Settecento anni fa veniva distrutta sulla Serra di Ivrea dopo anni di lotte per il dominio di una terra di confine. Nel corso del XIII secolo, Canavesani e Vercellesi eressero molti borghi franchi alle frontiere dei loro possedimenti per difenderne i confini e per proteggere gli sbocchi commerciali. In un crescendo continuo di lotte di espansione e di usurpazioni, specialmente a danno di Ivrea e Canavese, nel 1296 il vercellese Simone Avogadro di Collobiano fece innalzare sul culmine della collina morenica della Serra, tra le attuali località di Croce Serra e Scalveis, la Torre della Bastìa come difesa dai luoghi di Andrate e Chiaverano (feudi di Ivrea) e per proteggere la Via Nova ed il commercio vercellese con la Valle d’Aosta. Nei documenti dell’epoca era detta “turris nova prope Donatum”: nova per distinguerla da quella molto più antica che sorgeva, sempre sul crinale della Serra, a qualche chilometro di distanza e che per la sua vetustà poteva aver dato il nome al paese di Torrazzo; prope Donatum forse ad indicare che il territorio apparteneva a Donato, paese vercellese.Era, quella della Bastìa, una grossa torre quadrangolare, circondata da fossato, nei pressi di uno specchio d’acqua intermorenico utile per abbeverare i cavalli e per la vita degli stessi difensori della fortificazione. La sua custodia era affidata a uomini di Donato, Sala, Mongrando e Magnano. Iniziarono subito le proteste da parte di Chiaverano e Andrate, appoggiate dal Vescovo di Ivrea Alberto Gonzaga, perché ritenevano questa costruzione un punto di controllo sui paesi limitrofi ed una minaccia per le terre canavesane. Ben presto si passò agli scontri e alle rappresaglie, soprattutto con Donato. Molti abitanti di Chiaverano, saliti nei loro possedimenti di Scalveis, avevano infatti avuto schermaglie con i difensori della torre, alcuni erano stati massacrati, altri fatti prigionieri. Dopo oltre dieci anni, verso la fine di febbraio del 1309, Chiaveranesi ed Andratesi assaltarono uniti la torre che venne rovesciata giù per il versante canavesano. A causa forse di un inverno particolarmente rigido e della molta neve caduta, la sorveglianza era stata infatti allentata e il presidio si era fatto esiguo. Gli assalitori rovinarono anche le strade di accesso per impedire l’accorrere di rinforzi nemici; nella stessa notte gli uomini di Chiaverano scesero al torrente Viona per risalire al paese di Donato, incendiarono e saccheggiarono le case, riuscendo a liberare i loro compaesani catturati tempo prima e detenuti in questo luogo. La reazione di Vercelli, presso il cui podestà era corso a far denuncia il sindaco di Donato, non si fece attendere: al termine di un primo processo fu intimato a Chiaverano e ad Andrate di ricostruire la torre, riparare i danni e pagare una multa di “quattromila lire pavesi il comune di Chiaverano, quattromila quello di Andrate e duemila per ciascuno gli abitanti dei due paesi incriminati […]. Ma Chiaverano e Andrate non la pagarono. Forti del loro buon diritto di comandare in casa propria e dell’appoggio del vescovo d’Ivrea, frate Alberto Gonzaga, che accorse in difesa del suo popolo, si sostenne contro tutti i cavilli e le prepotenze vercellesi una energica difesa. Il vescovo manda dapprima un suo uomo di fiducia, Guglielmo di Ivrea, a Vercelli. Andratesi e Chiaveranesi convocati d’urgenza nelle aie dei rispettivi consoli mandano a Vercelli il notaio Froncotto Olmo peritissimo calligrafo, certo per esaminare gli atti comprovanti le rispettive giurisdizioni. Vengono pure escussi due testimoni del luogo: Guglielmo di Scalveis e Stefano Cane pure di Scalveis. Anche i canonici d’Ivrea corroborano la tesi canavesana; Chiaverano manda al processo un suo procuratore, Giacomino Battaglia; altrettanto fa Andrate mandando Guglielmo Crosa” [da G. ZANETTO, La Serra dalle origini alla sottomissione alla Casa Savoia, Ivrea 1957]. Tutti sostennero concordi che il luogo sul quale era stata costruita la torre della Bastìa apparteneva al comune di Chiaverano, diocesi di Ivrea, pertanto feudo del Vescovo eporediese. Se Vercelli fosse riuscita a dimostrare legalmente che invece apparteneva alla sua giurisdizione, tutti si dichiaravano pronti a pagare la multa e a ricostruire la torre più bella di prima. La questione fu affidata a due illustri uomini di legge (Giovanni di Carisio e Pietro Soleri, “utriusque juris doctores”) e nel giugno 1309 arrivò la sentenza definitiva che riconosceva al comune di Chiaverano il possesso del territorio sul quale era stata eretta illecitamente la torre. Nel novembre dello stesso anno i confini vennero nuovamente fissati lungo il torrente Viona e in seguito confermati dall’imperatore Enrico VII di Lussemburgo. Un confine di provincia, quello attuale, che affonda quindi le sue radici agli inizi del XIV secolo! Della medioevale torre della Bastìa possiamo ancor oggi vedere qualche resto: tracce del fossato che la circondava e tre lati del possente basamento in blocchi di pietra e malta dello spessore di 170 centimetri per un’altezza dall’attuale piano di calpestio che varia dai 70 ai 130 centimetri; le tre porzioni di muro misurano esternamente cm 500, 720, 580 ed internamente cm 320, 380, 360. Essa però, dopo secoli di oblio, è come rinata alcuni anni fa; ricostruita in legno nello stesso luogo, è alta 12 metri e si presenta come un buon punto di osservazione naturalistico e di avvistamento incendi. Dalla sua sommità, quando gli alberi che la circondano hanno perduto le loro foglie, si può godere un panorama davvero speciale e immaginare con un brivido gli scenari di quel freddo febbraio di 700 anni fa.
Adele Ventosi
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