Forse pensava che gli investigatori non sarebbero mai arrivati a lui. Ma ora, dietro le sbarre nel carcere delle Vallette, Daniele Uberti è sconvolto. Impaurito. "Preoccupato per la famiglia, per sua moglie e per sua figlia", racconta l'avvocato Gioachino Berrini che lo difende dall'accusa di omicidio. Per gli inquirenti, il killer che il 22 ottobre 2015 ammazzò Vito Amoruso all'uscita della sua abitazione, in via Valdieri a Torino, è questo insospettabile consigliere comunale di Battifollo, un paese di 240 abitanti nella provincia di Cuneo. E' lui che, con un fucile da caccia a pallettoni, avrebbe colpito alla schiena il commerciante di prodotti pugliesi. E' lui che l'avrebbe freddato con un solo colpo, calibro 12, di quelli che si usano per i cinghiali. Questioni di donne. Di una in particolare. Un'operaia della provincia di Torino con cui entrambi, vittima e carnefice, avrebbero avuto una relazione. Ma per Uberti non è così. "E' vero, gli ho sparato, ma non per motivi passionali", ha detto quando è stato portato davanti al gip. Le altre piste, però, non convincono gli inquirenti. Nemmeno quella economica. La vittima aveva molti debiti e qualcuno dei suoi creditori era anche arrivato a minacciarlo. Ma tra quelli a cui il commerciante doveva dei soldi, il nome di Uberti non compare. L'unico legame tra i due sembra essere questa donna, che li ha fatti conoscere nel novembre 2014. E che ora diventa una testimone chiave. Agli investigatori che l'hanno sentita durante le indagini ha affermato con forza di non aver mai avuto una relazione extraconiugale. Né con Amoruso, né con Uberti, che ha continuato a sentire sino ad oggi e di cui forse non ha mai sospettato. Le indagini dei Carabinieri di Torino non si fermano. E al vaglio degli inquirenti c'è anche la posizione di un altro uomo: un amico di Uberti, il proprietario della Fiat 500 nera con cui l'assassino si è recato a casa della vittima. I militari sono riusciti ad individuare l'auto grazie alla collaborazione del personale tecnico Rai del capoluogo piemontese, che ha lavorato su quattro filmati di scarsissima qualità. Ma la prova schiacciante a carico del consigliere comunale sarebbero le tracce di Dna rilevate dai Ris di Parma su una parte del fucile utilizzato per sparare e persa sul luogo del delitto. Il resto dell'arma, stando al racconto di Uberti, ora si trova sul fondo del Tanaro.
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