sulla propria pelle l’incubo che terrorizza tutti da un anno e mezzo a questa parte. Pocchiola Viter è finito in ospedale, prima a Ciriè poi a Lanzo, con febbre a 40, dolori su tutto il corpo, un mal di testa massacrante e una polmonite bilaterale che gli ha vetrificato i polmoni. Sentiva fame d’aria e non riusciva a saziarsi. Boccheggiava alla ricerca di ossigeno, tanto da costringere i medici a mettergli il casco per la ventilazione. Era il Covid. «L’ho vista davvero brutta, ero convinto di non farcela - ammette -. Ho vissuto momenti drammatici. Fortunatamente ora sto molto meglio». È tornato a casa all’alba di aprile. «Proprio il primo, pensavo fosse un pesce» sorride, ora che può. Ha combattuto tanto per riabbracciare la moglie Ginetta, i figli Davide e Laura, gli amici di Mezzenile, Comune che guida dal 2019, e quelli del volontariato, lui che l’associazionismo l’ha sempre vissuto da protagonista, presidente per quasi trent’anni della locale Pro Loco e con incarichi di responsabilità nell’Unpli provinciale, regionale e nazionale. Ha combattuto tanto e ha vinto. Da quell’8 marzo, quando ha cominciato ad avere i primi sintomi che l’hanno convinto l’11 a sottoporsi al tampone: positivo. Pian piano Pocchiola Viter è peggiorato sempre più. Il 16 è stato ricoverato a Ciriè, il giorno successivo i medici l’hanno trasferito a Lanzo. Poi gli hanno messo il casco, che ha tenuto un giorno e mezzo, fin quando la terapia con il plasma iperimmune - unita agli antivirali - ha fatto il suo effetto. Con due sacche di plasma la situazione è migliorata velocemente. Qualche giorno dopo il sindaco, felicemente guarito, è tornato nella sua Mezzenile, pronto a lavorare pancia a terra. Sergio, come stai? Adesso sto bene, anche se ho qualche sintomo post Covid, un po’ di stanchezza, un po’ di fiato corto. Ci vorrà un po’ di tempo per tornare alla normalità. È stata dura? Decisamente. Soprattutto i primi giorni, quando sono stato ricoverato al pronto soccorso di Ciriè, dove nel reparto Covid la situazione è molto drammatica: vedi gente che sta molto peggio di te, vedi in continuazione barelle che vanno e vengono, insomma vedi di tutto. Poi ti hanno trasferito a Lanzo... Sì, nel reparto Covid dell’ex Mauriziano. Il mio problema è stato l’avere la febbre altissima e la saturazione molto bassa, mi hanno subito dovuto mettere il casco per recuperare la saturazione. Quello è stato il momento peggiore. Con il casco non senti più nulla, sei completamente fuori del mondo. Una cosa che ho patito molto. Poi sei migliorato, però... Dopo aver tolto il casco ho fatto la terapia con il plasma iperimmune e già con la prima sacca ho avuto i primi miglioramenti. Con la seconda, due giorni dopo, la situazione è decisamente migliorata. Chiaramente ho dovuto continuare con l’ossigeno. Devo dire che il trattamento con il plasma iperimmune mi ha davvero aiutato, non sapevo se sarei sopravvissuto qui oppure no. Sono stati momenti drammatici, per fortuna sono durati pochi giorni. Come è cominciato tutto? Ho iniziato ad avere qualche dolore ai reni, sembravano sintomi non legati al Covid. Dopo due o tre giorni che continuavo ad avere problemi nonostante gli antibiotici, il medico mi ha mandato a fare il tampone e il giorno successivo sono risultato positivo. Stavo ancora abbastanza bene e mi sono trasferito nell’alloggio al piano di sopra, per stare lontano dai miei familiari. Il giorno dopo, era sabato, la situazione ha cominciato a peggiorare. La notte la febbre saliva e avevo fortissimi emicranie. Domenica ho deciso di chiamare l’assistenza domiciliare, l’Usca. Due medici sono subito venuti a visitarmi e mi hanno dato altri medicinali da prendere. In quel momento non avevo ancora la polmonite e la saturazione non era buona ma comunque accettabile, mi hanno detto che mi sarei potuto tranquillamente curare a casa. Ma poi sei peggiorato... Sì. Lunedì ho sentito di nuovo l’Usca per dare i dati della saturazione e la sera mi hanno fatto arrivare l’ossigeno a casa. La notte sono stato malissimo e così, dopo aver spiegato i sintomi ai medici dell’Usca e al mio dottore, mi è stato consigliato il ricovero, perché la cura a domicilio non era più sostenibile. Quando sono arrivato in ospedale mi hanno fatto la Tac e avevo già la polmonite vilaterale con i polmoni completamente vetrificati. L’ossigeno non passava. Non fossi andato in ospedale mi sarei aggravato ancora di più. Cosa hai visto in ospedale? Il pronto soccorso di Ciriè era una cosa allucinante. Innanzitutto sei su una brandina, in una posizione molto scomoda. Io fortunatamente ci sono stato solo una notte ma altri ci stanno per settimane e, per chi ha già problemi di salute, direi che non è il massimo. Il problema è che vedi tutta la gente che sta molto male, le barelle che vanno avanti e vengono in continuazione e ci sono dei momenti in cui qualcuno purtroppo non ce la fa e li vedi portare via nei sacchi. La stessa cosa è successa poi a Lanzo, dove sono stato trattato in modo eccezionale da medici e infermieri molto disponibili e preparati. Ma anche lì purtroppo la situazione era drammatica. Una persona che era in camera con me, dopo una decina di giorni con il casco - quindi in una situazione insopportabile - non ce l’ha fatta. Ho visto molta gente con grossi problemi, specialmente gli anziani, ma anche i giovani, che avevano problemi anche solo a camminare. Ho visto di tutto e di più. Diciamo che in ospedale non ti fai tanto coraggio perché assisti a situazioni drammatiche. E ti viene da pensare a chi non vuole vaccinarsi: dovrebbero passare una giornata in questi ambienti per capire che forse è meglio rischiare di avere un po’ di febbre a casa piuttosto che finire in queste condizioni. Tanti anziani non avevano il telefono e non potevano comunicare con i propri cari, molti neanche erano in grado di farlo. Ogni giorno gli infermieri facevano le videochiamate ai familiari, ma chi aveva il casco praticamente non sentiva nulla. Bisogna proprio vivere quegli ambienti per capirne la drammaticità. Poi sono sicuro che vai tranquillamente a fare il vaccino, una cosa indispensabile per salvaguardare la propria salute e quella degli altri. Hai avuto paura? Nei primi giorni, quando la febbre è arrivata a 40°, con fortissimi dolori ed emicranie, ho avuto veramente paura di non farcela. Non sentivo più il corpo rispondere, non riuscivo più a respirare. Quando mi hanno messo il casco la situazione a livello emotivo è ancora peggiorata, ho passato dei momenti in cui proprio ero convinto di non riuscire a tornare a casa. Anche la mia famiglia ha passato due o tre giorni veramente di grande preoccupazione. Poi, dopo la prima sacca di plasma, quando mi è stato tolto il casco, sentendomi meglio è migliorato anche un po’ l’umore. Ma per un paio di giorni sono stato molto preoccupato. Come hai vissuto i momenti con il casco? Il giorno e la notte che ho avuto il casco ho pensato di tutto. Con il casco non puoi fare nulla, senti solo un fortissimo rumore, assordante, alle orecchie. Pensi di non potercela fare, ti senti morire. È vero che hai un po’ più di respirazione, ma d’altra parte non ti senti più te stesso. Quelli sono stati i momenti peggiori. Poi magari c’è chi resiste di più, ma per me è stato insopportabile. Con il rumore dell’ossigeno che entrava nel casco non sentivo più l’ambiente esterno, ero cosciente per modo di dire, ma non completamente. Inoltre non riuscivo a dormire, proprio per quel fortissimo rumore. Sono stati minuti e ore interminabili, molto duri. Quando hai cominciato a stare meglio? Giovedì 1° aprile, al mattino, la dottoressa mi ha visitato e stavo decisamente meglio, il giorno prima mi avevano anche tolto l’ossigeno. Così mi è stato chiesto se volessi tornare a casa, chiaramente ero molto contento. Dopo la prova di affaticamento mi hanno immediatamente dimesso, nel giro di mezz’ora mia figlia era già fuori dall’ospedale. Sono tornato a casa super felice, verso mezzogiorno. La prima cosa che ognuno vuole è mangiare qualcosa di normale, rivedere quel che c’è fuori da casa. Al pomeriggio, infatti, ho già fatto una passeggiata per il paese, mentre il giorno dopo sono addirittura andato in municipio per un’oretta, anche se poi per la stanchezza non ho resistito e sono dovuto andare a casa. È stato veramente bello ritrovare la mia famiglia, gli amici e la gente che conosco. Tutte persone che mentre ero ricoverato mi mandavano messaggi di sostegno, dandomi la forza di andare avanti. I primi giorni non potevo rispondere al telefono, era difficile anche scrivere i messaggi, e ritrovarmi sullo schermo più di 200 messaggi di persone che mi chiedevano come andava, che mi davano il loro sostegno, mi ha aiutato molto a passare quei momenti terribili. Così tornato a casa ho cercato di chiamare e avvisare tutti. Sentire la vicinanza di tante persone per me è stato molto importante in quei momenti difficilissimi.
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