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13 Giugno 2025 - 17:10
È il ponte più vecchio dell’intero asse del Po. Un colosso di pietra e mattoni sopravvissuto a guerre, alluvioni, frane e anche a un crollo che nel 1957 si portò via quattro arcate e sei vite umane. Il ponte tra Crescentino e Verrua Savoia, costruito tra il 1865 e il 1899 dall’impresa Rosazza, è entrato ufficialmente oggi in una nuova fase della sua lunga esistenza. Quella dell’ammodernamento. Del restyling. Del consolidamento. O, per dirla tutta, della sopravvivenza.
Alle 14 in punto, sotto un sole che non perdona, sindaci, consiglieri e tecnici si sono dati appuntamento proprio lì, in mezzo al ponte, per una conferenza stampa che non era solo simbolica.
C’erano Mauro Castelli, sindaco di Verrua Savoia, e Vittorio Ferrero, primo cittadino di Crescentino, ma anche il vice sindaco metropolitano Jacopo Suppo e il sindaco di Cavagnolo Andrea Gavazza, oggi in veste di consigliere delegato della Città Metropolitana di Torino. Tutti insieme, sotto il solleone, a raccontare ai cronisti e agli amministratori locali la portata di questi lavori che trasformeranno l’infrastruttura più antica sul Po in una struttura moderna, sicura, funzionale. E con una pista ciclabile.
“Non ci siamo limitati alla pulizia ordinaria o alla rimozione dei tronchi che si erano accumulati nei mesi scorsi – ha spiegato Castelli – ora si fa sul serio. Risanamento conservativo dei piloni, scavo dell’alveo per proteggere le fondamenta e soprattutto l’allargamento della carreggiata con una nuova pista ciclopedonale esterna. È un investimento per il futuro di questo territorio”.
Il ponte sul Po tra Crescentino e Verrua Savoia
Un investimento che ha un costo e ha un prezzo. Il costo si misura in milioni di euro – ben 6 milioni messi sul piatto dalla Città Metropolitana di Torino, con un progetto tecnico che coinvolge anche la Regione Piemonte e la Soprintendenza, data la valenza storica dell’opera.
Il prezzo, invece, lo pagheranno gli automobilisti. E i camionisti. E tutti quei pendolari che ogni giorno percorrono la Strada Provinciale 107 “di Brusasco”, passando da una sponda all’altra del fiume per lavoro, per studio, per necessità.
Da oggi, e per i prossimi 18 mesi, il cantiere resterà lì. Ci sarà in questa fase un senso unico alternato regolato da semafori e movieri, con limite di velocità fissato a 30 chilometri orari. Lo hanno detto chiaro: “I disagi ci saranno, inevitabili, ma saranno disagi utili. Alla fine avremo un ponte più sicuro, più largo, più bello”.
Già, perché i lavori finiranno – se va bene – per Natale 2026. Un’eternità se si pensa ai tempi della viabilità quotidiana, un battito d’ali se si ragiona in prospettiva storica.
“Stiamo parlando di un ponte che ha più di 120 anni – ha detto il vice sindaco metropolitano Jacopo Suppo – e che ha bisogno di interventi profondi per essere adeguato ai flussi di traffico moderni. Non basta più la manutenzione ordinaria: serviva un cantiere strutturale e ora c’è”.
Il progetto prevede il consolidamento delle pile, alcune delle quali risultano erose alla base, il rinforzo delle spalle e la sistemazione dell’impalcato. Ma la vera novità, quella che fa notizia, è l’inserimento della pista ciclabile sul lato esterno del ponte. Una pista ciclabile che dovrebbe proseguire, magari un domani chissà, con una ciclabile vera e propria da Brusasco a Crescentino e ritorno. Ma chissà. Tornando all'oggi, l'ampliamento della carreggiata cambierà la morfologia stessa dell’infrastruttura: non più solo un passaggio per auto e camion, ma un corridoio sicuro anche per pedoni e ciclisti.
“Finalmente anche chi si muove a piedi o in bicicletta potrà farlo in sicurezza – ha commentato Gavazza – e sarà un passo avanti fondamentale anche in ottica di turismo lento e mobilità sostenibile”.
A volerla vedere tutta, è anche un risarcimento. Un omaggio a una storia lunga e travagliata.
Perché questo ponte, simbolo di connessione tra la collina torinese e la pianura vercellese, ha visto tempi duri. Lo ricorda bene il disastro del settembre 1957, quando una frana causata dall’attività estrattiva nei pressi della Rocca di Verrua fece crollare quattro arcate. Una tragedia. Sei morti. Una ferita nel cemento e nella memoria. Lo ricorda anche la sua esclusività: è l’unico ponte sul Po tra Torino e Valenza a non essere mai stato ricostruito ex novo, ma solo restaurato. Un pezzo di archeologia stradale ancora in uso. Uno dei rari casi in cui passato e presente convivono senza soluzioni di continuità.
Eppure, questa convivenza è sempre più difficile. I carichi sono aumentati. I materiali hanno ceduto. Le infiltrazioni si sono fatte largo tra le giunture. Da anni, ormai, la Città Metropolitana sapeva che serviva un intervento radicale. Le segnalazioni non mancavano, né dai tecnici né dagli utenti. E allora via ai progetti, agli stanziamenti, ai bandi. Fino all’apertura del cantiere. Il ponte si rifà il look, ma lo fa da anziano signore che non ha intenzione di andare in pensione.
Nel frattempo, il traffico rallenta. I cittadini mugugnano. Gli automobilisti protesteranno. Ma nessuno, tra i presenti oggi, si è detto pentito della scelta. Anzi: “I disagi sono comprensibili, ma la priorità è la sicurezza. E poi finalmente avremo un ponte degno del 2026, non del 1900”.
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