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Ricorrenze
27 Dicembre 2024 - 01:14
Un botto… e Ivrea fu salva. Lunedì scorso nell'antivigilia di Natale, gli eporediesi erano lì. Come ogni anno, da ottanta anni a questa parte. Di nuovo, davanti al ponte ferroviario. Di nuovo, a cantare. A raccontarsi e a raccontare una storia che non è solo memoria, ma identità. Questo appuntamento, per chi vive in questa città, non è una celebrazione. È un patto. È la conferma di un amore viscerale verso un luogo, un sacrificio, un gesto che ha ridefinito il significato di "libertà".
La giornata è iniziata in Santa Marta, con l'esposizione di disegni di giovanissimi studenti. E' proseguita in Sala dorata con proiezione di un video della Bbc.
Nel tardo pomeriggio il corteo, silenzioso, rispettoso, ma pulsante. Ogni passo, ogni sguardo raccontava l’attesa di quel momento. L’arrivo al ponte, illuminato dai fari tricolori, ha segnato l’inizio di qualcosa di più di una commemorazione. È stato come tornare indietro nel tempo, a quel gelido dicembre del 1944, quando la città era stretta nella morsa nazista.
Era il 23 dicembre del 1944. La Dora scorreva impetuosa, fredda come l’aria di quella notte. Il ponte ferroviario era un punto cruciale: i treni tedeschi lo attraversavano carichi di forniture belliche. Sotto il ponte, sentinelle vigili. Sopra, pattuglie in perenne allerta. A pochi metri, la Kommandantur tedesca osservava tutto. Ivrea era circondata, stretta in una presa di ferro. Ogni via, ogni strada era controllata. La distruzione sembrava imminente.
Ma in quel clima di oppressione, un gruppo di uomini decise di tentare l’impossibile. Alimiro e D’Artagnan, due nomi che a Ivrea non sono solo storia, sono leggenda. Quella notte, armati di esplosivo e di un coraggio che rasentava l’incoscienza, salirono sui tralicci del ponte. Lavorarono nell’oscurità, aggrappati ai gelidi ferri del ponte, sospesi sopra le acque della Dora. Sotto di loro, il rumore del fiume. Sopra di loro, le pattuglie nemiche.
Settantacinque minuti. Una eternità. Ogni movimento era un passo verso la libertà, ogni respiro un rischio calcolato.
“Un lampo formidabile, poi uno scoppio tremendo… E Ivrea era salva.”
Sono le parole che Alimiro avrebbe ricordato anni dopo, raccontando quel momento in cui un’intera testata del ponte precipitò nella Dora.
Alle 4:50 del 24 dicembre, il ponte non esisteva più. La città, però, sì. Le officine erano salve. Le vite di chi lavorava in quelle fabbriche, di chi abitava in quelle case, erano salve. Ivrea aveva resistito, contro tutto e contro tutti.
Ottanta anni dopo gli eporediesi si sono raccolti davanti a quel ponte. Il tempo non ha sbiadito la memoria, né l’emozione. Il corteo ha attraversato la città, e giunto al ponte, il silenzio ha parlato più di mille parole.
Poi, Fabrizio Zanotti, con una voce che solca il tempo, ha cantato Bella Ciao e Poco di buono, una canzone dedicata proprio a D’Artagnan. Le note si sono levate nell’aria fredda, e gli sguardi si sono riempiti di lacrime.
Mario Beiletti, presidente dell’ANPI, ha trovato le parole giuste per dare un senso a quel momento: “Noi siamo qui, liberi cittadini, a dire che ci sono valori che non si toccano, che fanno parte di noi e che difenderemo con la stessa determinazione dei nostri padri.”
Poi, uno ad uno, sono stati pronunciati i nomi di quei giovani che fecero l’impensabile. Gino Barbieri, Lanfranco Borga, Remo Maffei, Armando Stratta, Felice Realis, Filiberto Pomo, Oscar Ganio, Ferruccio Ricreda, Guerrino Maffei, Giuseppe Marchetto, Aldo Balla. Giovani che avevano deciso di sacrificare tutto, anche la loro vita, per un ideale più grande di loro stessi.
Le parole di Piero Calamandrei, rievocate durante la serata, hanno risuonato come un monito: “La guerra partigiana non fu espressione di bestiale accanimento distruttivo, ma meditato e pacato calcolo di responsabilità civile.”
La serata si è conclusa con la pastasciutta antifascista del Ponte, al Castello di Albiano, dove il presidente Mario Beiletti ha anche avuto modo di presentare il suo libro curato e pubblicato da Pedrini Edizioni, dal titolo La Resistenza in Canavese.
La verità è che gli eporediesi non dimenticano. Non dimenticheranno mai. Alimiro, D’Artagnan, e tutti gli altri non sono solo eroi di ieri. Sono parte della città, delle sue strade, dei suoi volti. E ogni anno, davanti a quel ponte, continuano a vivere. Perché la memoria non è solo un dovere. È un atto d’amore. Un atto che, come quel ponte, è destinato a resistere al tempo.
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