AGGIORNAMENTI
Cerca
Attualità
08 Maggio 2025 - 17:01
Altro che tradizione. Altro che devozione. Quella andata in scena a Caresana (VC) domenica 27 aprile è una messa in scena brutale, travestita da celebrazione storica. Una violenza ritualizzata su animali inermi, condita da benedizioni, giri votivi e pranzo comunitario. Una coreografia che nasconde botte, spintoni e bastonate. Il tutto sotto lo sguardo di una folla plaudente e della Regione Piemonte, che da tre anni finanzia il “rito” con oltre 5.000 euro di soldi pubblici.
A lanciare la bomba in Consiglio regionale è Sarah Disabato, capogruppo del Movimento 5 Stelle, che non ha usato giri di parole: “Quanto visto a Caresana non ha nulla di storico. È una vergogna. Un maltrattamento evidente, documentato, reiterato. E la Regione non può più far finta di nulla.”
Nel mirino dell’interrogazione portata in aula c’è proprio l’ipocrisia istituzionale: quella che da un lato si riempie la bocca con parole come “benessere animale” e “valori della tradizione”, e dall’altro stacca assegni per sostenere manifestazioni dove i buoi vengono colpiti sul muso già alla partenza. A dirlo non è solo la consigliera M5S, ma anche i video diffusi da LEAL (Lega Antivivisezionista) e dal Tavolo Animali e Ambiente, che mostrano scene difficilmente equivocabili: animali strattonati, forzati a correre, visibilmente stressati.
E la Regione che dice? L’assessore Riboldi ha risposto che il veterinario dell’ASL presente sul posto “non ha riscontrato violazioni”. Peccato che le immagini raccontino altro. Ma qui siamo nel Piemonte delle contraddizioni: se un animale soffre ma non lo dice al dottore, allora è tutto in regola.
“Nel 2025 queste manifestazioni non devono più esistere,” incalza Disabato, “e se il presidente Cirio ha davvero a cuore il rispetto degli animali, intervenga con un atto normativo. Subito.”
Intanto, mentre si chiude il sipario sulla 789ª edizione della corsa di Caresana – vinta dalla Stalla Mulino di Giorgio Fagnola e Luca Ferrari, tra tre equipaggi partecipanti – si apre già il palco per il bis, domenica 11 maggio ad Asigliano Vercellese. Stesso copione, stesso rischio. Eppure, anche stavolta, la promessa è la solita: “massima attenzione da parte degli organi preposti”. Tradotto: altri bastoni, altro silenzio.
E dire che la storia della Corsa dei Buoi nasce con ben altri intenti. La prima edizione documentata risale al 1236, quando Caresana fece voto a San Giorgio per essere risparmiata dalla peste. I buoi, allora, non correvano per la gloria, ma per la fede. Erano addobbati, rispettati, accompagnati. Oggi, invece, sembrano solo carne da show, ingranaggi di una macchina folcloristica che confonde il rispetto con lo spettacolo, la religione con la violenza.
Ma la domanda vera è: fino a quando i cittadini piemontesi dovranno pagare per queste scene? Fino a quando si continuerà a sovvenzionare la crudeltà con il timbro della “cultura locale”? Quanto vale davvero la vita di un bue, quando a deciderlo è una delibera regionale?
Se una Regione non riesce a distinguere tra storia e folklore degenerato, allora non è una tradizione che va difesa. È un sistema che va cambiato. E chi oggi difende la “Corsa dei Buoi” in nome della storia, domani difenderà anche i circhi con gli elefanti e le foche vestite da clown.
Edicola digitale
LA VOCE DEL CANAVESE
Reg. Tribunale di Torino n. 57 del 22/05/2007. Direttore responsabile: Liborio La Mattina. Proprietà LA VOCE SOCIETA’ COOPERATIVA. P.IVA 09594480015. Redazione: via Torino, 47 – 10034 – Chivasso (To). Tel. 0115367550 Cell. 3474431187
La società percepisce i contributi di cui al decreto legislativo 15 maggio 2017, n. 70 e della Legge Regione Piemonte n. 18 del 25/06/2008. Indicazione resa ai sensi della lettera f) del comma 2 dell’articolo 5 del medesimo decreto legislativo
Testi e foto qui pubblicati sono proprietà de LA VOCE DEL CANAVESE tutti i diritti sono riservati. L’utilizzo dei testi e delle foto on line è, senza autorizzazione scritta, vietato (legge 633/1941).
LA VOCE DEL CANAVESE ha aderito tramite la File (Federazione Italiana Liberi Editori) allo IAP – Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria, accettando il Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale.