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04 Dicembre 2025 - 12:13
“L’ho fatto per restarle vicino”: il travestimento, la cantina e la pensione. Dentro il caso del figlio che si fingeva la madre morta
Entrò all’Anagrafe del Comune di Borgo Virgilio avvolto in una sciarpa bianca, una camicetta fantasia anni Settanta, un filo di trucco, parrucca e orecchini a clip. Procedeva lento, il busto appena piegato, appoggiato a un bastone per imitare l’andatura fragile di un’anziana. Chiese il rinnovo della carta d’identità: Sono io, devo aggiornare il documento. L’impiegata lo osservò un istante di troppo, lasciò scorrere la voce nelle orecchie, si soffermò su un dettaglio che non mentiva: quel collo robusto, il timbro maschile che stonava con il ricordo della vera titolare. Gli chiese di tornare il giorno dopo. Quando tornò, allo sportello c’erano anche gli agenti della Polizia Locale. Da quel momento, la messinscena cedette come una porta vecchia sotto il primo colpo.
La donna a cui apparteneva quel documento era morta. Si chiamava Graziella Dall’Oglio, aveva oltre ottant’anni ed era deceduta nel 2022. Il figlio — un ex infermiere indicato come 56enne o 57enne a seconda delle ricostruzioni — si sarebbe travestito da lei per continuare a gestire la pensione e, secondo più fonti, per rinnovare una carta d’identità scaduta. Nelle ore successive, nella casa di campagna dell’uomo, gli investigatori scoprirono il corpo dell’anziana: “mummificato”, dicono gli atti, lasciato tra cantina e locali dell’abitazione. Tre anni di buio. Tre anni in cui nessuno sapeva — o nessuno diceva — che Graziella non c’era più.
La vicenda ha travolto il Mantovano come un terremoto silenzioso, perché tiene insieme l’orrore di un corpo nascosto, l’artificio di un travestimento, l’ombra di una truffa allo Stato, il soprannome internazionale “Mrs. Doubtfire” trasformato in etichetta mediatica, e una linea difensiva che parla di legami malati, lutti non accettati, solitudine. Una storia che interroga più di quanto scandalizzi, soprattutto perché i controlli hanno funzionato nel punto più fragile del sistema: lo sguardo di un’impiegata che vede qualcosa che non torna. Non tornava la voce, non tornavano le mani, non tornava soprattutto quel collo che nessun cerone poteva cancellare. E non tornava il dettaglio più ingenuo: la presunta ottantacinquenne era arrivata guidando, ma la vera Graziella Dall’Oglio non aveva la patente. Un inciampo troppo grande per non accendere un campanello.
Da lì si apre la zona giudiziaria. La Procura di Mantova ipotizza occultamento di cadavere, sostituzione di persona, falso in atto pubblico, truffa ai danni dell’INPS. Tutto da dimostrare, con l’indagato che resta innocente fino a sentenza. La cronologia: scoperta tra il 20 e il 25 novembre 2025, morte collocata nel 2022, corpo ritrovato in condizioni di mummificazione. E secondo una pista investigativa, l’uomo — forte di competenze da ex infermiere — avrebbe rallentato la decomposizione, rimuovendo liquidi dal cadavere. Un’ipotesi che l’autopsia deve verificare, senza suggestioni.
Parallelamente si indaga sui flussi di denaro: quanto è stato realmente riscosso? Alcune ricostruzioni parlano di 3.000 euro al mese, altre di oltre 50.000 euro l’anno tra pensione diretta ed eventuale reversibilità. Numeri da soppesare, ma che danno un ordine di grandezza del possibile danno erariale.
L’autopsia, disposta dalla Procura, dovrà stabilire epoca della morte, cause del decesso e segni post mortem su un corpo alterato. Un esame complesso, che richiede specialisti capaci di leggere ciò che resta quando la biologia non segue più i suoi tempi. L’indagato e il consulente hanno scelto di non presenziare. Fonti investigative non escludono una consulenza psichiatrica per sondare la tenuta mentale dell’uomo, la capacità di intendere e di volere, l’eventuale peso di lutto e isolamento.
In questa cornice, la difesa — rappresentata dall’avvocato Francesco Ferrari — prova a costruire un contropiano emotivo: non lo faceva per denaro, era incapace di separarsi dalla madre. Parla di vergogna, parla di legame ossessivo, parla persino dell’idea di “mummificare” la salma pur di non affrontare il distacco. L’uomo nega responsabilità nella morte della donna, si dice pronto a restituire quanto percepito e ribadisce di aver agito da solo. Ma l’inchiesta non archivia: alcune cronache ipotizzano la presenza di un’altra persona nell’auto la mattina del travestimento. Le videocamere non confermano, e gli inquirenti verificano. Finché gli atti non diranno, restano ipotesi.
Il travestimento è la parte più vistosa della storia, e proprio per questo la più insidiosa. L’uomo indossa abiti femminili, trucco, parrucca, orecchini; simula la fatica del passo. Ma a smontarlo bastano pochi dettagli: la voce, l’altezza, le mani, il profilo del collo, l’auto parcheggiata fuori. Le ricostruzioni divergono persino sulle ragioni del rinnovo documento: c’è chi parla di una scadenza recente, chi di anni. Saranno i fascicoli a chiarire. Quel che appare evidente è che senza quel rinnovo alcune procedure — bancarie e amministrative — sarebbero diventate difficili, se non impossibili. Il travestimento, insomma, nasce dal tentativo di tenere in piedi una finzione burocratica, ed è proprio la burocrazia, vista da vicino, a farla cadere.
Per capire il resto serve ricordare come funziona il sistema italiano. Il decesso di una persona dev’essere comunicato entro 48 ore; i certificati vengono trasmessi tramite canali digitali ai Comuni e all’INPS, che sospende i pagamenti. Sono previsti accertamenti periodici di esistenza in vita, soprattutto per i residenti all’estero, gestiti anche da Citibank. È un sistema che regge se la prima tessera — la denuncia di morte — viene messa al suo posto. Se viene nascosta, i flussi digitali vedono poco. E tutto resta silenzioso finché un ufficio pubblico non chiede un documento. Qui, a far scattare l’allarme, è stato un volto umano, non un algoritmo.
Resta la domanda più scomoda: cosa porta un figlio a tenere in casa il corpo della madre per tre anni? La difesa parla di amore disperato, di incapacità di affrontare il lutto. È possibile. È credibile. Ma non cancella né l’occultamento né l’inganno. Se la morte risulterà naturale — come sostiene l’indagato — resterà comunque la violazione del patto minimo con la comunità: dire la verità allo Stato, riconoscere i limiti della legge.
Il caso ha trasformato un Comune tranquillo in un palcoscenico globale. E ha ricordato che senza l’attenzione di un’impiegata, oggi racconteremmo un travestimento riuscito e una pensione che continuava a scorrere sul conto della defunta.
Ora la parola passa alla scienza, alla magistratura, ai numeri. L’autopsia dovrà dire quando è morta Graziella Dall’Oglio, come è morta, perché è rimasta nascosta così a lungo. E dovrà misurare la distanza tra la versione del figlio — non per soldi, ma per non separarmi da lei — e i fatti: una salma in cantina, una pensione riscossa per anni, una maschera caduta davanti allo sportello di un ufficio pubblico, grazie a una persona che quel giorno ha semplicemente fatto il proprio mestiere.
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