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01 Aprile 2023 - 16:25
Reggiane Re 2001 CN. Notare le due gondole subalari per i cannoncini da 20 mm e sullo sfondo i proiettori antierei
In quei giorni precedenti lo scioglimento del regio Esercito con l’armistizio dell’8 settembre 1943 e con la conseguente tragica occupazione tedesca, poco dopo la caduta di Mussolini, lo sbarco alleato in Sicilia e la consapevolezza di una guerra perduta, il Canavese visse in prima persona un episodio secondario, ma non meno drammatico della Seconda Guerra Mondiale il 16 e il 17 agosto 1943. Nell’ambito delle ricerche sul periodo 1943-45, Giovanni Riccabone (1) ha ritrovato tre documenti (2), base di partenza per ricostruire l’evento.
IN FOTO Fiat CR 42CN a Caselle. Notare il lungo tubo di scarico e la colorazione nera
Il 6 marzo 1945, il Commissario Prefettizio di Torino della Repubblica Sociale, Giuseppe Avogadro di Casalvolone, inviò una comunicazione ufficiale al Comitato di Protezione Antiaerea di Torino e ai commissari prefettizi comunali di Barbania (allora capoluogo di Front Canavese), Rivarolo Canavese e Feletto.
Nella missiva chiedeva al Comitato di Protezione Antiaerea di sincerarsi sul perché questi comuni non avevano fatto richiesta per ottenere la prevista indennità per offese nemiche, secondo le disposizioni del Decreto Legge 16 dicembre 1942 XXI n° 1498, fatto proprio dalla Repubblica Sociale. Il Commissario Prefettizio chiedeva di verificare la questione, perché era a conoscenza, tramite le relazioni del Capo Cantoniere di Rivarolo Canavese e dei Cantonieri provinciali di Barbania e Feletto, di almeno 3 incursioni subite: quella del 16 agosto 1943 quando aerei nemici sganciarono bombe nel territorio comunale di Barbania in regione Front, quella del 24 agosto 1944 quando aerei nemici gettarono bombe nel territorio del Comune di Rivarolo nei pressi della Cascina Provanina e quella del 9 settembre 1944 quando aerei nemici mitragliarono alcune località poste nei pressi della strada provinciale Forno – Cuorgné verso Rivarolo, in territorio di Feletto e di Rivarolo.
Venti giorni dopo, il 26 marzo 1945, a poco più di un mese dalla caduta della R.S.I. e della Germania nazista, il Commissario prefettizio comunale di Rivarolo rispondeva alla Prefettura Repubblicana di Torino, integrando e rettificando le informazioni, con la notizia che il 16 agosto 1943, verso le ore 21,30, un apparecchio di nazionalità inglese, forse colpito dalla antiaerea, s’incendiava abbattendosi nei pressi di Front in regione Rivera abbattendo pochi alberi da frutta, danno arrecato tale da non richiedere alcuna indennità.
Alla risposta, veniva infatti allegato un rapporto dettagliato redatto nelle ore successive ai fatti e inoltrato immediatamente alle autorità civili e militari. Si trattava del rapporto steso dai Carabinieri Reali. Infatti, il Maresciallo d’Alloggio, Appuntato Maranzana Giovanni della stazione di Barbania aveva inoltrato il rapporto del 19 agosto 1943 sul recupero salme di avieri nemici all’allora regia Pretura di Ciriè e al Podestà del comune di Barbania: il giorno successivo allo schianto, cioè il giorno 17 andante, in seguito ad abbattimento di aereo nemico in territorio di questo comune, frazione Front, sono deceduti i seguenti avieri
1°_ M.J.A WHITE_C E_ OFFR 120889
2°_P.A. HAGGARTY _OFFR R.C. 42500
3°_ non potuto identificare perché in parte carbonizzato
4°_G. C. MUTCH _ offr 575761
le salme ricuperate vennero tumulate nello stesso giorno, per ordine dell’autorità militare competente, nel cimitero della frazione Front di Barbania. Nella fossa stessa vennero tumulati resti umani deformi che si presume appartengano all’altro membro dell’equipaggio rimasto sconosciuto.
IN FOTO Giuseppe Dematteis, testimone oculare degli avvenimenti
Grazie alla precisione dei Carabinieri, ai conservatori dell’Archivio Comunale di Barbania, alla preziosa testimonianza oculare del signor Giuseppe Dematteis, classe 1924, di Oglianico resa allo scrivente lo scorso 7 ottobre 2011 e grazie ad un articolo coevo di Stampa Sera, è iniziata così la ricerca per delineare meglio l’episodio che se nelle persone anziane è rimasto scolpito nella memoria, rischia oggi di venir perduto nelle ultime generazioni. I pochi nominativi dei caduti e i loro numeri di matricola, sono stati ritrovati negli archivi della Commonwealth War Graves Commission (3) potendo ricostruire la situazione dell’intero equipaggio perito a Front, e della missione in cui era impegnato quella notte. Non tutti perirono nello schianto, ma ci furono due sopravvissuti che riuscirono a lanciarsi con il paracadute poco prima del disastro. Dai dati della tabella di missione si ricava oggi che l’aereo era impegnato nella missione codice HR880 ed apparteneva al 35° Squadron del Bomber Command della Royal Air Force e doveva bombardare la città di Torino. Lo squadrone intero era specializzato nel ruolo di Pathfinder, un velivolo che cercava gli obbiettivi e li segnalava con ordigni luminosi alle ondate successive per non intasare lo spazio aereo e perdere tempo esponendosi inutilmente al fuoco antiaereo ed equipaggiato con il famoso radar per l’acquisizione di bersagli terrestri H2S ospitata nel ventre, in una gondola che sostituiva la torretta di plexiglass per la mitragliatrice ventrale.
Il tipo di aeroplano era l’Handley Page “Halifax” Mark II, un grosso quadrimotore da bombardamento dai doppi timoni di coda. Un secondo esemplare di questo aereo si sarebbe ancora schiantato in Canavese, contro il Monte Gregorio nei pressi della Cavallaria, sopra Ivrea nella notte del 12 settembre 1944 alle 23:45, ad una quota di 1589 metri circa, in un punto compreso tra il Monte Cavallaria e il Monte Gregorio con l’identificativo BB●412 e una missione a bordo di 13 uomini (Silica II), tutti deceduti. Apparteneva al 148° Squadron della Royal Air Force in missione per lo Special Operations Executive (S.O.E.) (4).
Il quadrimotore della R.A.F. era un grosso velivolo: pesava a pieno carico quasi 25 tonnellate. Entrato in servizio nel 1941, comparve la prima volta su Torino nella notte tra l’11 e il 12 settembre 1941, partecipando a quasi tutte le azioni contro la città fino a quella della notte del 16 agosto 1943. Il Mark II era dotato di 4 motori Rolls-Royce Merlin X a 12 cilindri a V raffreddati a liquido da 1280 HP ciascuno. Aveva un’apertura alare di 30,12 metri, una lunghezza di 21,36 metri ed un’altezza di 6,33 metri. A 5.300 metri di quota raggiungeva i 426 km/h e aveva un’autonomia di 3.000 km. Era armato per la difesa da 6 mitragliatrici in torrette e poteva portare fino a 6 tonnellate di bombe. Era condotto da 7 uomini d’equipaggio. Ma ad oggi non abbiamo l’identificativo completo di fusoliera, e nemmeno il serial number del velivolo, sappiamo però che i bombardieri del 35° Squadron Pathfinder erano contrassegnati “TL●…” (5)
L’esemplare di Front era indicato con il codice: T/o 2011 Graveley relativo alla base di partenza di Graveley in Gran Bretagna, nella contea di Huntingdon, sede del 35°Squadron dall’agosto 1942 alla fine della guerra, un aeroporto con tre piste dismesso dalla RAF nel 1968 (6). Era diventato abbastanza famoso dopo la guerra per essere stato il set cinematografico di Rapina al treno postale (Robbery), un film del 1967 realizzato da Peter Yates
L’equipaggio era così composto: Patrick Archibald Haggarty, 29 anni, era il pilota leader dell’intero Squadron (Squadron Leader Pilot) che aveva il compito di guidare lo squadrone sopra gli obbiettivi previsti, un Pathfinder. Per quella notte su Torino, armato di spezzoni incendiari e altri ordigni molto luminosi fornì il punto di mira esatto all’intera squadriglia. Era figlio di Thomas R. T. e Janet I. Haggarty. Era nato a Newcastle sul Tyne. Aveva ottenuto una croce al merito, la prestigiosa Distinguished Flying Cross. Come per tutto il resto dell’equipaggio, dopo la sepoltura descritta dall’appuntato Maranzana, i suoi resti vennero traslati dopo la fine del conflitto, al cimitero di guerra di Milano (Milan War Cemetery) (7) alla tomba I. B. 10.
Il secondo ragazzo morto era il ventenne George Connelly Mutch, inglese, sergente di volo e meccanico di bordo, matricola 575761, figlio di George e Annie Mutch, originario di Glasgow. Anche lui è a Milano nella tomba I. B. 8 ed era stato riconosciuto dai Carabinieri di Barbania per via della piastrina di riconoscimento.
Il terzo caduto era Morris John Alfred White, inglese, Tenente di volo, cioè Navigatore ed era il più vecchio con 32 anni. Faceva parte della Riserva di Volontari della R.A.F. con il numero di matricola 120889, figlio di Daniel Morris White e Alice White, ed era sposato con Alice Maud. Abitava a Croxley Green, nello Hertfordshire. Riposa nella tomba I. B. 12. I suoi poveri resti erano stati identificati dai Carabinieri.
Il quarto, era un ragazzo inglese di 25 anni, Roberts Williams Griffiths, anche lui della Riserva Volontari con la matricola numero 116501 ed era il figlio di Robert e Lottie Griffiths, di Tipton, nello Staffordshire. Riposa nella tomba I. C. 1-2 e non era stato possibile il riconoscimento a Front dai Carabinieri.
Il quinto, un ragazzo di 25 anni, inglese, Alan Henry John Sumner, era un Tenente di volo addetto alle mitragliatrici di bordo (Air Gunner) con la matricola 126845 e anche lui ebbe la prestigiosa Distinguished Flying Cross. Era il figlio di Llewellyn Alan e Dorothy Sumner, di Knowle Park, e vivevano a Bristol. Riposa nella tomba I. C. 1-2.
Poiché il velivolo in configurazione da combattimento aveva sette uomini d’equipaggio, due mancavano all’appello. Infatti il Tenente di volo R. D. Ferguson, secondo il Commonwealth War Graves Commission, risultava sopravvissuto ma in campo di prigionia, così come il settimo uomo, il sergente R. L. Hooper, anche lui P.O.W.(8) in qualche campo in Italia o in Germania dopo l’otto settembre 1943. E in effetti vennero catturati quasi subito dopo il lancio. Ai Carabinieri era quindi sfuggita la quinta vittima, praticamente dilaniata nello schianto.
Ma cosa era successo esattamente? Con Stampa Sera di Torino, si può leggere ancora oggi il resoconto dell’accaduto (9). Il titolo così recitava:
La 24a incursione terroristica su Torino – L’Ospedale delle Molinette e il “Mauriziano” nuovamente colpiti da bombe nemiche – Un apparecchio abbattuto a Front Canavese – I superstiti dell’equipaggio fatti prigionieri – Due Chiese e tre scuole gravemente danneggiate. Case civili di quartieri popolari sotto il fuoco dei bombardieri inglesi. Il Comandante la Difesa territoriale e il Prefetto sui luoghi sinistrati.
Dopo aver esaminato i gravi danni in città, la prima pagina del quotidiano dedica un intero paragrafo all’aereo di Front, dal titolo: Il duello notturno. Perché contrariamente a quanto si possa pensare, il grosso Handley Page “Halifax” precipitato a Front, non venne colpito da batterie antiaeree di Torino, ma fu rara vittima di un cacciatore notturno italiano, sottolineato con una certa enfasi, visti i magri risultati italiani rispetto ai colleghi del NJG (Nachtjagdgeschwader) della Luftwaffe dotati di radar Würzburg e Liechtenstein già operativi dal luglio 1943, oltre ai sensori all’infrarosso Naxos Z6 che captavano le emissioni termiche nemiche, già in dotazione. I cacciatori notturni italiani non avevano nulla di tutto ciò. Anche se la regia Marina da mesi teneva inspiegabilmente in deposito radar di produzione italiana letteramente ignorati, questi piloti potevano orientarsi solo con i radiofari e le istruzioni FM dalla propria base e intercettare il nemico dalle fiammelle dei tubi di scappamento dei motori, magari dopo averli visti inquadrati da un fascio luminoso proveniente dalla città. Così Stampa Sera narrava l’episodio dividendo in prima pagina il clamore della notizia con quello dell’invasione alleata della Sicilia in atto:
La caccia notturna ha segnato al proprio attivo questa notte una bellissima vittoria. Un “Liberator” (così nel nord Italia indicavano qualsiasi velivolo da bombardamento alleato, anche se il Consolidated B-24L “Liberator” era di produzione americana in servizio all’USAAF e quindi impegnato nel bombardamento diurno, n.d.r.) ha pagato con la sua distruzione lo scotto dell’incursione su Torino. L’Apparecchio è stato individuato e preso in caccia non lungi dalla nostra città, in direzione del Canavese. Come si sia svolto il duello nessuno lo può dire, tanto più che non è uso dei nostri piloti di narrare per disteso le loro imprese. Ne sanno qualche cosa gli abitanti di Barbania e di Front, i quali hanno avuto la ventura di vedersi capitare a poche centinaia di metri dalle case l’uccellaccio ferito, fino a sentire le proprie abitazioni tremare per lo schianto dell’aereo.
La maggior parte di quella popolazione e quasi tutti gli sfollati si erano, fin dal primo momento, dispersi nei prati attorno al paese, con l’intenzione di seguire così l’andamento dell’azione nemica. Udivano in alto ronzare le formazioni aeree nemiche e, laggiù, verso Torino, scorgevano il chiarore dei bengala e le vampe dei proiettili dell’antiaerea mente il cielo era rigato dalle pallottole traccianti.
Era lo spettacolo di fuoco che tutti, ormai, conosciamo, quello spettacolo che ci fa pensare anche di lontano alle nostre case, ai cari che possiamo avere ancora in città, ai concittadini tutti, ai quali ci unisce più che mai in questa occasione un senso profondo di solidarietà della quale non è disgiunta la più viva apprensione. Seguivano questi lontani spettatori il deflagare delle bombe e tentavano orizzontarvi, onde individuare il rione colpito. D’un tratto il rombo degli aerei si faceva più prossimo, si accostava, quasi giungeva a perpendicolo sul paese.Si sentiva l’ansare dei motori richiamati al massimo, ma pareva a tutti che non uno ma due fossero gli aeroplani sorvolavano la zona.
Poi ad un certo momento, in tutto quel rombo si udiva un picchiettare di mitraglia. Non era però lo sparacchiare di un’arma di piccolo calibro, ma il susseguirsi di detonazioni che avevano qualcosa di più profondo, di più duro, si sarebbe detto quasi di più “sodo”. D’istinto, quei che stavano in alto, si gettarono a terra, cercando un riparo. Soltanto con gli occhi sbarrati cercavano di individuare nel cielo qualche cosa che sentivano immanente, ma che riuscivano a scorgere.
E videro…
Videro nel cielo una fiammata, una stria di fumo rossastro segnava l’aria, mentre con più rabbia parevano urlare i motori.
Era il pericolo imminente che si avvicinava, ma nessuno potè trattenersi da una esclamazione: colpito! Non si sapeva da chi, non si era visto nulla, ma la mente di ciascuno indovinava, sembrava presa dalla battaglia stessa che era svolta a mille, millecinquecento metri lassù e che appena stava per concludersi. Quelli delle frazioni Molini di Front si sentirono gelare il sangue nelle vene. La gran fiamma, la gran striscia di fuoco, il bolide spaventoso, si dirigeva sopra di loro, verso le loro case… Certamente trascorsero pochi secondi… furono però lunghi come secoli e ciascuno ebbe ragione se pensò all’imminenza di una catastrofe. Nel chiarore lunare si distinguevano le cose, la queta (sic) borgata s’era da poco svegliata al triste richiamo, ma ancora conservava nelle mura stesse delle cascine un senso di pace che è proprio della campagna e che pare il dono di Dio agli uomini che più da vicino lo adorano, ricercando nel rinnovarsi della messe bionda, nel fiorire dell’albero a primavera, il perpetuarsi del miracolo della creazione.
Contro quella borgata pareva precipitarsi l’uccellaccio ferito. E si precipitava davvero. Fu un miracolo se una, tre cinque cascine, furono “saltate”. Lo schianto fu immane. Una fiammata enorme si alzò di tra gli alberi di un pometo a cento metri dal paese. In aria si udiva ancora cantare il motore del cacciatore che aveva fatto la bella preda.
L’anonimo cronista de “La Stampa”, se tralasciamo certa enfasi e la visione idilliaca della vita in campagna, centra in maniera efficace il punto: l’abbattimento del velivolo ad opera di un cacciatore notturno della Regia Aeronautica con armamento pesante. Lo si evince dalla frase: Non era però lo sparacchiare di un’arma di piccolo calibro, ma il susseguirsi di detonazioni che avevano qualcosa di più profondo, di più duro, si sarebbe detto quasi di più “sodo”. Con l’inizio dei grandi bombardamenti notturni sulle città del Nord, sorse urgentemente a Treviso una scuola di formazione Caccia Notturna (CN) utilizzando inizialmente 8 piloti da bombardamento addestrati al volo notturno per riconvertirli alla caccia sotto il comando del Generale di Brigata Aerea Attilio Biero (già Atlantico con Italo Balbo) e sotto il comando del Colonnello Moscatelli (già Pattuglia Acrobatica Nazionale), il tutto organizzato nel 41° Stormo Intercettori. Alcuni piloti vennero formati in Germania sui bimotori Messerschmitt Me 110, e Dornier Do 217, mentre a Treviso sui biplani Fiat CR 42 CN e sui Reggiane Re 2001CN (10). Già dall’agosto 1942 per proteggere le città vennero distaccate delle squadriglie a Venegono, Lonate Pozzolo e Caselle Torinese. Altre sorsero autonomamente ad Albenga, Novi Ligure, Roma, Napoli e in Sicilia. Soltanto ai primi di agosto del 1943 la Luftwaffe stanziò un Dornier Do 217 con radiolocalizzatore (radar) all’aeroporto di Levaldigi in provincia di Cuneo (11).
Dopo l’incursione su Torino, da Caselle o dal Campo Volo di Corso Francia (non lungi dalla città) decollò un cacciatore anche se appare meno probabile, ma sicuramente da approfondire, la tesi riportata da Dematteis e cioè che il velivolo da caccia notturna fosse decollato da un aeroporto milanese, se il quadrimotore, reduce dal contemporaneo bombardamento di Milano, fosse stato intercettato sulla via del ritorno e abbattuto sui cieli del Canavese dopo un lungo inseguimento dalla Lombardia, nel vano tentativo di riprendere la rotta del ritorno attraverso le Alpi.
In ogni caso si mise in coda all’Handley Page “Halifax” un aereo armato con cannoncini Mauser (12) da 20 mm. e all’epoca il caccia Reggiane Re 2001 CN (Caccia Notturna) era allestito per questo genere di attacco. Quei colpi “pesanti” uditi dai testimoni, e visti come traccianti in cielo da Giuseppe Dematteis, iniziavano a colpire il grosso quadrimotore e non avevano nulla a che fare con il gracchiare delle mitragliatrici leggere. I 20 mm. colpirono almeno un motore che prese presto fuoco: Videro nel cielo una fiammata, una stria di fumo rossastro segnava l’aria, mentre con più rabbia parevano urlare i motori.
Come descrive Stampa Sera e come conferma la testimonianza di Dematteis, Patrick Archibald Haggarty tentò disperatamente di levarsi dalla coda il caccia che lo stava letteralmente facendo a pezzi. Ma probabilmente tutto fu così rapido che il mitragliere di coda non fece nemmeno in tempo a rispondere al fuoco contro quel nemico invisibile, o forse fu direttamente colpito dai grossi proiettili. Per contrastare la perdita di quota, spinse i motori a manetta, malgrado l’incendio si stesse propagando su uno di essi e forse non tutti i comandi dell’aereo rispondevano.
Comprendendo che l’aereo era ormai ingovernabile diramò l’ordine di abbandono, ma soltanto Ferguson e Hooper riuscirono ad agguantare i paracadute, indossarli, cercare una via d’uscita da qualche portello se non dal vano bombe, forse ancora aperto e piombarsi nel buio della notte. Sull’episodio del lancio e della cattura ad oggi non ci sono testimonianze. Il velivolo cadde a terra nella zona dei Molini di Front in un meleto e iniziò un furioso incendio che durò tutta la notte. L’inviato di Stampa Sera scattò una foto ai rottami il mattino del 17 e venne pubblicata a corredo dell’articolo in prima pagina di Stampa Sera.
Preziosa la testimonianza di Giuseppe Dematteis, che ebbe occasione di seguire la vicenda tra la notte del 16 e la mattina del 17:
Ricordo bene quando arrivò lo stormo di aeroplani inglesi, passavano sopra il Gran Paradiso e sbucavano da sopra la Verdassa (o Punta Quinzeina, metri 2344, n.d.r.) e poi si capiva che come riferimento tenevano l’Orco fino a Chivasso. Qui si dividevano in due gruppi: quelli che viravano a destra, verso occidente, andavano a bombardare Torino, gli altri, viravano a sinistra per bombardare Milano.
Quando si sentiva il rombo degli aeroplani arrivare tutti lasciavamo le case e noi correvamo nei campi per andare a vedere il bombardamento su Torino. Tutta la città era illuminata, i fari dell’antiaerea che cercavano di inquadrare in cielo gli aerei nemici ma soprattutto ricordo i traccianti che squarciavano il buio del cielo. Poi si vedeva cadere dal cielo dei bengala molto luminosi e colorati. Erano di luce bianca, rossa e verde come il tricolore e illuminando la città, iniziavano a sganciare le bombe. Quella sera, come le altre sere dei bombardamenti, osservavamo la luce che sprigionava la città a causa degli incendi che erano scoppiati, ma il cielo sopra di noi era molto buio. Si sentiva il rombare di un aereo, ma non riuscivamo a vederlo. Alzando però istintivamente lo sguardo al cielo, scorsi una serie di traccianti di colore rosso che correva tra l’oscurità. Dopo due minuti vidi accendersi una boccia di fuoco nel cielo e poco dopo l’aereo si piantò interrando quasi tutto il muso, un motore si era staccato di netto ed era finito nel cortile di una cascina vicina a circa un centinaio di metri.
Il mattino dopo sul presto, verso le 8, arrivai sul luogo dell’impatto che resta di fronte all’attuale Cartiera (sorta su una preesistente cascina), dall’altro lato della strada Favria – Front. C’era un numero incredibile di soldati giunti a Favria, si diceva fossero 1.500 uomini.
Mano a mano che mi avvicinavo al rottame, che appariva parzialmente sprofondato nel terreno, venni a sapere che due o tre uomini si erano lanciati ma erano finiti sugli alberi e presto catturati. Mi avvicinai ai rottami macerie fumanti e vidi solo i capelli di un uomo tra le lamiere annerite che spuntavano fuori dal terreno, poi un cadavere che sembrava un uomo di colore e pezzi di carne umana sparsi un po’ ovunque insieme ai rottami dell’aereo.
Ricordo bene che a terra trovai una cartina geografica con la rotta segnata e i nomi di London, Paris e Turin. Volevo tenermela, ma si avvicinò un soldato e me la prese dicendomi che non potevo tenerla e che andava consegnata. Ricordo anche che un mio conoscente trovò un orologio con il nome del pilota inciso sul retro della cassa. Seppi poi che dopo la guerra andò personalmente in Inghilterra a riportarlo ai familiari del ragazzo.
Ricordo che si parlò dell’abbattimento ancora per qualche tempo: ad esempio la gente diceva che ad abbatterlo fu un aereo decollato da Milano e pilotato da un capitano che per fare in fretta era rimasto in pigiama. Ma non so se è vero o se era una diceria che circolava tra la gente. Qualche giorno dopo l’accaduto invece dovetti partire per entrare nel regio Esercito e mi presentai a Biella. Appena venti giorni dopo l’esercito si sciolse (era l’otto settembre 1943) e tornai a Oglianico, dove rimasi nascosto fino alla fine della guerra per non aderire ai bandi d’arruolamento della Repubblica Sociale del maresciallo Graziani e non essere arrestato, deportato o fucilato.
La narrazione dei fatti di Giuseppe Dematteis è precisa: come confermano i giornalisti del Corriere della Sera Leonardo Vergani e Sandro Rizzi, quella notte effettivamente c’era la luna piena che facilitava la rotta e la selezione dei bersagli e un gruppo di “Halifax” puntò su Milano per terminare una serie di feroci bombardamenti che durò dal 13 proprio fino alla sera del 16 agosto, costati un migliaio di morti tra la popolazione:
La notte dopo, 16 agosto altre bombe e spezzoni sulla città annientata. C’è la luna piena e i milanesi dalla campagna assistono alle nuove distruzioni. C’è ancora gente intrappolata nei rifugi, gente che aspetta soccorso e che le squadre di soccorso non sono riuscite a liberare. Sono in maggioranza persone anziane che non hanno avuto la forza di abbandonare l’ inferno. (…) Altri 1500 edifici sono rasi al suolo e 11 mila sono lesionati in modo gravissimo (13).
Il bombardamento notturno del 16 agosto 1943 venne condotto da 154 bombardieri che sganciarono 218 bombe dirompenti ad alto potenziale e fu l’ultimo bombardamento inglese su Torino (14), i successivi furono condotti dagli Americani fino al 15 aprile 1945.
Gli inglesi avevano iniziato a bombardare Torino nel 1940, poco più di ventiquattr’ore dopo che Mussolini aveva annunciato alle camicie nere della rivoluzione che la dichiarazione di guerra era stata consegnata alla Francia e all’Inghilterra: 36 bimotori “Whitley” partiti dall’Inghilterra dopo aver fatto rifornimento nelle Isole della Manica affrontarono la traversata della Francia e delle Alpi e sganciarono in tutto solo 44 bombe, perché 23 aeroplani dovettero interrompere la missione a causa del cattivo tempo e rientrare alla base. L’ultima missione inglese del 16 agosto 1943 costò “solamente” 5 morti e 56 feriti, portando il tragico bilancio degli uccisi a Torino, al numero provvisorio di 1393 persone. La stessa identica squadriglia aveva però bombardato Torino il 13 luglio 1943 con ben altri esiti: fu il peggiore bombardamento di Torino. Oltre 250 aerei sganciarono 413 bombe dirompenti e alcune giganti da 4.000 libbre con alcune decine di migliaia di spezzoni incendiari, uccidendo 792 persone e ferendone 914 e riducendo il sistema industriale bellico della città.
L’autore intende ringraziare: Giuseppe Dematteis e Luisa Battuello per i contributi e la collaborazione, Doriano Felletti per la collaborazione generale, Lino Fogliasso per i preziosi suggerimenti su questa particolare tipologia di ricerca.
Note
1. Le ricerche riguardano i documenti degli archivi storici comunali nel periodo 1943-1945. Giovanni Riccabone si occupa della zona canavesana occidentale e delle Valli di Lanzo, lo scrivente invece, del Canavese orientale e della bassa Valle d’Aosta. Entrambi hanno condotto – sempre sullo stesso tema – una voluminosa ricerca nell’estate 2011 presso l’Archivio Centrale dello Stato di Roma.
2. Archivio Storico del Comune di Barbania, si ringrazia per l’accessibilità e la disponibilità.
3. http://www.cwcg.org
4. Fabrizio Dassano, Disastri aeronautici sulle Alpi nord-occidentali: 12 settembre 1944, un quadrimotore si schianta nei pressi di Ivrea, in: Storia Militare, Albertelli, Parma, in corso di pubblicazione.
5. http://www.rafweb.org/Sqn031-35.htm
6. http://www.controlwers.co.uk/G/Graveley.htm
7. Il MILAN WAR CEMETERY (Cimitero di guerra di Milano) si trova nel parco di Trenno, su Via Cascina Bellaria, con il cancello d’ingresso praticamente a poche decine di metri dopo la cascina stessa. E’ visitabile.
8. P.O.W.: Prisoner Of War
9. Stampa Sera, martedì mercoledì 18 agosto 1943, Anno 77 – Numero 196, pagina 1.
10. Mach 1 – Enciclopedia dell’Aviazione, Orbis Publishing Ltd., London, Edipem, Novara, 1978 pag. 126 – 138.
11. La Regia Aeronautica ricevette dodici Dornier Do 217, tra il settembre 1942 ed il giugno 1943, delle versioni J-1 e J-2 da caccia notturna. Soltanto un’unità italiana venne equipaggiata con i caccia notturni dalla Dornier: la 235ª Squadriglia del 60° Gruppo (41° Stormo), comandata dal Capitano Aramis Ammannato. L’unità, prima basata a Treviso - San Giuseppe, si trasferì sul più adeguato impianto di Lonate Pozzolo il 21 ottobre 1943. A causa dell’addestramento frettoloso, dell’usura delle prime macchine consegnate, degli impianti radar ormai logori, l’unità in quasi un anno di attività riuscì ad abbattere soltanto un aereo, quando, nella notte del 16-17 luglio 1943, il Capitano Aramis Ammannato, con un Do 217 J-1 sprovvisto di radar, intercettò un quadrimotore Avro “Lancaster” della RAF, di ritorno dal bombardamento della centrale idroelettrica di Cislago, (Varese). Il bombardiere inglese precipitò sulle rive del Ticino, presso Vigevano. Il 31 luglio 1943, la squadriglia aveva in dotazione ancora 11 Do 217, cinque operativi e gli altri sei in riparazione o non impiegabili. In: Dimensione Cielo, Roma, 1972, pag. 47, 53, 54.
12. Mauser MG 151/20mm. Peso del proiettile: 99 grammi. Velocità iniziale: 762 m/sec. Velocità di tiro: 750 colpi al minuto. Tipi di munizioni: incendiarie o ad alto potenziale esplosivo. Colpi necessari per l’abbattimento: più di 10 contro i caccia, più di 20 contro i bombardieri pesanti.
13. Vergani Leonardo, Sandro Rizzi, Quando il cielo crollò su Milano – Terzapagina. Il bombardamento dell’agosto 1943, in: Corriere della Sera, 14 agosto 1993, pag. 19.
14. Pier Luigi Bassignana, Torino sotto le bombe, nei rapporti inediti dell’aviazione alleata, Edizioni del Capricorno, Torino, 2003 pag. 91.
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