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L'intervista

"Siamo diventati partigiani perché eravamo stufi di Mussolini" (VIDEO)

Secondino Poma ha compiuto da poco 102 anni, ma quando ne aveva 22 è diventato partigiano

Secondino Poma ci aspetta a Chialamberto, nella Rsa dove vive, vista la sua veneranda età: 103 anni compiuti il 25 febbraio scorso. Accompagnati dal figlio Giovanni, che è stato anche sindaco di Ceres, lo raggiungiamo. Secondino siede in camera sua su un piccolo sofà. Ci aspettava da diversi minuti, e noi siamo un po' in ritardo.

102 anni di vita non sono facili da raccontare in un'intervista, ma se siamo qui con lui è perché vogliamo chiedergli di raccontarcene solo un paio, di quegli anni. Quelli in cui Poma ha preso parte, come tanti altri giovani della sua epoca, alla Resistenza nelle Valli di Lanzo.

Aveva solo 22 anni quando, l'8 settembre del 1943, si trovò a dover fare la scelta che ha cambiato la vita politica di tutta Italia: unirsi alla Repubblica Sociale Italiana o a una delle formazioni partigiane che stavano per nascere con l'obiettivo di liberare l'Italia dall'occupazione nazifascista.

Ma chi è secondino Poma? Facciamo un breve cenno biografico prima di sentire dalla sua viva voce la testimonianza di quegli anni tumultuosi.

Nome di battaglia "Bocia": storia del partigiano Poma

Secondino Poma è nato a Ceres il 25 febbraio del lontano 1921. Quando, diciannove anni dopo, scoppiò la seconda guerra mondiale, Secondino si ritrovò a combattere sul fronte francese assieme agli alpini del battaglione “Moncenisio”. Di rientro qualche anno dopo, Poma non stette a guardare con indifferenza la nascita delle prime formazioni partigiane, all’indomani dell’armistizio dell’8 settembre.

Si unì a loro e assunse il nome di battaglia ‘Bocia’. Dopo il durissimo inverno del ‘44, in cui le forze partigiane dovettero cessare momentaneamente le operazioni su ordine del feldmaresciallo Alexander, Poma venne inquadrato nella 20° Brigata Garibaldi. Qualche tempo dopo, seguendo altri partigiani, passò alla colonna “Renzo Giua” affiliata a Giustizia e Libertà. Tra i suoi ispiratori c’è il giovane Renzo Tuscano, comandante partigiano della Colonna “Renzo Giua”.

Tuscano morì sotto il fuoco fascista, fucilato dai paracadutisti del battaglione “Nembo” il 24 gennaio 1945. Secondino manterrà di lui un ricordo sempre vivissimo. Nell’aprile del ‘45, Secondino partecipò alla liberazione di Ceres assieme ai compagni della colonna partigiana, facendo arrendere senza dover spargere una goccia di sangue gli Alpini fascisti della “Monterosa”.

Dopo la guerra, il partigiano ceresino riuscì a riprendere la propria vita nella rinata Italia repubblicana. Mise su famiglia e lo fece con Emma Berta, partecipe anche lei della Resistenza. Berta aveva infatti nascosto più volte i partigiani rischiando, dunque, spesso e volentieri la propria vita. Berta è mancata qualche anno fa, nel 2016.

"Siamo diventati partigiani perché eravamo stufi di Mussolini"

"Quando, a 13 anni, ho finito la scuola ho cominciato a lavorare facendo il garzone a Torino, in piazza Montebello - racconta Secondino - vendevo il latte e mi spostavo sulla bicicletta. Era pericoloso, anche se non c'erano molte macchine". La sua infanzia trascorse interamente sotto al fascismo.

Secondino si ricorda di quando vennero organizzate le Olimpiadi a Ceres, e di quando lo sport veniva usato come mezzo per costruire l'uomo pronto alla guerra e alla violenza; lui era solo un bambino: "Arrivai secondo nella corsa, primo di salto in alto e primo di salto in lungo" sorride Secondino.

Fino alla drammatica morte del papà, nel 1939. Che, unita alla partenza in guerra del fratello maggiore, lasciò il giovane Secondino da solo con la madre e la sorella.

Fino a quando, nell'agosto del 1941, il regime fascista decise di intraprendere la scellerata Campagna di Russia. Secondino avrebbe dovuto parteciparvi. "Feci anche il corso per partire, ma poi non mi ci mandarono più" racconta. Aveva vent'anni, e al posto della Russia lo mandarono in Francia.

In Francia rimase diversi mesi, fino all'8 settembre del 1943: "Poi, da Chambéry tornai a piedi verso casa, e lì entrai tra i partigiani. Ci restai per venti mesi". Se gli si chiede come mai fece quella scelta, Poma non ha dubbi: "Eravamo tutti stufi di Mussolini, ne combinava di tutti i colori...".

I ricordi di quella stagione, nella mente di Secondino, affiorano come fossero dei lampi, non necessariamente in ordine cronologico, ma seguendo il ritmo dettato dalle emozioni. "Mia mamma era già vecchia, ma faceva la polenta, si metteva il grembiule e partiva da casa facendo finta di andare a lavorare. Noi andavamo nel bosco e la incontravamo per mangiare. Eravamo giovani, avevamo fame".

Una fame talmente feroce che non badava a nulla pur di saziarsi: "Una volta, passando per lo Stura a piedi trovammo un vitello morto già da qualche giorno. Era inverno. L'abbiamo preso, l'abbiamo cotto e mangiato. A uno dei miei compagni che bevve il brodo venne mal di pancia".

"Quel vitello - interviene il figlio Giovanni - era probabilmente nato morto...avevate degli anticorpi importanti!" dice poi al padre con un sorriso amaro e consapevole.

Ma la fame non era l'unico problema. Poteva capitare, ad esempio, di dormire per venticinque giorni all'aperto, su delle pietre, come Secondino fece col fratello. O di dover cercare un dottore che potesse parlare coi partigiani per la sorella, colpita da un ascesso.

Prima lo raccontavamo: una figura di cui Secondino conserva un ricordo vivissimo è quella di Renzo Tuscano, comandante partigiano fucilato a due mesi dalla Liberazione.

"Tuscano e altri quattro o cinque resistettero per dodici giorni in una miniera a Chialamberto - racconta Poma con la voce rotta dall'emozione - a mangiare riso crudo. Poi fecero uno sbaglio: invece di scendere giù salirono su a Vonzo, perché non c'era nessuno più che li avvertiva della presenza dei tedeschi. Lì alcuni soldati nazisti stavano sciando, li videro tutti sporchi appena usciti dalla miniera e li presero. Tuscano fu portato a San Maurizio e lì fu fucilato dopo aver sofferto tanto per diversi giorni".

Di padre in figlio

"Per loro fu anche una necessità entrare nelle bande partigiane - ci racconta il figlio Giovanni, che intanto si è seduto vicino a Secondino - perché altrimenti li avrebbero messi tra le fila dei repubblichini...". Giovanni conserva diversi racconti che il papà gli ha restituito nel corso degli anni.

Ad esempio, dice rivolgendosi al padre, "quando eravate nascosti nella cantina a Ceres è arrivata subito la Repubblica a ispezionare fino in cantina. Lì arrivò subito mia mamma, la sua futura moglie, che accolse i repubblichini con del burro, distraendoli e permettendo a loro di scappare. Se li avessero trovati sarebbero stati finiti".

"Questa guerra sarà la rovina del mondo"

Ogggi, purtroppo, le guerre non ce le siamo levate di torno. E quindi una domanda a Secondino la facciamo. Più che una domanda è la domanda. "Cosa pensa, ad oggi, delle guerre? E nello specifico della guerra in Ucraina che ci riguarda da vicino?". "Questa guerra - e se lo dice Secondino dobbiamo fidarci ciecamente - sarà la rovina del mondo".

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