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Pace

Immagina la pace: Ivrea marcia con Lennon nel cuore

Centinaia di persone hanno sfilato per le strade di Ivrea, portando avanti il sogno di John Lennon: un mondo senza guerra, 135 sabati consecutivi dedicati alla pace e alla giustizia

"Immagina tutte le persone che vivono in pace". Una delle frasi più iconiche mai scritte, e non solo una semplice citazione. È di John Lennon, e in quelle parole c’è tutto: la speranza di un mondo migliore, la felicità, le lacrime agli occhi, la voglia di urlare ai bordi di un precipizio. Un mondo bello dove il conflitto cede il passo alla comprensione, dove la solidarietà diventa la nostra vera forza. Oggi, sabato 21 settembre, quelle parole non erano solo impresse su uno striscione appeso al balcone del palazzo Municipale di Ivrea. Erano un grido, un invito, una promessa collettiva.

"You may say I'm a dreamer, but I'm not the only one". Lennon lo cantava nel 1971, ma oggi la sua voce risuona ancora, potente, tra le strade di Ivrea, dove da 135 settimane consecutive i cittadini si ritrovano per ricordare a tutti che la pace non è solo un sogno, ma una necessità urgente.

Non è solo un ideale astratto, ma un'azione concreta. Non è solo un sentimento, ma una battaglia da combattere, passo dopo passo, settimana dopo settimana.

Questa mattina, centinaia di persone hanno marciato insieme per ribadire che non si arrenderanno alla violenza, alla guerra, all’odio. Dalla Palestina alla Striscia di Gaza, dall'Ucraina a ogni altro angolo del mondo martoriato dai conflitti, Ivrea ha scelto di schierarsi dalla parte dei più deboli, di chi piange per la morte del proprio marito, della moglie, dei figli e dei figli rimasti orfani, senza compromessi.

Il corteo, organizzato in occasione della Giornata Internazionale della Pace, è partito da Piazza Ferruccio Nazionale, avanzando lentamente ma con determinazione lungo via Piave, Corso Gallo, Corso Botta e via Palestro. Strade un tempo teatro di lotte e resistenze, oggi solcate da passi che cercavano non più lo scontro, ma l'incontro.

Volti seri, mani che stringevano cartelli, occhi che raccontavano una storia di speranza e determinazione.

La partecipazione è stata massiccia. E con lo striscione di Lennon a fare da cornice, è stato impossibile non lasciarsi coinvolgere, non sentire il messaggio vibrare dentro. Perché la pace non è solo l’assenza di guerra: è giustizia, è uguaglianza, è solidarietà. E soprattutto, è responsabilità di ciascuno di noi. Non c'è spettatore in questa battaglia: siamo tutti chiamati a fare la nostra parte.

L’evento, promosso da una vasta rete di associazioni locali – dall’ANPI Ivrea all’Azione Cattolica, dal Centro Gandhi a Emergency, da Legambiente alla CGIL – ha dimostrato che la voglia di pace non ha bandiere, non conosce appartenenze, non accetta confini. Non importa se provieni da un gruppo ambientalista, da una realtà cattolica o sindacale: ciò che unisce è il desiderio comune di costruire un futuro diverso, dove la violenza e l’ingiustizia non hanno più alcuno spazio. Un futuro che ogni sabato, da oltre due anni, viene invocato e costruito per le strade di Ivrea.

Non una semplice marcia, dunque, ma un atto di speranza condivisa. Una presa di posizione contro l’indifferenza. Chiaro il messaggio degli organizzatori: "Non possiamo restare a guardare mentre il mondo brucia. La pace è una scelta quotidiana. È un impegno che dobbiamo prendere, qui e ora, per noi e per le future generazioni."

Parole che pesano, perché dietro c'è la consapevolezza che il cammino verso la pace è lungo e tortuoso, ma è un cammino che non possiamo permetterci di abbandonare.

Cosa spinge una comunità a ritrovarsi ogni settimana? Cosa alimenta questa costanza, questa resilienza? La risposta si trova nelle parole di chi ha marciato oggi: "La pace non è mai garantita. Dobbiamo conquistarla ogni giorno, con piccoli gesti, con grandi decisioni, con la volontà di ascoltare l'altro e di cercare il dialogo."

Il momento più emozionante della manifestazione si è avuto quando il corteo si è fermato di fronte al Municipio. È lì che lo striscione con la frase di Lennon ha preso vita. Non solo parole scritte, ma una dichiarazione collettiva: "Imagine all the people living life in peace".

E mentre il mondo guarda altrove, mentre i titoli dei giornali si concentrano su nuovi conflitti, questa piccola città del Canavese continua a credere, a lottare, a sperare. Perché, come cantava Lennon, "I'm not the only one".

Ogni sabato, Ivrea ci ricorda che la pace è una battaglia lunga, difficile, ma non impossibile. E oggi, più che mai, sembra proprio che non sia solo il sogno di pochi.

L'intervento di Pierangelo Monti

Lo scopo della Giornata non è semplicemente quello di esprimere un generico auspicio di pace, ma condannare apertamente la politica dominante nel mondo che non riesce e non vuole mettere fine alle guerre in corso, e poi manifestare solidarietà con tutte le vittime innocenti e con tutti coloro che obiettano e si rifiutano di partecipare alle guerre. Di fronte a questa situazione mondiale che non da segni di miglioramento, dobbiamo reagire allo sconforto e al senso di impotenza, continuando a opporci con le manifestazioni e la controinformazione alla follia bellicista. Bisogna innanzitutto vincere l’indifferenza, l’ignoranza, la passività e la rassegnazione.

Cominciamo con una constatazione di carattere generale. Il crescendo dei conflitti armati, delle morti e delle distruzioni, insieme al collegato aumento delle spese militari, sta a dimostrare che la via militare violenta che mira alla sconfitta dei nemici non risolve i problemi, ma al contrario porta nel vortice della follia bellicista senza speranza di pace, né in Palestina e Israele, né in Ucraina e Russia, con il rischio reale di finire in una guerra più estesa in Medio Oriente e in una guerra mondiale tra i paesi Nato e la Russia con tanto di armi atomiche.

Siamo nella “Settimana di azione globale contro le spese per le armi nucleari” promossa dallICAN. E’ incredibile come nel mondo anche l’anno scorso siano stati sperperati 91 miliardi per mantenere gli arsenali atomici.
I governi che non aderiscono al Trattato per la messa al bando delle armi atomiche continuano a credere nella deterrenza di queste armi; credono che riarmando il proprio stato si fa paura al nemico e lo si scoraggia dal muovere guerra. Però questo lo pensano sia gli uni che gli altri. Perciò questa deterrenza non funziona. Invece noi crediamo che la guerra si allontana se anziché minacciare, si dialoga, si tende la mano, si cerca una soluzione nonviolenta delle contese, se si riducono le occasioni di scontro e si coopera, se si favoriscono le amicizie tra genti di nazioni e culture diverse.
Così si deve costruire la pace, con costi economici molto inferiori a quelli che si spendono per i sistemi militari.

Ricordiamo inoltre che le guerre e i sistemi militari contribuiscono a causare il cambiamento climatico, con tutte le penose conseguenze di catastrofi ambientali che accadono nel mondo e anche in Italia con sempre maggiore ricorrenza.
Che le guerre distruggano
l’ambiente e abbiano dei costi economici pazzeschi è chiaro a tutti, ma non tutti sono consapevoli dei danni all’ecologia e all’economia globale provocati dai complessi militari-industriali. Si consideri che gli eserciti del mondo sono responsabili del 5,5% delle emissioni globali di gas serra. Come migliorerebbe il mondo se gli uomini anziché operare negli eserciti e nelle fabbriche d’armi lavorassero per migliorare l’ambiente, per prevenire le tragedie ambientali, per la salute, per le abitazioni antisismiche, per elevare il tenore di vita dei poveri della terra, per l’amicizia tra i popoli!

Chiediamo ancora una volta con forza un immediato e definitivo cessate il fuoco in tutte le aree di guerra: in Ucraina e in Russia, a Gaza, in Cisgiordania e al confine tra Israele e Libano. Chiediamo che si intraprendano davvero iter diplomatici tra le parti, chiediamo che l’Europa la smetta con l’ipocrisia e si assuma la responsabilità e il ruolo di continente che fu premiato nel 2012 col Nobel per la pace. E’ vergognosa la sua politica nei riguardi dei conflitti internazionali: evanescente e appiattita sulle posizioni statunitensi, senza proprie iniziative diplomatiche che favoriscano il dialogo tra le parti in conflitto. Così l’Italia e le nazioni europee giudicano con pesi e misure differenti ciò che fa la Russia e ciò che fa l’Ucraina, ciò che compie Israele e ciò che fanno le forze antiisraeliane. A Israele viene concesso e perdonato ciò che a nessun altro stato viene concesso: se un qualsiasi altro Stato facesse quello che fa Israele, che occupa la Palestina contro il diritto internazionale, porta attacchi omicidi in Siria, in Iran e in Libano, sarebbe definito come uno stato canaglia; invece gli stati occidentali continuano ad intrattenere rapporti amichevoli con Israele.

L’ONU viene sempre più privato di prestigio e di autorevolezza, il diritto internazionale rinnegato. Non vengono prese sul serio le risoluzioni dell’ONU e i pronunciamenti della Corte internazionale di giustizia per il rispetto del diritto umanitario e del diritto all'autodeterminazione del popolo Palestinese; che ha diritto, come tutti gli altri, ad avere un proprio stato.

Nei giorni scorsi Israele ha compiuto in Libano un’azione terroristica senza precedenti, che ha causato decine di morti e migliaia di feriti, allo scopo di colpire esponenti di Hezbollah. Questa azione, che si dice sia stata preparata da anni, è stata fatta proprio nei giorni in cui cadeva l’anniversario del massacro di Sabra e Shatila del 1982, quando le Falangi libanesi, alleate di Israele, fecero strage di centinaia di palestinesi e sciiti libanesi alla periferia di Beirut. Allora, inseguito all’indignazione internazionale e alle critiche interne, il ministro della Difesa A. Sharon e poi il primo ministro M. Begin dovettero dimettersi. Si può sperare che possa accadere la stessa cosa oggi?

Voglio ripetere con chiarezza che la nostra condanna della politica bellicista di Israele non ha nulla a che vedere con l’antisemitismo, è la stessa condanna che fanno anche molti ebrei nel mondo. Perimenti rifiutiamo l’accusa di essere filoputiniani, perché non siamo con la Nato e non vogliamo l’invio di armi all’Ucraina. Putin come Netanyahu e come i capi di Hamas sono secondo la Corte penale Internazionale dei criminali di guerra e come tali vanno trattati.

Noi ripudiamo la guerra che la Russia fa all’Ucraina e solidarizziamo con la popolazione di tutta l’Ucraina, ma non crediamo che la soluzione del conflitto stia nella vittoria militare contro la Russia, perché impossibile (disponendo la Russia di uomini e armamenti decisamente superiori allUcraina) e perchè comunque la vittoria, con lindispensabile entrata in guerra degli eserciti della Nato, costerebbe milioni di vite umane e altre immani distruzioni, a entrambe le parti. Già ora le stime parlano di un milione di vittime finora, tra morti e feriti.

Ora per contrastare linvasione Russa, l’Ucraina ha invaso un pezzo di Russia ed ha colpito con i droni la penisola di Kola (nell'artico russo), fortezza nucleare di Mosca dove ci sarebbero 2000 testate atomiche. Cosa succederà allora se a Zelenski verranno inviati missili a lungo raggio, vergognosamente approvati dal Parlamento Europeo? C’è davvero da temere una escalation catastrofica della guerra, perché Putin è brutale e non ha scrupoli nellusare ogni arma. Chi vuole arrivare a uno scontro tra Russia e Paesi Nato? I signori della guerra privi di senso di umanità, che non fermano le macchine da guerra neanche davanti al rischio di eccidi, devono essere fermati dai loro stessi popoli, che dovrebbero protestare finalmente in massa.

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