Il piano era raggiungere la casa di famiglia a Terrasini, in provincia di Palermo. Poi proseguire sino in Tunisia e da lì sparire per sempre. Voleva chiudere così il libro della sua vita Daniele Ughetto Piampaschet, l'aspirante scrittore condannato in via definitiva per l'omicidio, anticipato in un romanzo, della nigeriana Anthonia Egbuna. Latitante dal 13 luglio, da quando i carabinieri si erano presentati nella sua abitazione per condurlo in carcere, si era appuntato il 'finale della storia' in alcuni fogli manoscritti. Oggi il colpo di scena: i carabinieri l'hanno rintracciato in una casa a Giaveno (Torino), poco distante dall'abitazione dei genitori. Piampaschet si era rifugiato lì, dopo che la Cassazione aveva reso definitiva la condanna a 25 anni di carcere. Si era nascosto, dopo che i carabinieri si erano recati nella sua abitazione per portarlo in cella. Lui non c'era. Ad aprire ai militari era stato il padre, che, convinto dell'innocenza del figlio, aveva anche opposto resistenza. Piampaschet, che si è sempre detto innocente, non voleva un epilogo dietro le sbarre. "Ho avuto paura", ha detto oggi ai carabinieri. Il primo capitolo della vicenda è del 26 febbraio 2012, quando il corpo della prostituta nigeriana riaffiorò dalle acque del Po, nella zona di San Mauro, con numerosi segni di coltellate. Piampaschet, che con la donna aveva avuto una relazione durata una decina di mesi ma che al momento dell'omicidio aveva un'altra fidanzata, era stato arrestato ad agosto, di ritorno da Londra, dove aveva fatto il volontario alle Olimpiadi. In un suo libro dal titolo 'La rosa e il leone' - un'opera mai pubblicata e sequestrata dagli investigatori - aveva annunciato il delitto, descrivendone la dinamica nei minimi particolari. L'aspirante scrittore finì in manette e da lì iniziarono una serie di vicende giudiziari: l'assoluzione in primo grado, la condanna in secondo, la Cassazione che nell'ottobre 2016 dispose l'annullamento con rinvio della sentenza alla Corte d'Assise d'Appello di Torino. E così via. Sino al 2 luglio, quando è arrivata la condanna definitiva. "Ho fiducia nella giustizia", aveva detto durante le udienze precedenti, accompagnato dall'avvocato difensore Stefano Tizzani. Ma quando la giustizia ha deciso, la sua fiducia è venuta meno. E così ha deciso di partire, cercando di beffare investigatori e inquirenti. I carabinieri l'hanno rintracciato dopo dieci giorni di latitanza.
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