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Cronaca

Escursionista disperso nella nebbia: salvato dai Vigili del fuoco a 2.900 metri sulla torre d’Ovarda

L’uomo, finito in un canalone dopo aver perso l’orientamento, è stato recuperato nel tardo pomeriggio di ieri con l’elicottero Drago 72. Operazioni difficili per la scarsa visibilità, ma concluse con successo

Un banco di nebbia improvviso, il sentiero che svanisce e la montagna che, come spesso accade, si mostra in tutta la sua spietata severità. È bastato questo a trasformare una giornata di escursione in un incubo per un uomo rimasto bloccato ieri pomeriggio sulla torre d’Ovarda, a quasi 2.900 metri di quota, sopra Usseglio, nel cuore della Valle di Viù.

L’escursionista aveva intrapreso la salita in una giornata che all’inizio sembrava favorevole, ma nel giro di poche ore le condizioni sono cambiate. La nebbia, calata repentina, ha cancellato ogni punto di riferimento. L’uomo ha perso l’orientamento, finendo in un canalone e trovandosi in una posizione pericolosa, senza possibilità di risalire. Solo il sangue freddo e la prontezza nel chiedere aiuto gli hanno permesso di evitare il peggio.

L’allarme è scattato nel tardo pomeriggio. Da Torino si è subito alzato in volo l’elicottero Drago 72 dei Vigili del fuoco, mezzo ormai noto per decine di operazioni di salvataggio in scenari complessi, dai boschi alle pareti rocciose. Raggiungere la zona non è stato semplice: la stessa nebbia che aveva intrappolato l’escursionista ostacolava anche la visibilità del pilota e dei soccorritori a bordo. Le manovre sono state lente, precise, calibrate al millimetro.

Una volta individuata la sagoma dell’uomo nel canalone, è scattata la fase più delicata: un vigile del fuoco si è calato con il verricello, ha raggiunto l’escursionista, lo ha imbragato e issato a bordo dell’elicottero. Un intervento esemplare, frutto dell’addestramento costante delle squadre di soccorso, che in alta quota devono agire con rapidità ma senza margini di errore.

L’uomo, una volta al sicuro, è stato affidato al personale sanitario. Le sue condizioni non destano preoccupazioni: qualche escoriazione, tanto spavento e un forte stato di shock, ma nessuna ferita grave. Un lieto fine che però lascia spazio a riflessioni inevitabili.

La torre d’Ovarda non è una cima qualsiasi. Si tratta di una montagna aspra, che si affaccia sulla conca di Usseglio e che, proprio per la sua bellezza e difficoltà, attira escursionisti e alpinisti esperti. Ma proprio qui, negli ultimi anni, non sono mancati altri episodi di cronaca: cercatori di funghi dispersi, escursionisti bloccati dalla neve tardiva, alpinisti costretti a chiamare i soccorsi per cadute o per improvvisi peggioramenti del tempo.

Il tema della sicurezza in montagna è più attuale che mai. I soccorritori, ogni estate e ogni inverno, ricordano la necessità di partire preparati, con equipaggiamento adeguato e con la consapevolezza che la montagna non è mai prevedibile. La tecnologia aiuta — telefoni satellitari, applicazioni di geolocalizzazione, cartografia digitale — ma non sostituisce il buon senso e l’esperienza. Anche perché, a certe quote, basta davvero poco: un banco di nebbia, un temporale improvviso, un ghiacciaio che si fa più instabile del previsto.

Solo nelle ultime settimane, in Piemonte, si contano numerosi interventi simili: dall’escursionista recuperato sul Monviso, travolto da una slavina ma miracolosamente illeso, al gruppo di alpinisti rimasti bloccati sul Gran Paradiso a causa di una bufera, fino al recente salvataggio di due giovani sul Rocciamelone, rimasti intrappolati di notte lungo una cresta ghiacciata. Tutti episodi che confermano come la montagna continui a richiedere rispetto e attenzione.

Il caso della torre d’Ovarda non fa eccezione. Questa volta la storia si è chiusa con un lieto fine, grazie alla professionalità dei Vigili del fuoco e all’impiego del Drago 72. Ma è un campanello d’allarme che non va ignorato: la montagna affascina, attrae, regala panorami e silenzi che altrove è impossibile trovare. Ma è lo stesso ambiente che, se sottovalutato, può mettere a rischio la vita di chi la affronta con leggerezza.

Ieri pomeriggio, sopra Usseglio, a quasi 3.000 metri, la differenza tra la tragedia e la salvezza è stata questione di minuti e di preparazione. E, ancora una volta, a scrivere il lieto fine è stata la prontezza dei soccorritori, che hanno trasformato un incubo in un ritorno a casa.

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