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Cronaca
28 Gennaio 2025 - 22:12
Nel primo pomeriggio, mentre in Transatlantico si discuteva quasi esclusivamente del “caso Santanchè”, un fulmine a ciel (solo apparentemente) sereno agita la maggioranza: attraverso i social, la presidente del Consiglio Giorgia Melonirivela di aver ricevuto un avviso di garanzia insieme a Carlo Nordio, Matteo Piantedosi e Alfredo Mantovano. Il motivo sarebbe la gestione del dossier relativo al comandante libico Najeem Osema Almasri Habish, arrestato in Italia, poi scarcerato e infine riportato a Tripoli con un aereo di Stato dei servizi segreti.
A informare i quattro esponenti di governo è il procuratore capo di Roma, Francesco Lo Voi, lo stesso che la premier indica come responsabile del “fallimentare processo” contro Matteo Salvini su denuncia di Luigi Li Gotti, “molto vicino a Romano Prodi”. Nel suo messaggio, breve ma durissimo, Meloni ribadisce di non sentirsi “ricattabile” e sottolinea che non si farà “intimidire” da quella che definisce una mossa della magistratura.
Immediata la levata di scudi di tutto il centrodestra, che sul fronte giustizia conserva l’eredità politica di Silvio Berlusconi, da sempre in aperto dissenso con quella che ritiene un’ingerenza giudiziaria. Dalle file di Forza Italia alla Lega, passando per Fratelli d’Italia, l’accusa è univoca: “È giustizia a orologeria, messa in atto proprio mentre al Senato sta per riprendere il cammino la riforma sulla separazione delle carriere”. Antonio Tajani e Matteo Salvini, in particolare, rivendicano che questo passo della magistratura non impedirà all’iter legislativo di andare avanti. Anche Barbara Berlusconi, figlia del Cavaliere, parla senza mezzi termini di “giustizia a orologeria”.
Tra i fedelissimi di Palazzo Chigi si respira un’aria di sfida: secondo alcuni, chi indaga potrebbe ottenere “l’effetto opposto”, trasformando questa vicenda in un boomerang. A detta di queste fonti, non sarebbe stata obbligatoria la notifica dell’avviso di garanzia: “Ci sono molti altri esposti contro ministri che non hanno avuto seguito, come per esempio quelli relativi alla condizione delle carceri”.
L’Associazione nazionale magistrati non si è fatta attendere, sottolineando come l’avviso di garanzia sia un “atto dovuto” previsto dalla legge. La Procura, “omessa ogni indagine”, deve infatti trasmettere la documentazione al Tribunale dei ministri e comunicare tempestivamente agli interessati la loro iscrizione nel registro degli indagati, così da consentire una piena difesa. La replica del centrodestra, però, resta netta: secondo diversi esponenti, si tratterebbe di un’ulteriore conferma dell’“accanimento” nei confronti di questo governo. “L’opposizione giudiziaria è il maggiore ostacolo politico del nostro esecutivo”, dice il ministro della Difesa Guido Crosetto. Il viceministro della Giustizia Francesco Paolo Sisto auspica “un’archiviazione immediata” che mostrerebbe come i magistrati agiscano solo nell’adempimento dei loro doveri.
L’attenzione si concentra soprattutto sul caso Almasri. Il comandante libico, ritenuto pericoloso dal Viminale, era stato prima arrestato, poi scarcerato dai magistrati italiani e infine rimpatriato con un aereo di Stato. La premier, descritta da fonti vicine come “molto arrabbiata”, ha incontrato dopo un Consiglio dei ministri lampo (senza particolari dichiarazioni ufficiali) il ministro dell’Interno Piantedosi e il Guardasigilli Nordio, entrambi destinatari dell’avviso di garanzia, insieme al sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Mantovano.
Proprio Piantedosi e Nordio erano attesi in Parlamento per riferire sul caso, ma l’apertura del fascicolo ha cambiato i piani: la loro audizione è stata rinviata, provocando la dura reazione delle opposizioni. Meloni punta il dito anche contro la Corte penale internazionale, che, a suo dire, “dopo mesi di riflessione, ha emesso il mandato di cattura per Almasri proprio mentre stava per entrare in Italia”, e se la prende anche con l’avvocato Luigi Li Gotti, definito “ex politico di sinistra” noto per aver difeso collaboratori di giustizia come Buscetta e Brusca, e che ha presentato la denuncia pochi giorni fa.
Nonostante tutto, la presidente del Consiglio ribadisce la volontà di proseguire senza tentennamenti. “Non sono ricattabile”, ripete, “ed è possibile che per questo io sia invisa a chi non vuole che l’Italia cambi. Ma vado avanti a testa alta e senza paura”. Parole che richiamano quelle pronunciate quando prese forma il suo governo, nel pieno delle tensioni con Silvio Berlusconi.
L’intera maggioranza si compatta attorno alla premier, decisa a difendere senza indugio l’operato del governo. Intanto, la palla passa al Tribunale dei ministri, chiamato a stabilire se esistano gli estremi per proseguire l’inchiesta. Un passaggio cruciale che rischia di infiammare ulteriormente il clima parlamentare, già rovente per la ripresa delle riforme in materia di giustizia.
La vicenda del generale Nijeem Osama Almasri, la cui liberazione ha scatenato un caso politico e giudiziario fino all'iscrizione nel registro degli indagati per i vertici di governo, comincia ventidue giorni fa. Lo scorso 6 gennaio il capo della polizia giudiziaria libica ha iniziato il suo viaggio per l'Europa, volando da Tripoli a Londra e facendo scalo all'aeroporto di Roma-Fiumicino. Dopo essersi trattenuto nella capitale britannica per sette giorni, il 13 gennaioAlmasri si trasferisce a Bruxelles in treno e poi prosegue diretto in Germania, viaggiando in macchina con un amico. Durante il suo tragitto verso Monaco, il 16 gennaio, viene fermato dalla polizia per un controllo di routine e gli agenti lo lasciano proseguire. Infine, arriva a Torino in auto, per assistere a una partita della Juventus.
Il Ministro a "5 minuti" di Bruno Vespa
Soltanto sabato 18 gennaio, quindi dodici giorni dopo l'inizio del viaggio del comandante libico in giro per l'Europa, la Corte penale internazionale - con una maggioranza di due giudici a uno - spicca un mandato d'arresto sul generale per crimini di guerra e contro l'umanità commessi nella prigione di Mittiga, vicino a Tripoli, dal febbraio 2011. In quel carcere sotto il suo comando, secondo i documenti dell'Aia, sarebbero state uccise 34 persone e un bimbo violentato.
Domenica 19 gennaio Almasri, da poco arrivato nel capoluogo piemontese, viene fermato e messo in carcere dalla polizia italiana, ma viene in seguito rilasciato il 21 gennaio su disposizione della Corte d'Appello a causa di un errore procedurale: si è trattato di un arresto irrituale, perché la Corte penale internazionale non aveva in precedenza trasmesso gli atti al Guardasigilli Nordio. L'arresto non è stato "preceduto dalle interlocuzioni con il ministro della Giustizia, titolare dei rapporti con la Corte penale internazionale; ministro interessato da questo ufficio in data 20 gennaio, immediatamente dopo aver ricevuto gli atti dalla Questura di Torino, e che, ad oggi, non ha fatto pervenire nessuna richiesta in merito", si legge nell'ordinanza della Corte d'Appello di Roma, che dispone l'immediata scarcerazione.
Poco dopo il suo rilascio, nello stesso giorno, il comandante libico è stato rimpatriato dall'Italia su un volo di Stato, prima di essere portato in trionfo da decine di suoi sostenitori che lo hanno accolto festanti. La serie di eventi ha scatenato le accese proteste dell'opposizione e della stessa Corte penale internazionale, dopo aver visto sfumare la consegna di un uomo che voleva arrestare per crimini di guerra e contro l'umanità. "Stiamo cercando, e non abbiamo ancora ottenuto, una verifica da parte delle autorità sui passi compiuti", fa sapere la Corte penale internazionale.
Un paio di giorni dopo il governo interviene ufficialmente per la prima volta, attraverso il ministro dell'Interno Matteo Piantedosi, che al question time al Senato fornisce una prima risposta: una volta scarcerato su disposizione della Corte d'Appello, Almasri è stato "rimpatriato a Tripoli, per urgenti ragioni di sicurezza, con mio provvedimento di espulsione, vista la pericolosità del soggetto" e per il fatto che dal momento del rilascio "era 'a piede libero' in Italia". Il governo contesta anche la tempistica riguardante la richiesta, l'emissione e l'esecuzione del mandato di cattura internazionale, che è poi maturata al momento della presenza in Italia del cittadino libico.
Anche in queste ore la premier Giorgia Meloni ha fatto notare che il provvedimento è scattato dodici giorni dopo l'inizio del viaggio di Almasri in giro per l'Europa, quando il libico aveva già attraversato Regno Unito, Belgio e Germania superando i controlli. Nei mesi scorsi risulta essere stato anche in Francia, Olanda e Svizzera.
Una denuncia di due pagine messa all'attenzione dei magistrati della Procura di Roma il 23 gennaio, due giorni dopo la scarcerazione e l'espulsione dal territorio italiano del generale libico Abish Almasri. Un atto firmato dal penalista Luigi Li Gotti in cui si chiede di procedere nei confronti della premier e di alcuni ministri. "Io ho fatto una denuncia ipotizzando dei reati e ora come atto dovuto, non è certo un fatto anomalo, sono stati indagati", spiega all'ANSA l'avvocato. L'incartamento finirà ora all'attenzione del tribunale dei Ministri. "Io mi sono limitato a presentare un atto, a raccontare cosa è accaduto in quei giorni, ho anche allegato una serie di articoli di stampa - prosegue - I magistrati di piazzale Clodio hanno proceduto, come da prassi, all'iscrizione nel registro degli indagati. Ho individuato due fattispecie, i reati di favoreggiamento e peculato".
L'avvocato Li Gotti
L'iscrizione nel registro è stata effettuata dal procuratore di Roma, Francesco Lo Voi, il 27 gennaio e "l'avviso di garanzia" è stato trasmesso nella giornata del 28 gennaio. "I pm hanno fatto le loro valutazioni e inviato gli atti alla sezione specializzata del tribunale ordinario competente per i reati ministeriali. Ora si andrà avanti con l'iter". Nella denuncia il penalista chiede agli inquirenti di "svolgere indagini sulle decisioni adottate e favoreggiatrici di Almasri, nonché sulla decisione di utilizzare un aereo di Stato per prelevare il catturato (e liberato) a Torino e condurlo in Libia".
Classe 1947, Li Gotti è nato a Mesocara, in provincia di Crotone, ma da quasi 50 anni vive a Roma. Nella sua lunga carriera forense ha difeso alcuni esponenti di Cosa Nostra, tra cui pentiti come Tommaso Buscetta, Giovanni Brusca e Francesco Marino Mannoia. Il penalista è stato anche parte civile nel maxiprocesso sulla strage di Piazza Fontana ed è stato legale di parte civile in uno dei processi per l'omicidio di Aldo Moro, oltre ad aver assistito i familiari del commissario Calabresi. È presente anche al processo di Genova per i fatti della Diaz.
Parallelamente all'attività nelle aule di giustizia, Li Gotti ha anche ricoperto cariche politiche. Nel 1998, dopo una lunga militanza a destra, esce da Alleanza Nazionale e diventa, nel 2002, il responsabile del dipartimento giustizia di Italia dei Valori. Nel secondo governo guidato da Romano Prodi è sottosegretario alla giustizia. Nel 2008 si candida alle elezioni politiche per Italia dei Valori e viene eletto al Senato.
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